sabato 22 dicembre 2012

E liberaci da Monti e dal montismo

di Lelio Demichelis
Se fossimo credenti (ma non lo siamo), la nostra preghiera al Signore sarebbe facile: e liberaci dal male. E quindi, da Monti, dal montismo e dai tanti montisti d’occasione. 

Liberaci da Monti, dal montismo come nuova versione del pensiero unico e dai montisti. Liberaci dal ‘male’ economico e sociale che si è prodotto, un male che non è la ‘privatio boni’ di Agostino ma è quel ‘male’ ideologico che è stato deliberatamente prodotto dal neoliberismo, dai suoi ideologi e dai suoi sacerdoti e teologi (i professori, gli esperti, i tecnici). 

Liberaci da quella nuova ‘banalità del male’ che è andata a colpire i deboli e non i patrimoni, il lavoro e non la finanza e la speculazione (rinviando persino la Tobin tax promessa), le pensioni e non i bonus dei manager; che ha tagliato ricerca istruzione e formazione (un paradosso nel paradosso, o un nichilismo nel nichilismo, essendo un governo di ‘professori’); che ha ridotto i diritti al lavoro, alla salute, all’istruzione, all’ambiente, alla cittadinanza (diritti costituzionali, che sarebbero quindi ‘indisponibili’), che ha impoverito la democrazia in nome dello ‘stato d’eccezione’, che teme i populismi che esso stesso ha creato e prodotto, senza però vedere la consequenzialità tra causa ed effetto. 

La ‘banalità del male’ economico


Un ‘male’ (impoverimento, disuguaglianze, disoccupazione, rassegnazione), che viene imposto in modi molto ‘cattolici’ (ma certo non cristiani), come doverosa ‘testimonianza di fede’ neoliberista, una fede ideologica, il capitalismo come autentica religione secondo Walter Benjamin (una religione cultuale, “forse la più estrema che si sia mai data”; a durata permanente; capace di generare colpa; e con il suo dio ben celato), perché anche il capitalismo “serve essenzialmente alla soddisfazione delle medesime ansie, sofferenze, inquietudini” di una religione. 

Un ‘male’ da subire perché deriverebbe appunto da una colpa nostra e non della finanza, delle borse e dei banchieri: la colpa di avere vissuto ‘al di sopra dei nostri mezzi’. Dimenticando che questo ‘dover vivere al di sopra dei nostri mezzi’ è stata una scelta deliberata dettata dal sistema bancario e finanziario mediante l’induzione di indebitamento crescente e di massa (facendoci passare da lavoratori a consumatori e infine a debitori). Una ‘colpa’ che ora necessita di redenzione, di salvezza, ovvero di austerità, di impoverimento, di declassamento sociale. 

Un ‘male’ che deve dunque essere accettato, accolto, sopportato, persino amato, perché questa sofferenza e questo ‘male’ sono il prezzo (ci dicono i teologi del capitalismo) da dover pagare per la salvezza di domani (la crescita, la ‘luce divina’ della crescita in fondo al tunnel) – o, come ancora scriveva Benjamin: “L’estensione della disperazione a stato religioso del mondo, da cui attendersi la salvezza” (anche se pure Benjamin sbagliava quando pensava al capitalismo come religione per mero culto, “senza dogma” e senza teologi: i dogmi e i teologi esistono, eccome). Una autentica ‘pedagogia del dolore’ (come scrive Umberto Galimberti a proposito di cristianesimo), ma propria anche del capitalismo (“parassita del cristianesimo”, ancora Benjamin). Quel neoliberismo che dopo averci permesso (per i suoi profitti) di vivere al di sopra dei nostri mezzi, oggi ci impone (sempre per i propri profitti) di soffrire, di espiare – processo ben sintetizzato dal titolo di un pregevole articolo di Ida Dominijanni di un anno fa: ‘Dal godimento alla penitenza’). Ieri la bio-politica accattivante dell’edonismo, del consumismo, dell’egoismo e dell’egotismo; oggi la tanato-politica della morte civile e sociale e dell’impoverimento di massa.

