Secondo il presidente del Congresso nazionale generale a capo dell'agguato ci sarebbe l'ex generale Haftar. I deputati sono stati costretti a lasciare in fretta il palazzo. Intanto continuano gli scontri e i bombardamenti a Bengasi, dove negli ultimi due giorni sono morte 80 persone. Il comandante Fernana in tv: "Sospesa l'attività dell'assemblea".
“Noi, membri dell’esercito e rivoluzionari (ex ribelli) annunciamo la sospensione del Cng (ndr parlamento)”, ha detto. L’episodio arriva dopo numerosi giorni di scontri e violenze su tutto il territorio nazionale. Dopo Bengasi, anche a Tripoli sono esplosi disordini in seguito all’assalto. Forti esplosioni e spari risuonano da almeno due ore nella zona dell’aeroporto della capitale. Secondo testimoni oculari gli scontri vedrebbero contrapporsi membri della milizia Qaqaa che ha oggi circondato la sede del Cng e altre formazioni armate rivali che hanno respinto l’attacco del gruppo. La potente milizia Qaqaa, della città di Zintan e affiliata al ministero della difesa, controlla dalla fine della rivoluzione la zona dell’aeroporto.
L’attenzione si è così spostata dai combattimenti della Cirenaica – dove tra venerdì e sabato Bengasi è finita sotto i bombardamenti aerei delle truppe del generale in pensione Khalifa Haftar che ha scatenato un’offensiva “contro i terroristi” (80 morti e 140 feriti) – alle sedi istituzionali che da neanche quindici giorni hanno un nuovo premier, Ahmed Miitig, nominato per porre fine al caos e all’anarchia ma da molti (anche tra la popolazione civile) considerato troppo vicino ai fondamentalisti islamici. E comunque finora è stato incapace di limitare scorrerie e violenze di una miriade di gruppi fuori controllo ma tutti pesantemente armati.
Non è stato finora possibile capire se il violento attacco al Congresso nazionale generale (Cng) sia collegato all’offensiva capeggiata da Haftar nell’est della Libia. Ma il presidente dell’organismo, Nouri Abou Sahmein, lo stesso che ieri aveva gridato al tentato colpo di stato per i bombardamenti aerei su Bengasi, ha attribuito la gestione dell’operazione odierna proprio ad Haftar. Altre fonti, spiegando che gli assalitori sono arrivati a bordo dei blindati dalla strada che collega la capitale all’aeroporto e che se ne sono andati percorrendo la stessa arteria verso sud, si sono dette quasi sicure che si tratti dei potenti miliziani di Zintan. Quelli delle brigate che tengono prigioniero il figlio del defunto Muammar Gheddafi, Saif al-Islam, e che si sono sempre rifiutate di consegnarlo a Tripoli. Quelli noti fin dall’inizio della rivolta nel 2011 per la loro decisa opposizione al fondamentalismo islamico.
Già in febbraio avevano inviato un ultimatum al Cng, la più alta autorità del Paese, perché rinunciasse al potere: erano stati definiti golpisti e non avevano ottenuto nulla di ufficiale, ma non avevano dato seguito alla minaccia di attaccare in massa Tripoli. Poco dopo il governo di transizione aveva annunciato un “compromesso”, mai spiegato nei dettagli. Le brigate di Zintan hanno mantenuto intatto il loro potere e si sono tenute Saif al-Islam Gheddafi: tant’è che al processo che lo vede imputato a Tripoli insieme ad altri ex fedelissimi del padre (come l’allora capo dei servizi segreti Abdullah al-Senussi) durante le udienze compare in video proprio dalla località del sud libico.
Secondo alcuni osservatori, il possibile collegamento tra le milizie di Zintan e il generale “pensionato” Khalifa Haftar potrebbe essere proprio la lotta all’integralismo islamico che a Bengasi ha la sua punta di diamante nell’organizzazione jihadista Ansar al-Sharia, inserita dagli Usa nella lista delle organizzazioni terroristiche con più che probabili collegamenti con la rete di al Qaida.
Proprio la determinazione anti-qaedista potrebbe essere all’origine del sostegno ottenuto da Haftar da frange dell’esercito che nell’est gli hanno messo a disposizione aerei, elicotteri e armi pesanti. Oltre a un imprecisato numero di alti ufficiali e soldati che si sono autodefiniti “Esercito nazionale libico”, associandosi al suo proclama: “Non molleremo finché non avremo raggiunto i nostri obiettivi”. Cioè difendere “il popolo, dai terroristi … Non voglio il potere. Ho solo risposto agli appelli della popolazione” stremata da più di tre anni di guerra. E a pezzi anche economicamente, visto il blocco dei terminal petroliferi e delle esportazioni di quella che era la maggiore ricchezza del Paese.
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