E dimentichiamoci per un istante che il Partito democratico, pur di screditare la propria principale avversaria, accetti più o meno consapevolmente di fare da megafono e spalla a uno di quei "poteri forti" capitolini che, almeno a parole, negli anni passati il Centrosinistra si è sforzato di combattere.
E facciamo anche finta di trascurare il fatto che le dichiarazioni incriminate della Raggi sono state pronunciate domenica. E lunedì, alla riapertura dei mercati, il titolo abbia chiuso in rialzo, modesto, dello 0,77%. E che il giudizio negativo del mercato sia arrivato invece soltanto a tre giorni di distanza.
E siccome il nocciolo della questione è la presunta inesperienza di Virginia Raggi, ammettiamo anche che Roberto Giachetti, Alfio Marchini, Giorgia Meloni o Guido Bertolaso abbiano davvero più esperienza come guida nel gestire, da azionista di maggioranza, una grande società pubblico-privata come Acea, miniera d'oro anche per le casse del Comune e che nel 2015 soltanto come dividendo ha versato nelle casse del Campidoglio un assegno da oltre 48 milioni di euro.
Ammesso e non concesso tutto questo, forse è il caso di porsi una domanda diversa.
Da quando la qualità di una proposta politica si misura sulla griglia dei listini azionari? Da quando la flessione di un titolo è la cartina di tornasole della debolezza di una proposta e viceversa un incremento ne è sinonimo di qualità? Da quando lo è, soprattutto, per il principale partito di Centrosinistra?
Rilevano gli esponenti del Pd: chi ambisce alla poltrona più importante dell'amministrazione capitolina deve essere consapevole delle conseguenze delle proprie dichiarazioni. Nella fattispecie, indebolire la principale partecipata significa anche mettere a rischio chi in quell'azienda ci lavora. Posti di lavoro, in prima battuta. Voti, in seconda.
Ma se la sinistra e il Centrosinistra avessero adottato sempre come metro delle proprie scelte il mercato e i suoi umori è ragionevole immaginare che molte di queste, se non la maggior parte, sarebbero risultate ugualmente deprecabili come la contestata uscita di Virginia Raggi. Per fare un esempio un po' brutale: che dire di una decisione che punti a concedere più diritti e tutele ai lavoratori o aumentare il loro stipendio, gravando inevitabilmente sugli utili delle società? Gli azionisti ne sarebbero senz'altro penalizzati, eppure basterebbe per dare un giudizio negativo sulla politica proposta?
Quindi c'è da rallegrarsi se il titolo cade in Borsa, riducendo i guadagni "virtuali" del Comune? Certo che no. Ma se il Pd, come il Movimento 5 Stelle, come la politica tutta, ha a cuore le sorti di una città e dei suoi asset, guarda con un orizzonte un po' più lungo della singola variazione di Borsa. Oltre i milioni "bruciati", che però non "ricompaiono" mai quando il titolo risale. Se Virginia Raggi ritiene che il management di Acea vada rimesso in discussione, perché ha in mente un disegno chiaro, di lungo periodo, per la gestione di uno dei beni più importanti del Comune di Roma, ha tutto il diritto e dovere di farlo, infischiandosene delle reazioni del titolo a Piazza Affari. Il punto non è stabilire ora se si possa o meno annunciare decisioni importanti, anche a costo di suscitare qualche irritazione o preoccupazione negli azionisti e nel mercato, quanto se nel merito la proposta della Raggi sia valida o meno. Se il Movimento 5 Stelle ritiene, e con quali motivazioni, che un rinnovo del management di Acea valga anche il prezzo di una negativa reazioni dei propri azionisti. Se si rivelerà una decisione scorretta ne risponderà alle urne.
È il primato assoluto della politica e dovremo invece diversamente allarmarci del contrario. Della subalternità di determinate scelte ai possibili malumori degli azionisti e dei listini. O quantomeno dovrebbe farlo il Partito democratico, facendosi un rapido esame di coscienza, chiedendosi se il mercato è brutto e cattivo solo quando serve, come nei giorni più difficili per Monte dei Paschi di Siena, in cui si si sono evocati persino possibili complotti europei, e un affidabile punto di riferimento quando fa più comodo. Specie se c'è colpire i propri avversari.
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