Centinaia di ragazzi dei quartieri difficili di sei città italiane, scendono in campo per disputare un vero e proprio campionato. Senza violenze né spari. Dove possono giocare tutti. All'insegna dell'uguaglianza.
“Celerino figlio di puttana”. Se li ricorda i cori nello stadio, Massimo. Un passato da poliziotto, nel reparto mobile. Quello dei cosiddetti “celerini”. E un sogno nel cuore coltivato per anni, quello di un calcio diverso, vicino ai più deboli, utile alla società, senza le esasperazioni che ruotano attorno ai grandi club, ai “grandi potentati economici”, come li definisce lui. Un sogno coltivato fino a lasciare il lavoro, per dedicarsi a tempo pieno alla costruzione di un modello diverso di gioco del pallone. Un sogno che oggi si chiama “calciosociale”, che si scrive tutto attaccato, quasi a voler sottolineare che le due cose viaggiano insieme, non possono essere separate: calcio e vocazione sociale. E uno slogan: “custodisci”.
Nove anni dopo Massimo non è più solo e attorno a quell’idea ha costruito un progetto. Un progetto che oggi è una realtà in 6 città italiane: Roma, nel quartiere Corviale, Napoli, nel quartiere di Scampia, Cagliari, Carsoli in provincia dell’Aquila, Empoli, e che a breve sarà anche a Monopoli. Ogni settimana va in scena un campionato “diverso”, che però per le centinaia di persone coinvolte, è il campionato normale. E’ l’altro, quello delle violenze negli stadi, dei Genny le carogne e degli spari, ad essere diverso; per i ragazzi che giocano qui e che ogni settimana ci mettono anima e corpo.A cominciare dai quartieri difficili, come Scampia e Corviale, dove questi rettangoli di verde attraggono ormai centinaia di ragazzi ogni settimana. Persone che nella maggior parte dei casi hanno, o hanno avuto, problemi con la droga o con la giustizia, o che provengono da famiglie problematiche. Ma a giocare ci sono anche persone con disabilità, psichica o fisica. Qui sono tutti uguali. Giocano uomini e donne di tutte le età e di religioni diverse. Non che non ci sia la passione agonistica, anzi. “Certo, anche qui capita di litigare”, raccontano alcuni ragazzi. Ma è l’idea alla base di tutto a regolare anche le discussioni sul campo.Tanto per cominciare, nel calciosociale non esiste l’arbitro - “Ci si deve auto-regolamentare sul campo” -. “Quando raccontiamo questa regola - racconta Graziana, trentenne, tecnico ambientale, che da qualche mese dedica il suo tempo libero a questi ragazzi e che, appena può, corre dall’ufficio di Prati a Corviale -, tutti ci dicono che senza arbitro è impossibile giocare, e ci chiedono se così non ci siano grandi litigate. Ma quando poi si va sul campo ci si rende conto che proprio la mancanza di un arbitro responsabilizza tutti. E’ una cosa incredibile”. E sono tante le persone che qui spendono il loro tempo in maniera totalmente gratuita e volontaria. Mamme, studenti, scout, liberi professionisti.
Da nove anni le squadre si affrontano in un campionato vero e proprio, dove alla fine si assegna uno scudetto. Ogni anno il campionato ha un tema, che da anche il nome alle squadre. Quest’anno, ad esempio, ha vinto la squadra denominata Geotermia, dato che il tema del campionato era quello dei materiali utilizzati per ricostruire il vecchio impianto di proprietà dell’Ater (Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale di Roma, ndr), che oggi è il primo impianto di calciosociale al mondo. “Cinque anni fa dormivamo a turno in questa struttura abbandonata per non far entrare vandali a distruggere quel poco che c’era, e per non farla occupare da alcuni esponenti della malavita che prima vi si rifugiavano” - racconta emozionato Massimo Vallati.
Oggi la struttura di Corviale è uno dei centri sportivi più avanzati dal punto di vista della bio-edilizia presenti in Italia. Massimo e il suo gruppo di ragazzi, infatti, non si sono accontentati di avere il “sì” al progetto da parte delle istituzioni, ma hanno voluto anche che la struttura fosse recuperata e ricostruita secondo le più moderne tecniche di bio-edilizia, in modo da essere totalmente sostenibile. “Non aveva senso fare un’altra colata di cemento di fronte questi lunghi palazzoni grigi. Altrimenti che alternativa avremmo offerto?” spiega un’altra volontaria. Così questa enorme determinazione finisce per attirare i grandi sponsor, dalla Fondazione Vodafone al Gruppo Mezzaroma alla Provincia di Roma. La CocaCola ha portato qui la coppa del mondo, e ora uno spot girato proprio a Corviale sarà trasmesso in occasione dei Mondiali del Brasile. Fondi che hanno consentito di realizzare i campi e la palestra, il tutto grazie anche al lavoro di tante persone del posto. Tanti “scesi” dal serpentone grigio di Corviale lungo un chilometro, per intagliare a mano 5 mila pezzi di legno che sarebbero finiti al macero, e che ora costituiscono il tetto della palestra.
Ma per i ragazzi del calciosociale questo è solo l’inizio. “Ora dobbiamo realizzare una mensa sociale con i generi alimentari che vengono ritirati dai supermercati ma che sono ancora commestibili, la prima mensa della legalità e socialità. Dobbiamo costruirla in balle di paglia, in auto-costruzione”. “Ora arriva il difficile” dice Massimo. Come se quanto fatto finora fosse stata la parte facile. Mentre è una sorta di miracolo, in un momento di sfiducia collettiva, di crisi economica e sociale come non si vedeva da decenni. E infatti, la nuova struttura di Corviale, quasi a volerlo ribadire, si chiama proprio “Campo dei miracoli”. E per chi scende da quei chilometri di palazzoni grigi a Corviale, come a Scampia, e in altri quartieri difficili del Paese, dove ad attenderli in strada c’è il nulla, quei rettangoli di verde dove sei accolto come un fratello in effetti devono apparire come un qualcosa non troppo diverso da un miracolo.
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