Diverse le novità previste per combattere l’emergenza abitativa. Ma non tutte le misure partiranno con effetto immediato: molte attendono i decreti di attuazione come l'affitto con riscatto e il maxi piano di recupero e risanamento dell'edilizia residenziale pubblica.
Queste le novità più importanti previste dal Piano che in tutto vale circa un miliardo e 800 milioni di euro con tre obiettivi: il sostegno all’affitto a canone concordato, l’ampliamento dell’offerta di alloggi popolari e lo sviluppo dell’edilizia residenziale sociale.
Così, diversamente da quanto accaduto in passato quando con il Piano casa del 2009, targato Berlusconi, si offrì ai cittadini la sola possibilità di “effettuare interventi di ampliamento e/o ricostruzione della propria abitazione e di semplificare le procedure burocratiche inerenti i lavori di edilizia”, ora la politica si è concentrata invece sull’aspetto sociale, dando una risposta a una delle emergenze più forti in Italia: la mancanza di alloggi per inquilini a basso reddito. Sono 700 mila le famiglie aventi diritto che sono in attesa di un alloggio popolare che non esiste.
Ma se questa decisione di aumentare il numero delle case popolari, grazie alla ristrutturazione di quelli fatiscenti e perciò attualmente inutilizzabili (l’operazione dovrebbe riguardare nell’immediato almeno 12.000 alloggi), ha portato apprezzamenti bipartisan, lo stesso Piano mostra anche il pugno duro contro il fenomeno delle occupazione degli alloggi pubblici. Quanti occupano un immobile senza averne titolo non potranno, infatti, richiedere gli allacciamenti per le forniture di luce, acqua, gas e telefono. E sempre a questi “delinquenti”, così come li ha definiti il ministro Lupi, è fatto divieto di richiedere un altro alloggio sociale per almeno cinque anni.
Decisione fortemente contestata dai movimenti per la casa che criticano anche gli stanziamenti del plafond: 100 milioni di euro per incrementare il Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione e altri 226 milioni da destinare agli inquilini morosi incolpevoli.
“Non sono numeri reali: si ottengono – spiega Walter De Cesaris, segretario nazionale dell’Unione Inquilini – sommando gli stanziamenti dal 2014 al 2020. Anno per anno, quindi, sono meno di 40 milioni di euro in media. Peccato che – prosegue De Cesaris – solo quindici anni fa, con la crisi ancora lontana, il solo fondo sociale per gli affitti era di 600 miliardi di lire all’anno, ovvero più di 300 milioni di euro. Così nel 2014, con un numero di sfratti per morosità tre volte superiore a quello di 15 anni fa, ci sono risorse per le famiglie meno abbienti tre volte inferiori”.
Il fondo stanziato potrà anche essere usate dai Comuni per stipulare nuove convenzioni per ulteriori alloggi a canone concordato. “Ma la somma – sottolineano dall’associazione – non riesce a rispondere all’entità della domanda, vale a dire a 650 mila famiglie che attendono nelle graduatorie comunali”.
L’Unione Inquilini contesta anche l’articolo 3 sull’offerta di acquisto degli alloggi ex Iacp (Istituti autonomi case popolari) agli inquilini. “Non si prevede di aumentare le case popolari, ma – dicono – si tratta di una delega al governo per varare un decreto che, anche in deroga alle leggi vigenti di tutela degli assegnatari, acceleri il processo di dismissione del patrimonio dell’edilizia residenziale pubblica”.
A fare il punto sull’articolo 10, che per ridurre il disagio abitativo e aumentare l’offerta di alloggi sociali promuove il processo di integrazione delle aree già urbanizzate, è l’urbanista Paolo Berdini. “In altre parole si permette di assimilare gli alloggi recenti invenduti dai costruttori in alloggi sociali, che vuol dire ottenere tutte le agevolazioni di legge ed economiche per destinarli a famiglie in grado di pagarsi un mutuo immobiliare”.
Altro punto critico è l’impossibilità di utilizzare immeritamente 500 milioni di euro per recuperare le decine di migliaia di immobili di residenza pubblica disponibili, ma non utilizzabili perché bisognosi di interventi di ristrutturazione. Sarà, infatti, compito delle Regioni comunicare l’elenco degli immobili, di proprietà comunale o degli enti, che possono tornare a disposizione con interventi meno impegnativi.
Tra le altre novità previste dal Piano, vanno ricordate l’introduzione della cedolare secca al 10% per i contratti a canone concordato stipulati nei Comuni in emergenza abitativa e in quelli colpiti da eventi calamitosi e la sanatoria fino al 31 dicembre 2015 per gli affittuari che, in base alla legge in vigore dall’aprile 2011, per usufruire del maxi-sconto sul canone annuo che diventava equivalente al triplo della rendita catastale e quindi in molti casi inferiore anche dell’80% al valore di mercato, hanno prima denunciato di pagare l’affitto in nero per usufruire e poi hanno scoperto che questa norma è stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta nel marzo scorso.
Infine, le detrazioni Irpef del 50% per le ristrutturazioni edilizie e l’acquisto di mobili. Il bonus (con un tetto massimo di spesa di 10.000 euro) è stato svincolato dalla ristrutturazione e si potrà portare in detrazione anche quando la spesa per i mobili è superiore a quelle sostenute per i lavori.
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