giovedì 31 marzo 2016

Davigo presidente dell’Anm per una magistratura autonoma e indipendente.

rguadagniniSabato 9 aprile sarà la data di ‘investitura’ di Piercamillo Davigo alla presidenza dell'Anm? Sembra proprio di sì, grazie a un accordo raggiunto tra le correnti dell’Associazione Nazionale Magistrati proprio sul nome dell’ex pm di Mani Pulite.

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Piercamillo Davigo
In quella data, infatti, si tiene la prima riunione del nuovo parlamentino, ossia il Comitato Direttivo Centrale del sindacato dei giudici, composto dai 36 eletti dopo il voto del 6, 7 e 8 marzo scorsi, che deve nominare il successore di Rodolfo Maria Sabelli, oltre al segretario e ad altri componenti della Giunta esecutiva.
A seguito dell'intesa, Davigo dovrebbe essere presidente per un anno, anziché per i quattro previsti finora, ritornando così a una precedente consuetudine, interrotta all'epoca dei continui attacchi di Berlusconi alla magistratura. Dopo di lui il mandato presidenziale verrebbe conferito secondo il criterio della turnazione.

Lo scorso 18 marzo, del resto, il consigliere della Corte di Cassazione è stato il più votato con 1.041 preferenze, candidato nella lista che lui stesso ha contribuito a fondare, staccandosi da Magistratura Indipendente, con il nome di Autonomia e Indipendenza. A seguire, il pm di Roma, Francesco Minisci (Unicost, 896 voti), il pm di Santa Maria Capua Vetere, Giuliano Caputo (Unicost, 797 voti), il giudice del tribunale di Roma, Corrado Cartoni (Magistratura Indipendente, 763 voti), il consigliere della Corte d'appello di Catanzaro, Antonio Saraco (Unicost, 727 preferenze), il giudice di Catania, Daniela Monaco Crea (Unicost, 620 voti), il giudice di Genova, Pasquale Grasso (MI, 580 voti), il giudice di Napoli, Rossella Marro (Unicost, 566 voti), il giudice di Roma, Bianca Ferramosca (Unicost, 559 voti) e il consigliere della Corte d'appello di Reggio Calabria, Tommasina Cotroneo (Unicost, 545).
Davigo è un uomo-simbolo dentro e fuori la magistratura. Non a caso è stato definito il dottor Sottile, cioè la mente giuridica della vicenda Tangentopoli; la lotta alla corruzione e la difesa del principio di legalità sono stati i capisaldi dei suoi interventi in magistratura.  "Di fronte alla corruzione gli italiani dovrebbero informarsi e indignarsi. Quando la reazione dell'opinione pubblica è forte, la politica adotta comunque provvedimenti. Il cosiddetto ‘Parlamento degli inquisiti’, quello in carica fra il 1992 e il 1994, ha abolito l'autorizzazione a procedere a fronte dell'indignazione dell'opinione pubblica". Sono parole che usa in una delle sue rare interviste, concessa a “il Dirigente”, mensile di Manageritalia nel settembre dello scorso anno.
"Secondo gli indici di percezione della corruzione, l'Italia è collocata nelle peggiori posizioni in Europa -ricorda poi- Le ragioni sono da ricercare nel fatto che, dopo quanto era emerso negli anni dal 1992 al 1995 il mondo politico, anziché cercare di contenere la corruzione, ha cercato di contenere le indagini e i processi". Chi può dire, in buona fede, il contrario?
In questi giorni il magistrato è a San Paolo, in Brasile: è stato invitato a un incontro nel Centro per i dibattiti della Procura federale per raccontare la sua esperienza di Tangentopoli. Tra i colleghi, c’è anche Sergio Moro, notissimo pm brasiliano a capo del pool che sta mettendo a soqquadro il sistema politico-imprenditoriale carioca, con l’inchiesta “Lava Jato” (“autolavaggio”, tradotta in Italia come la "Mani Pulite brasiliana”), quello -per intendersi- che ha spiccato oltre 40 mandati di cattura e comparizione, anche per l’ex presidente brasiliano Lula. Proprio in questa sede, il giudice è tornato a parlare di indignazione, esprimendosi in questi termini: “In Italia i partiti lavorano per bloccare l’azione della magistratura”.
Politica e giustizia sono i termini della questione, due poli tra cui oscilla il pendolo democratico, in quel sistema di ‘check and balance’ che la Costituzione italiana spiega così chiaramente nell’articolo 104: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. Un controllo reciproco di pesi e contrappesi -e non di lacci e lacciuoli, come qualcuno ha detto con insofferenza- che garantisce ai cittadini un equilibrio delle rispettive influenze.
Cosa significa la sua designazione, che giunge dopo un periodo di contrasti all’interno dello stesso sindacato dei magistrati? Alcuni l'hanno intesa come una rimonta delle destre nell'ambito delle toghe, altri come un segno di restaurazione per un'Italia troppa corrotta e dimentica del principio di legalità. Politica e giustizia possono infine tornare a spartirsi i campi? Come protagonista delle vicende italiane, che vanta una reputazione di autorevolezza, il nome di Davigo al vertice del sindacato dei giudici assomiglia a una sorta di “unicuique suum”. Ad ognuno il suo, alla giustizia ciò che alla giustizia appartiene. Autonomia e indipendenza, dunque, come vuole il dettato costituzionale.
Rossella Guadagnini
(31 marzo 2016)

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