22 / 3 / 2016
Abbiamo
intervistato Christian Marazzi, economista e docente presso la Scuola
Universitaria della Svizzera Italiana, durante la fiera dell'editoria
indipendente Bellissima, nel corso della quale ha partecipato alla
tavola rotonda "Europa addio". Gli abbiamo chiesto di fare alcune
considerazioni rispetto alle ultime manovre monetaria espansive della
Bce.
Quest’ultimo insieme di misure effettuate dalla Bce va ancora più a fondo nella linea espansiva che da almeno un anno l’Europa si sta dando dal punto di vista monetario. L’immensa liquidità iniettata nei circuiti finanziari, insieme ai tassi direttori che si sono assestati attorno al -0,40, segnano l’ingresso in una fase inedita sul piano globale, anche perché è supportata da misure simili prese da altre Banche centrali ad di fuori dell’Eurozona, come quella giapponese o quella svizzera.
Quello dei tassi negativi è ancora un territorio inesplorato, che potrebbe creare situazioni del tutto imprevedibili. Io penso in particolar modo all’indebolimento delle banche, che si trovano da un lato a dover pagare per depositare la loro liquidità in eccesso e dall’altro e dall’altro non possono trasmettere i tassi negativi a coloro che hanno depositi, per evitare l’esodo degli stessi e, di conseguenza, una svalutazione dei titoli bancari.
Al di là di questo, ritengo che si possa considerare la manovra di Draghi come l’ultimo del Quantitative Easing per contrastare la situazione di deflazione esistente in alcuni Paesi. Una situazione che non fa altro che confermare il fatto che siamo in una fase di stagnazione che alcuni definiscono “secolare”, in cui la sovrapproduzione cronica e generalizzata è immessa nel contesto di una domanda di beni e servizi che è stata tartassata dalle misure di austerità e dai tagli alla spesa pubblica ed ai salari, come dimostra ad esempio l’ultima moda del “lavoro gratuito”.
Queste misure rappresentano inoltre l’ultima spiaggia per supplire ad un vuoto politico al quale stiamo assistendo. Per fare un parallelismo storico, si potrebbe citare il periodo di tangentopoli in Italia, quando la magistratura ha colmato, a modo suo, il vuoto politico venutosi a creare all’inizio degli anni Novanta. Allo stesso modo oggi non c’è una capacità politica di tener viva un’Europa unita, com’è dimostrato dalla deflagrazione interna alla quale stiamo assistendo rispetto alla gestione dei flussi migratori. Il problema è che questo ruolo di supplenza, sul piano della decisionalità, non ha realmente determinato un rilancio dell’economia. Qualcuno diceva, citando Keynes, che le politiche monetarie stanno “spingendo la corda”, che invece servirebbe per tirare.
Tutto questo accade perché la fenomenale liquidità che viene iniettata nei circuiti bancari non riesce a “sgocciolare”. Soprattutto le piccole e medie imprese sono molto penalizzate da queste politiche, perché le banche hanno fatto crediti che oggi sono fortemente in sofferenza e questo rende maggiormente complicato l’accesso al credito. Tanto meno questa liquidità arriva nelle tasche delle famiglie, soprattutto in virtù de rilancio del credito ipotecario.
Quello che mi sembra più interessante in questa fase è che in diversi ambiti, già da un po’ di tempo, si sta dibattendo su quello che è stato definito il “Quantitative Easing for the people”. Si tratta di una declinazione diversa della politica monetaria espansiva, dove si cerca di bypassare il filtro delle banche e di distribuire direttamente nelle tasche dei cittadini una buona parte di questa liquidità, utilizzando la rimanente per politiche di investimento. Anche da parte di testate come il Financial Times o l’Economist sta crescendo l’interesse per questa versione diversa di politica espansiva, che dovrebbe perseguire la disintermediazione bancaria, utilizzando la cosiddetta “helicopter money” (espressione di Milton Friedman) e creando reddito aggiuntivo ai “cittadini europei”, definiti in termini generici in attesa di una maggiore destinazione dei destinatari. E’ interessante per i movimenti, ed in generale per i creatori e portatori di pensiero critico, incunearsi in questo dibattito ed assumere questa prospettiva (personalmente avevo sottoscritto una lettera al Financial Times su questo tema, nel marzo 2015), proprio perché sta raccogliendo consensi in tutti coloro (economisti e non solo) che stanno guardando con inquietudine all’inefficacia delle politiche di Draghi. Quello che colpisce è il fatto che in Italia questo dibattito sembra invece completamente assente, se non da pochi osservatori che ogni tanto la riprendono su alcune testate, come ad esempio Il sole 24 Ore. Forse in Italia il “Quantitative Easing for the people” viene snobbato perché visto come una versione su scala europea degli “80 euro” di Renzi, quando invece è molto più incisivo perché va a colpire l’intermediazione bancaria. Quest’ultima è all’origine del circolo vizioso finanziario creato dall’attuale forma di Quantitative Easing, visto che circa l’80% dei soldi iniettati nei circuiti bancari ritorna alla Bce sotto forma di depositi, a tassi negativi, proprio perché il credito alle imprese non decolla.
In definitiva quello che mi sembra interessante in questa fase è il seguente passaggio: le banche centrali, come quella europea e quella giapponese, stanno affrontando una situazione che da una parte chiama in essere misure eccezionali, dall’altra già contiene la consapevolezza che i risultati potrebbero essere scarsi se non nulli. Questa operazione si conforma dunque come ultimo tentativo in vista di qualcosa che potrebbe essere la versione più “popolare” del Quantitative Easing che, almeno in teoria, si pone il problema di come fare per aumentare la domanda.
L’idea liberale dell’ “helicopter money” è di origine monetarista ed è nata per criticare le politiche di tipo keynesiano fatte dalla banche centrali allo scopo di creare liquidità in più, che sfociava nell’inflazione. Adesso questa teoria viene rovesciata in termini di proposta positiva ed in questo paradosso è possibile intravedere delle alleanze finora inimmaginabili.
Uno degli obiettivi della versione neoliberale del “Quantitative Easing for the people” è quello di creare investimenti infrastrutturali, come ad esempio le grandi opere. E’ assolutamente necessario orientare questo dibattito verso investimenti di tipo antropogenetico, in settori come socialità, ricerca, sanità o cultura, che sono gli unici in questi anni ad aver creato occupazione e reddito. La sfida è dunque quella di stare in questo dibattito portando con forza questi temi, mirando ad investimenti in attività dove la produzione non è finalizzata alla creazione di cose, ma di relazioni, di soggetti, di benessere e di crescita degli spazi comuni. Citando un proverbio cinese noi dovremmo stare “nello stesso letto, ma con sogni diversi”: è difficile e sbagliato resistere a questa ondata espansiva della liquidità, l’importante è riorientarla al fine di ridurre le disuguaglianze.
E ‘importante infine che il “Quantitative Easing for the people” sia ricorrente nel tempo e che diventi una vera e propria forma di reddito di cittadinanza europeo, che si aggiunga a tutte le altre forme di reddito, salario o prestazioni sociali esistenti.
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