Un ‘male’ che poteva e doveva essere evitato (altre ricette economiche erano possibili e doverose: Keynes e Beveridge, invece di Hayek e Friedman), ma spacciato per ‘bene’ necessario (espiare la colpa) e virtuoso (in realtà, è puro nichilismo; distruggere tutto: stato sociale, lavoro, redditi, scuola e istruzione, sicurezza sociale, per avere una nuova alba, una nuova luce – appunto – in fondo al tunnel). Una ‘banalità del male’ economico e sociale, secondo il quale producendo prima e aggravando poi la recessione con politiche pro-cicliche (e non, come sarebbe stato invece urgente e necessario e soprattutto logico e razionale, ovvero con politiche anti-cicliche) si risolvevano i problemi di debito pubblico e didi Lelio Demichelis

Se fossimo credenti (ma non lo siamo), la nostra preghiera al Signore sarebbe facile: e liberaci dal male. E quindi, da Monti, dal montismo e dai tanti montisti d’occasione. 

Liberaci da Monti, dal montismo come nuova versione del pensiero unico e dai montisti. Liberaci dal ‘male’ economico e sociale che si è prodotto, un male che non è la ‘privatio boni’ di Agostino ma è quel ‘male’ ideologico che è stato deliberatamente prodotto dal neoliberismo, dai suoi ideologi e dai suoi sacerdoti e teologi (i professori, gli esperti, i tecnici). 

Liberaci da quella nuova ‘banalità del male’ che è andata a colpire i deboli e non i patrimoni, il lavoro e non la finanza e la speculazione (rinviando persino la Tobin tax promessa), le pensioni e non i bonus dei manager; che ha tagliato ricerca istruzione e formazione (un paradosso nel paradosso, o un nichilismo nel nichilismo, essendo un governo di ‘professori’); che ha ridotto i diritti al lavoro, alla salute, all’istruzione, all’ambiente, alla cittadinanza (diritti costituzionali, che sarebbero quindi ‘indisponibili’), che ha impoverito la democrazia in nome dello ‘stato d’eccezione’, che teme i populismi che esso stesso ha creato e prodotto, senza però vedere la consequenzialità tra causa ed effetto. 

La ‘banalità del male’ economico

Un ‘male’ (impoverimento, disuguaglianze, disoccupazione, rassegnazione), che viene imposto in modi molto ‘cattolici’ (ma certo non cristiani), come doverosa ‘testimonianza di fede’ neoliberista, una fede ideologica, il capitalismo come autentica religione secondo Walter Benjamin (una religione cultuale, “forse la più estrema che si sia mai data”; a durata permanente; capace di generare colpa; e con il suo dio ben celato), perché anche il capitalismo “serve essenzialmente alla soddisfazione delle medesime ansie, sofferenze, inquietudini” di una religione. 

Un ‘male’ da subire perché deriverebbe appunto da una colpa nostra e non della finanza, delle borse e dei banchieri: la colpa di avere vissuto ‘al di sopra dei nostri mezzi’. Dimenticando che questo ‘dover vivere al di sopra dei nostri mezzi’ è stata una scelta deliberata dettata dal sistema bancario e finanziario mediante l’induzione di indebitamento crescente e di massa (facendoci passare da lavoratori a consumatori e infine a debitori). Una ‘colpa’ che ora necessita di redenzione, di salvezza, ovvero di austerità, di impoverimento, di declassamento sociale. 

Un ‘male’ che deve dunque essere accettato, accolto, sopportato, persino amato, perché questa sofferenza e questo ‘male’ sono il prezzo (ci dicono i teologi del capitalismo) da dover pagare per la salvezza di domani (la crescita, la ‘luce divina’ della crescita in fondo al tunnel) – o, come ancora scriveva Benjamin: “L’estensione della disperazione a stato religioso del mondo, da cui attendersi la salvezza” (anche se pure Benjamin sbagliava quando pensava al capitalismo come religione per mero culto, “senza dogma” e senza teologi: i dogmi e i teologi esistono, eccome). Una autentica ‘pedagogia del dolore’ (come scrive Umberto Galimberti a proposito di cristianesimo), ma propria anche del capitalismo (“parassita del cristianesimo”, ancora Benjamin). Quel neoliberismo che dopo averci permesso (per i suoi profitti) di vivere al di sopra dei nostri mezzi, oggi ci impone (sempre per i propri profitti) di soffrire, di espiare – processo ben sintetizzato dal titolo di un pregevole articolo di Ida Dominijanni di un anno fa: ‘Dal godimento alla penitenza’). Ieri la bio-politica accattivante dell’edonismo, del consumismo, dell’egoismo e dell’egotismo; oggi la tanato-politica della morte civile e sociale e dell’impoverimento di massa.

