Studenti e operai, impiegati e precari, tutti uniti nella lotta. La Francia si dimostra l’ultimo avanposto della stratificazione di classe del dopoguerra, quella cresciuta a keynesismo e partecipazione collettiva, mediata dai “corpi intermedi” e strutturata legislativamente nell’assicurazione di diritti universali. Anche nel mondo del lavoro.
Alla faccia di chi pretende di dividere lavoratori attuali e del futuro (gli studenti, insomma), i precari e i “garantiti”, tutti stanno partecipando allo sciopero egnerale contro il jobs act alla francese. Una misura che ricalca per filo e per segno le indicazioni della Commissione Europea, del Fondo monetario internazionale e della Bce, esattamente uguale alla legge imposta da Renzi e niente affatto contrastata da Cgil-Cisl-Uil, sempre più identici e sovrapponibili (a quando la maxi-fusione in nome della riduzione dei costi?).
Una dimostrazione plastica di cosa voglia dire consapevolezza dei diritti di cittadinanza, che non sono affatto riducibili ai cosiddetti “diritti civili” (quelli senza costo per le finanze pubbliche, insomma), ma comprendono integralmente anche i diritti sociali conquistati in decenni di lotta politica e sindacale (welfare, sanità, istruzione, diritti del lavoro, ecc).
Al posto di Giuliano Poletti, sulla colonna infame innalzata dai movimenti francesi, c’è il ministro Myriam el Khomri (a dimostrazione che l’esser donna e/o di origine.non europea, di per sé, non assicura affatto una migliore qualità politica od etica).
Lo sciopero è stato indetto da una parte notevole dei sindacati francesi e dalle associazioni studentesche; ha svuotato i posti di lavoro, riempiendo le strade di tutte le città (circa 200 quelle attraversate da manifestazioni di protesta). Adesione totale anche da parte della stampa francese, che evidentemente sopporta meglio – per il momento – la pressione ad identificarsi con la proprietà e l’upper class, contro tutte le altre figure sociali meno “potenti”.
Nonostante anche in Francia esistano leggi implicitamente antisciopero nei servizi pubblici, con l’imposizione di servizi minimi garantiti che coprono praticamente tutta la gamma delle possibilità, i voli aerei cancellati sono stati oltre il 20%, mentre la metro di Parigi ha perso un terzo dei convogli attivi, addirittura la metà sulla Rer (i trasporti regionali, di fatto). E autorità fi controllo sono rimaste sorprese, perché pensavano di poter coprire il 100% dei servizi, mettendo assieme “comandati”, crumiri e dirigenti per un giorno al lavoro. Si sa che, dal punto di vista sia simbolico che effettivo, uno sciopero generale “si sente” soprattutto quando i trasporti pubblici vanno in affanno. Così come è importante, sul piano simbolico, la chiusura della Torre Eiffel per tutta la giornata. Decisiva, infine, la scena di Parigi ripresa dall’alto, con 430 chilometri di automobili in fila sulle autostrade che protano alla capitale.
Solo a Parigi, 20 istituti superiori sono stati chiusi direttamente dai presidi, mentre altri 50 sono sotto occupazione studentesca dopo la pubblicazione del video di un poliziotto che picchia selvaggiamente un ragazzo durante le proteste della scorsa settimana.
La ministra del Lavoro, Myriam el Khomri, a nome del governo – spaventato dal crescere di una mobilitazione all’inizio largamente sottostimata – si è detta disposta ad alcune correzioni al testo, peraltro non dettagliate, magari graduando la libertà di “licenziamenti economici” a seconda delle dimensioni dell’azienda. Anche le altre misure comprese nel decreto, di cui si conoscono solo alcune indiscrezioni, sono tutta roba già vista qui in Italia: maggiore “flessibilità” in orario e mansioni, riduzione delle indennità, liberalizzazioni, diminuzione della possibilità di ricorrere alla magistratura, tagli salariali sulle ore di straordinario, aumento delle ore di lavoro, eliminazione del congedo per malattia di un familiare.
Drastica riduzione, nel decreto el Khomri, anche del ruolo dei sindacati. Una serie di cose potranno essere decise dalle azienda senza contrattazione; in casi particolari non basterà che sia contrario il 70% dei sindacati (calcolando il numero degli iscritti), affidando la decisione finale – se necessario – a referendum interni all’azienda, dove più forte è la pressione ricattatoria. Non manca una specie di art. 8 del famigerato “decreto Sacconi”, quello per cui gli accordi aziendali hanno prevalenza su quelli nazionali di categoria (anche se in Francia, per il momento, non si accenna ancora alla possibilità che siano addirittura prevalenti sulle leggi dello Stato). Come si vede, a parte quel dettaglio “graduale”, il jobs act francese è identico a quello renziano.
L’unica speranza del ministro, peraltro espressa pubblicamente nel coorso di un’intervista radiofonica, è dunque che il fronte sindacale si spacchi tra quanti ritengono accettabili alcuni alleggerimenti e quanti invece pretendono che il disegno di legge sia integralmente ritirato.
Al momento, però, pesano – anche per i sindacati più pronti ai peggiori compromessi – i risultati di diversi sondaggi, da cui emerge che il 75% dei francesi è contrario alla riforma.
E’ da segnalare, comunque, che lo sciopero di oggi ha fatto segnare una partecipazione crescente nonostante queste promesse governative di “limatura”. Anche questo elemento, dunque, pesa nel costringere tutte le sigle sindacali a dichiararsi pronte a proseguire la mobilitazione fino al ritiro totale della legge.
Intanto, nelle strade, si sono verificati anche alcuni tafferugli ed anche veri e propri scontri, con la polizia impegnata a mostrare il volto peggio del governo “socialista” insediato a Parigi.
Nessun commento:
Posta un commento