Che arrivasse un attacco frontale al libro di Thomas Piketty su capitalismo del XXI secolo e disuguaglianze era solo questione di tempo: troppo forte il vulnus al pensiero unico neoliberista e ai suoi dogmi, implicito nelle tesi dell’economista francese, per non scatenare reazioni da destra. È vero che le maggiori testate italiane, egemonizzate dalle teorie dei “Bocconi Boys”, come Paul Krugman definisce la versione made in Italy dei Chicago Boys, hanno inizialmente preferito seguire la strategia del silenzio, limitandosi, come ho segnalato su queste pagine a proposito di alcuni articoli apparsi sul Corriere della Sera, ad attaccare Piketty sul piano del pettegolezzo personale piuttosto che su quello scientifico, ma ora un articolo dell’editorialista del Financial Times, Chris Giles, offre anche ai nostri prudenti paladini del liberismo argomenti per alzare la voce.
micromega di Carlo Formenti | |
Danilo Taino ha colto al volo l’occasione – sul Corriere dello scorso 25 maggio – per togliersi un sassolino dalla scarpa. Essendosi trovato costretto, lo scorso anno, a scrivere una imbarazzata (e imbarazzante) difesa d’ufficio degli economisti di scuola liberista Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, pizzicati a usare dati sbagliati per sostenere la tesi secondo cui esisterebbe un rapporto diretto fra dimensioni del debito pubblico e crescita economica, oggi Taino può finalmente gridare “chi di spada ferisce di spada perisce”. Avete visto, gongola, anche il neokeynesiano Piketty manipola le cifre per screditare le tesi della scuola rivale, così i suoi fan di sinistra, come Krugman e Stiglitz, ora faranno più fatica ad alimentare il successo editoriale – ideologico e “modaiolo” più che scientifico – del giovane economista francese.
Peccato che, nel frattempo, le repliche dello stesso Piketty, di Paul Krugman e di altri economisti come Mark Gongloff abbiano ampiamente dimostrato 1) che le accuse di Giles, ove provate, metterebbero in dubbio solo l’analisi delle disuguaglianze in Inghilterra, e non quelle di tutti gli altri Paesi esaminati; 2) che la novità del libro di Piketty consiste nel fatto che analizza periodi storici molto lunghi, non nella tesi dell’aumento delle disuguaglianze che, negli ultimi decenni e in tutti i Paesi occidentali, è un dato di fatto appurato e dimostrato da una enorme mole di dati provenienti da fonti indipendenti a prescindere dal libro di Piketty; 3) che gli errori di Piketty, ove confermati, sarebbero in ogni caso meno gravi di quelli commessi a suo tempo dalla coppia Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff per cui, a differenza di questi ultimi, non ne metterebbero in discussione la tesi di fondo.
Danilo Taino, dunque, si espone alle stesse accuse di malafede che sono piovute addosso a Giles. Eppure occorre ammettere che, almeno su una cosa, ha ragione: questo dibattito non riguarda la statistica e la scienza economica, bensì la politica. Che l’aumento della disuguaglianza esista o meno, e soprattutto in che misura tale aumento sia politicamente tollerabile, è un interrogativo squisitamente politico e, al tempo stesso, riguarda assai da vicino l’attualissimo dilemma europeo fra austerità e crescita. Infatti lo stesso Taino (sul Corriere del 28 maggio) mette nuovamente all’opera il suo talento “negazionista” (paragonabile solo a quello di quel pugno di scienziati che si ostinano a sostenere che l’effetto serra non esiste) per ribadire, dopo avere negato l’aumento delle disuguaglianze, che quello fra austerità e crescita è un falso dilemma.
Anche qui il punto non è economico ma politico, e lo si capisce perfettamente quando Taino manifesta la propria soddisfazione in merito al fatto che le forze antieuropeiste – già divise fra estrema destra ed estrema sinistra – non abbiano veramente sfondato sul piano elettorale, per cui la santa alleanza fra Popolari e Socialdemocratici potrà continuare a imporre una politica economica liberista che non sarebbe, ribadisce il nostro, di destra né di sinistra ma solo dettata dalle esigenze “oggettive” dei mercati, mentre in realtà è palesemente funzionale ad annientare quanto resta della capacità di resistenza e contrattazione delle classi subordinate (quindi è di estrema destra).
(30 maggio 2014)
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