Un ‘male’ che poteva e doveva essere evitato (altre ricette economiche erano possibili e doverose: Keynes e Beveridge, invece di Hayek e Friedman), ma spacciato per ‘bene’ necessario (espiare la colpa) e virtuoso (in realtà, è puro nichilismo; distruggere tutto: stato sociale, lavoro, redditi, scuola e istruzione, sicurezza sociale, per avere una nuova alba, una nuova luce – appunto – in fondo al tunnel). Una ‘banalità del male’ economico e sociale, secondo il quale producendo prima e aggravando poi la recessione con politiche pro-cicliche (e non, come sarebbe stato invece urgente e necessario e soprattutto logico e razionale, ovvero con politiche anti-cicliche) si risolvevano i problemi di debito pubblico e di deficit pubblico. Un ‘male’ prodotto ostinatamente, cinicamente – ecco la sua banalità, la sua violenza sociale, il suo nichilismo. 

Tornare a Kant

Ma poiché, come detto, non siamo credenti, ma illuministi, non invochiamo il Signore e siamo convinti – a differenza della Chiesa – che religione e ragione siano due mondi separati e inconciliabili (e quindi anche una ‘religione’ economica, contraddice la ragione e la razionalità) e preferiamo rifarci a Kant, che invocava un uomo che fosse finalmente ‘soggetto autonomo’, capace di decidere da sé e quindi di uscire dalla propria ‘minorità’ che è “l’incapacità di servirsi del proprio intelletto, senza la guida di un altro”. Per cui (e invece), per ritrovare auto-nomia e ‘maggiorità’ diciamo, con Kant: “Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza”. Mentre “se ho un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha coscienza per me, io non ho più bisogno di darmi pensiero da me. Purché io sia in grado di pagare, non ho bisogno di pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione”, tenendomi nel mio ‘girello per bambini’ e facendomi perdere la voglia e il desiderio di uscire dal girello e di provare a camminare, pensare, ragionare, decidere con le mie gambe e la mia testa. Da tutte le parti, diceva Kant, “odo gridare: non ragionate! L’ufficiale dice: non ragionate, ma fate esercitazioni militari. L’intendente di finanza: non ragionate, ma pagate! L’ecclesiastico: non ragionate, ma credete!”.

Ecco, oggi siamo in una situazione molto simile a quella di allora, è solo mutato il ‘soggetto’ che ci impone di non ragionare ma di ‘’credere’ (oggi, i mercati, le agenzie di rating, i bocconiani e i banchieri). Non ragionate! Ovvero non bisogna cercare di ‘capire’ se questa adottata in Italia (come in Grecia o in Spagna e altrove) sia stata davvero l’unica ricetta economica possibile. 

Piuttosto – lo dice Monti, lo dicono i grandi mass-media, lo dicono Casini e Montezemolo (sic!) – dovete ‘credere’, dovete ‘crederci’, perché noi – noi Mario Monti, Mario Draghi, Manuel Barroso, Angela Merkel – noi ci siamo assunti l’onere di farvi muovere sul girello per bambini che abbiamo realizzato per voi; perché noi siamo coloro che sanno e ‘coloro che sono’ (noi siamo coloro che siamo perché siamo gli esperti, i professori, i tecnici), voi dovete solo credere in noi, dovete fare ‘esercitazioni militari’ accettando l’ordine di diventare disoccupati o precari; voi dovete pagare le tasse e impoverirvi, perché questo è utile non solo al pareggio di bilancio ma soprattutto alla nuova divisione internazionale del lavoro (non potendo più svalutare la lira per dare fiato a un’economia che non innova, oggi si devono ‘svalutare’ il lavoro e i redditi), perché il vostro benchmark (coloro che dovete imitare, diventando come loro) per i prossimi anni saranno i lavoratori-schiavi cinesi: quello è il vostro modello, quello il vostro futuro e a noi dovete credere, perché noi siamo classe dirigente, noi sappiamo cosa è bene e cosa è male per voi e per il paese, noi siamo i vostri ‘pastori’ e voi siete il nostro ‘gregge’. 

