Tocca ammetterlo, e dispiace soprattutto se almeno idealmente ci si sente vicini alle proposte e alla cultura di Nichi Vendola: ma l’unico vero sconfitto di queste primarie-concorso è proprio lui. La sua strategia – come tanti del suo mondo gli avevano già fatto notare – si è dimostrata un fallimento. E il misero 15 per cento era in realtà una storia già scritta. Praticamente da tre anni a questa parte il leader di Sel ha fatto fuoco e fiamme giorno per giorno: voleva le primarie, le voleva a tutti i costi. Perché le primarie erano il rumore del mare che un bambino ascolta dentro la conchiglia, e roba del genere, raccontava lui. Pareva quasi che il futuro della sinistra, che il riscatto dei lavoratori, degli studenti, della Fiom, degli sfruttati di tutto il mondo stesse lì: nelle primarie. Un modo un po’ edulcorato per rappresentare la realtà di un Paese, e soprattutto di una coalizione sorretta dal Pd, che nel frattempo ha votato tutti i provvedimenti del governo Monti (che a parole Vendola combatte).
«Vedrai, alle primarie scorrerà il sangue», mi giurò un amico-compagno di “Sinistra e Libertà” molto vicino al presidente pugliese quando in tanti gli facemmo notare che il progetto di Bersani era centrosinistra più Udc, quindi cambiare tutto per non cambiare nulla. Non solo nessuno ha visto metaforicamente scorrere sangue (cioè una campagna realmente alternativa, forte, autonoma sia sul piano politico che simbolico), ma addirittura il popolo di sinistra si è dovuto sorbire il peana sul cardinale, risposte tiepide sulla futura alleanza con il centro e un totale appiattimento su Bersani. Vendola ne è uscito fuori come candidato del Pd, anzi, della sinistra Pd. E allora verrebbe da solidarizzare con quei poveri cristi che nel 2008 uscirono dal Pd perché non volevano morire democristiani e quindi fondarono Sel con Vendola e che cinque anni dopo rientrano silenziosi e sconfitti, trattando posti in lista un po’ qui e un po’ là da Gennaro Migliore e simili.
Infine, la tanto decantata unità della sinistra. Sel nacque col proposito di unire, e già la cosa faceva un po’ ridere perché cercò di farlo cominciando da una scissione all’interno dell’allora partito più grande della sinistra, cioè Rifondazione. La cosa gli venne perdonata da molti perché l’idea di lavorare a una sinistra radicale nei contenuti ma liberata dagli orpelli ideologico-vintage poteva avere pure un senso. Però è andata a finire che Vendola ha partecipato alle primarie perdendo per strada pezzi consistenti di Fiom, prima di aver scaricato Di Pietro dall’oggi al domani e umiliando gli ex compagni del Prc; è riuscito a perdere l’appoggio di Fausto Bertinotti, suo padre politico; non ha avuto il sostegno di Luigi De Magistris né di Alba, Giuliano Pisapia ha dichiarato il suo voto per lui solo il giorno prima. Perché Vendola e il suo gruppo dirigente hanno pensato – a torto – che bastasse la poesia dei comizi e un po’ di web-marketing per vincere, superando a pie’ pari tutte le relazioni e i rapporti necessari per mobilitare in primis il “proprio” popolo.
Vendola è arrivato alle primarie con il fiatone, appannato, confidando solo e semplicemente sulla propria attrattiva personale e sul clan dei fedelissimi, molti dei quali con evidente e preoccupante tendenza al culto della personalità. No, per vincere non basta. Per cambiare il Paese non basta. Per riuscire ad andare al governo e amministrare l’esistente senza creare troppi problemi e senza cambiare i rapporti di forza, per quello sì, basta e avanza. E allora auguri. Ps: chi ha la disgrazia e la fortuna di ritrovarsi spesso su questo spazio, sa benissimo che questo non è un commento facile emesso a risultato avvenuto. Era una previsione. Azzeccata.
(Matteo Pucciarelli, “L’unico vero sconfitto si chiama Nichi Vendola”, da “Micromega” del 26 novembre 2012).
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