giovedì 15 maggio 2014

Legge Poletti, come cambiano i contratti a termine.

Legge Poletti, come cambiano i contratti a termineMandato avanti con il meccanismo della fiducia, il testo sarà legge. Tra le novità: contratti temporanei rinnovabili fino a 36 mesi (per la riforma Fornero erano 12) con una soglia massima per ogni azienda . Sugli apprendistati, invece, l’intervento principale è sulla quota di rapporti da trasformare in assunzioni

















Il decreto Poletti, la riforma dei contratti a tempo determinato e di apprendistato, sarà presto legge. Vediamo cosa cambia e quali sono le novità. Cominciando però da una caratteristica che novità non è: ormai non fa più neanche discutere, e anzi si plaude alla velocità, ma quello su decreto Poletti, che la Camera ha appena approvato, è per Matteo Renzi il nono voto di fiducia, per un governo in carica da neanche tre mesi.

Dopo le prime trattative con gli alleati del Nuovo Centro Destra e con il referente sul lavoro Maurizio Sacconi, infatti, il governo ha chiuso ogni via di dibattito parlamentare, e - con il meccanismo della fiducia - il testo è stato mandato avanti, tanto alla Camera quanto al Senato, senza che un solo emendamento estraneo all’accordo potesse esser discusso. Ora è legge. Vediamo cosa cambia per i futuri (nulla cambia per quelli in essere) contratti a tempo determinato e gli apprendistati.
 
Sui contratti a termine, il cuore del provvedimento è l’acasualità. Viene cioè eliminato l’obbligo di inserire nel contratto la motivazione per cui l’azienda ricorre a un contratto a tempo determinato, specificando cioè le ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive che rendono legittimo l’apposizione di un termine al contratto del suo dipendente.

Questi potranno poi esser rinnovati continuativamente fino a 36 mesi, non più come previsto dalla riforma Fornero per dodici. Il Partito Democratico ha ottenuto - ma il sindacato la considera una vittoria di Pirro - che in questi 36 mesi i rinnovi possano essere un massimo di 5, e non di 8, come previsto dal ministro Poletti, per spingere così verso contratti di durata maggiore.
 
Il decreto introduce poi una soglia massima di contratti a termine per azienda. Si stabilisce infatti un tetto del 20 per cento rispetto al totale dei lavoratori, che potrà però esser ammorbidito dai contratti di settore. Grazie all’opposizione degli alfaniani, poi, il tetto voluto dai democratici non prevede più come sanzione amministrativa la trasformazione del contratto in eccesso in contratto a tempo indeterminato, ma il pagamento allo Stato di una sanzione, pari al 20 per cento dello stipendio previsto dal contratto in più. Il tetto vale per le aziende con più di 5 dipendenti.
 
Dalla riforma sono esclusi i ricercatori tanto degli enti privati quanto di quelli pubblici. Per loro non vale né il limite dei 36 mesi, né il tetto del 20 per cento. La scelta è stata motivata dal relatore al Senato Pietro Ichino con la durata «spesso quinquennale dei progetti di ricerca europei».
 
Sugli apprendistati, invece, l’intervento principale è sulla quota di rapporti che le aziende devono trasformare in assunzioni prima di poter procedere con nuovi apprendistati. La quota del 20 per cento resta solo per le aziende con più di 50 dipendenti, che per la Cgia di Mestre sono appena lo 0,5 per cento delle aziende italiane, mentre prima il vincolo riguardava già quelle con 30 dipendenti.

Sulla formazione degli apprendisti, poi, il braccio di ferro tra Pd e Ncd ha prodotto sì il mantenimento dell’obbligo di un piano di formazione personalizzato, che potrà però esser scritto in maniera sintetica, e esser svolto non solo dal pubblico ma anche dalle imprese e dalle loro associazioni.

Novità anche sulla maternità. Se il congedo di maternità interverrà durante un contratto a termine, concorrerà infatti a determinare il periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza all'assunzione.

Precedenza che sarà riconosciuta anche per le assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro nei dodici mesi successivi, ma solo per le mansioni svolte con il precedente incarico. La loro precedenza così come quella dei precari che abbiano svolto almeno sei mesi di lavoro in azienda dovrà essere espressamente richiamata nel contratto di lavoro.

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