La Procura di Bologna ha riaperto, contro ignoti, l’inchiesta archiviata sui comportamenti omissivi di funzionari di Stato nella revoca della scorta al giuslavorista ucciso dalle Br il 19 marzo 2002. La revoca seguì a una circolare dell'allora ministro dell'Interno, e le tante pressioni per reintrodurla non trovarono ascolto.
A chiedere la riapertura delle indagini era stato il pm Antonello Gustapane, con l’ipotesi che chi sapeva delle minacce a Biagi non fece quello che era in suo potere e dovere per porlo al riparo. A motivare la riapertura delle indagini, alcuni documenti sequestrati dalla Procura di Roma in tutt’altra indagine, recentemente trasmessi a Bologna. Le carte sarebbero state in possesso di Luciano Zocchi, ex segretario di Scajola, l’ex ministro dell’Interno arrestato nei giorni scorsi con l’accusa di aver favorito la latitanza del collega di partito Amedeo Matacena.
Tra le carte in mano alla Procura, ci sarebbe una lettera di un politico vicino al giuslavorista che fu spedita a Claudio Scajola, allora ministro dell’Interno, in cui si spiegava la serietà del pericolo per Biagi, appena pochi giorni prima dell’assassinio. Sulla lettera ci sarebbe il ‘visto’ dell’ex ministro Scajola, che sostenne invece di non essere al corrente dei gravi rischi per il professore.
Il ministero dell’interno, che a quel tempo era appunto diretto da Scajola, aveva ritirato la scorta al professore nonostante le sue continue richieste. La scorta al giuslavorista, coautore tra l’altro del contestato Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia, fu tolta definitivamente in seguito a una circolare del ministro Scajola del 15 settembre 2001, che dava seguito a una riorganizzazione e riduzione generale di questo tipo di tutela in tutta Italia. Biagi, che riceveva continue minacce,anche telefoniche, per il suo contributo alla riforma della legislazione sul lavoro, chiese ripetutamente che la protezione fosse mantenuta, e per lui si mossero diverse personalità, compreso l’allora ministro del Welfare Roberto Maroni. Senza risultati, però: la scorta restò revocata e il docente venne assassinato il 19 marzo 2003, mentre rincasava in bicicletta, sotto la sua abitazione di via Valdonica.
Il 16 aprile, Scajola rispose in Senato al collega ministro Maroni, che sosteneva di aver chiesto al Viminale il ripristino della tutela: “Un mio interessamento non era ipotizzabile perché non fu mai richiesto da alcuno e perché non fui mai informato di questa vicenda”.
A far discutere nei mesi successivi l’omicidio, l’articolo del Corriere della Sera in cui si riportava un commento dello stesso Scajola: “A Bologna hanno colpito Biagi che era senza protezione ma se lì ci fosse stata la scorta i morti sarebbero stati tre. E poi vi chiedo: nella trattativa di queste settimane sull’articolo 18 quante persone dovremmo proteggere? Praticamente tutte”. Ma sopratutto il commento che più scosse l’opinione pubblica: “Non fatemi parlare. Figura centrale Biagi? Fatevi dire da Maroni se era una figura centrale: era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza”. Sull’onda delle polemiche, ministro dell’Interno del governo Berlusconi fu costretto a dimettersi subito dopo.
Il pm Gustapane è lo stesso magistrato che nel 2003 aveva chiesto l’archiviazione dall’accusa di cooperazione colposa in omicidio per diversi alti funzionari coinvolti nelle decisioni relative alle scorte: l’allora direttore dell’Ucigos, Carlo De Stefano, il suo vice Stefano Berrettoni, il questore Romano Argenio e il prefetto Sergio Iovino. Le nuove Br – fu la conclusione del gip che archiviò l’inchiesta, Gabriella Castore – scelsero di colpire il professor Biagi anche perché gli fu tolta la protezione, per una serie di errori sia a livello centrale che periferico, che però non avevano rilievo penale.
Per questa nuova indagine la Procura avrebbe sentito lo stesso Zocchi e la moglie dell’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, all’epoca sottosegretario di Maroni e destinatario, nell’estate 2001, di una e-mail in cui il giuslavorista già denunciava minacce. Nei giorni scorsi è stato sentito un altro testimone, nel massimo riserbo.
“Prendiamo atto” ha commentato con l’Adnkronos il legale della famiglia Biagi, Guido Magnisi. Quanto all’ipotesi che la famiglia del giuslavorista possa costituirsi parte civile in un eventuale nuovo processo, l’avvocato risponde che per ora su questo è prematuro esprimersi, poiché aggiunge “non abbiamo elementi” di merito. Al momento comunque, conferma Magnisi, la vedova Biagi, Marina Orlandi, “non è stata chiamata” dagli inquirenti ai quali, comunque, la donna ha espresso tramite il suo legale la propria disponibilità ad essere sentita, qualora i pm lo ritenessero utile.
Nel frattempo è durato circa 2 ore e mezza il colloquio nel carcere Regina Coeli di Roma tra l’ex ministro e il suo avvocato Giorgio Perroni. “Sta bene, abbiamo parlato principalmente del processo e poi del più e del meno – ha detto all’Adnkronos Perroni – Sull’archivio e sulla lettera di cui parlano tanto i giornali io non so niente. Noi conosciamo le vicende che ci sono state contestate a Roma e per le quali si è già svolto l’interrogatorio. Quella lettera non è stata sequestrata a noi e quindi non siamo in grado di fare nessun commento”. Sarà invece interrogata venerdì prossimo Chiara Rizzo, la moglie di Matacena, che da ieri si trova nel carcere di Reggio Calabria.
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