Il massacro di bambini nel Parco giochi Gulshan-e Iqbal di Lahore, opera dei talebani del ceppo Tehreek, Jamaat-ul-Ahrar (un tempo scissionisti ora forse riconciliati, comunque deobandi che spingono per un’aperta guerra religiosa) offre una sponda stragista all’aperto conflitto che nella stessa giornata di domenica ha visto scontri feroci nella zona proibita della capitale pakistana. Lì si sono riunite fra le dieci e le ventimila persone, hanno incendiato la stazione metro di Rawalpindi, chiedendo al Parlamento l’applicazione della shari’a.
Sulla
vicenda di Asia sviluppatasi fra il 2009, quando lei aveva dibattuto
pubblicamente con donne islamiche, e il 2010, quando una corte sentenziò
la sua condanna a morte, s’erano mosse alte sfere politiche. C’erano
state raccolte di firme, petizioni per la sospensione della sentenza
capitale, appelli del papa Benedetto XVI. Erano anche seguite le
esecuzioni per attentato del ministro cristiano Shahbaz Bhatti e del
citato governatore del Punjab, quest’ultimo per mano della guardia del
corpo Qadri che nel 2011 gli scaricò addosso 28 colpi della machine pistol d’ordinanza.
Durante i funerali del
poliziotto-assassino, colpito dal verdetto capitale a Rawalpindi, s’è
radunata una folla di centomila persone che chiedevano vendetta contro
le minoranze cristiane, considerate causa d’una destabilizzazione
socio-confessionale. ‘I’m Qadri’ gridava la massa dei
manifestanti che esaltava la propria contrapposizione a un governo
accusato di svilire le norme islamiche per “proteggere oltremodo i
cristiani”. In interviste riprese anche dalla tv nazionale, semplici
cittadini sostenevano che “l’Islam è una religione di armonia e pace, ma
non ammette d’essere insultata da infedeli e calpestata da una Corte”. E
un giorno via l’altro quest’astio, che monta da anni, è cresciuto.
Anche perché le minoranze religiose
(3 milioni d’indù, 2.8 di cristiani, quindi sikh, buddisti, ebrei, parsi
ma in quote davvero esigue di fronte ai 180 milioni d’islamici, all’80%
sunniti) rifuggono l’accusa di blasfemìa, supportate da gruppi
internazionali per i diritti umani. Dal canto loro i musulmani ritengono
che il governo non può infischiarsene di quella legge in una nazione
islamica, ribadendo che la Costituzione già protegge le minoranze.
Insomma un dialogo fra sordi, diventato sempre più infuocato.
Il deobandismo talebano s’inserisce
in questo clima e cerca spazi, sfruttando i vuoti creati dalla linea
ondivaga dello Sharif di governo, il premier Nawaz di tendenze wahhabite
ma considerato un moderato dai deobandi, e contro lo Sharif della
forza, il generale Raheel, solo omonimo del primo ministro e da militare
militarista, deciso a stroncare ogni rigurgito terrorista. Formato
nell’accademia militare di Lahore, dove le consulenze più raffinate
provengono direttamente dalla Us Army e dalla Cia, è il perfetto uomo
d’ordine che ha giurato di stroncare i Tehreek-e Taliban, puntando a
colpirli nelle loro raccheforti, i territori delle Fata. Lì esercito e
aviazione pakistani, più i dromi statunitensi, hanno fatto stragi di
civili. Le stragi di cui nessun media parla. Le vendette sono state
altrettanto sanguinose e odiose, colpendo i figli dei militari, come
accadde nel dicembre 2014 nella scuola di Peshawar. Massacri su
massacri, in un orrore deciso a proseguire.
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it
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