E ogni gregge – in nome della coesione nazionale invocata dal Presidente Napolitano, della competizione invocata dagli industriali o del pareggio di bilancio invocato dai ragionieri al governo (e bisognerebbe chiedere scusa ai ragionieri) – deve sempre seguire il suo ‘pastore’, colui che è, colui che sa, colui che guida e che ha costruito per le ‘pecore del gregge’ opportuni girelli per bambini, per togliere la fatica di pensare (e noi, per ‘pigrizia’ e per ‘viltà’, come diceva ancora Kant, abbiamo rinunciato al nostro diritto/dovere di pensare e di uscire dal girello che ci fa restare infantili e dipendenti). 

Allo stesso tempo facendo fare a voi – voi obbedienti e rassegnati, ‘complici’ i sindacati (alcuni) e una certa sinistra – ciò che noi èlite, noi banchieri (che abbiamo provocato la crisi), noi professori della più prestigiosa (sic!) università italiana, abbiamo deciso che voi dobbiate fare. 

E liberiamoci di Monti. E del montismo

Dal disastro economico e soprattutto sociale prodotto da Monti e dal montismo bisogna uscire e in fretta, perché è un disastro che si poteva e si doveva evitare usando l’intelligenza e non l’ideologia, la logica e non l’ostinazione, la fantasia e non la routine del pensiero unico neoliberista, rileggendo soprattutto come era nata la crisi del 1929 e come se ne era usciti con Roosevelt. 

Ma bisogna soprattutto smettere questa corsa affannosa e insulsa a Monti e al montismo. Al Pd bisognerebbe ricordare il kantiano sapere aude! Dunque, usi l’intelligenza, il sapere, la saggezza politica, rivendichi auto-nomia dai mercati, dalle agenzie di rating, dall’ideologia neoliberista, dalla religione capitalistica, dalla paranoia del pareggio di bilancio. Esca dalla ‘paura’ e dalla ‘viltà’ di un pensiero etero-nomo perché subordinato ai mercati, rivendichi il diritto e il dovere di pensare politicamente in modi diversi, altri, auto-nomi e soprattutto lungi-miranti. 

Ma il sapere aude! vale soprattutto per la società, per noi e per i nostri figli, cui stiamo negando il progresso in nome di un regresso nichilistico. Non continuità con Monti, dunque: ma una cesura radicale. Con Monti e il montismo (e il merkelismo, il barrosismo, il draghismo). deficit pubblico. Un ‘male’ prodotto ostinatamente, cinicamente – ecco la sua banalità, la sua violenza sociale, il suo nichilismo. 

Tornare a Kant
Ma poiché, come detto, non siamo credenti, ma illuministi, non invochiamo il Signore e siamo convinti – a differenza della Chiesa – che religione e ragione siano due mondi separati e inconciliabili (e quindi anche una ‘religione’ economica, contraddice la ragione e la razionalità) e preferiamo rifarci a Kant, che invocava un uomo che fosse finalmente ‘soggetto autonomo’, capace di decidere da sé e quindi di uscire dalla propria ‘minorità’ che è “l’incapacità di servirsi del proprio intelletto, senza la guida di un altro”. Per cui (e invece), per ritrovare auto-nomia e ‘maggiorità’ diciamo, con Kant: “Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza”. Mentre “se ho un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha coscienza per me, io non ho più bisogno di darmi pensiero da me. Purché io sia in grado di pagare, non ho bisogno di pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione”, tenendomi nel mio ‘girello per bambini’ e facendomi perdere la voglia e il desiderio di uscire dal girello e di provare a camminare, pensare, ragionare, decidere con le mie gambe e la mia testa. Da tutte le parti, diceva Kant, “odo gridare: non ragionate! L’ufficiale dice: non ragionate, ma fate esercitazioni militari. L’intendente di finanza: non ragionate, ma pagate! L’ecclesiastico: non ragionate, ma credete!”.

Ecco, oggi siamo in una situazione molto simile a quella di allora, è solo mutato il ‘soggetto’ che ci impone di non ragionare ma di ‘’credere’ (oggi, i mercati, le agenzie di rating, i bocconiani e i banchieri). Non ragionate! Ovvero non bisogna cercare di ‘capire’ se questa adottata in Italia (come in Grecia o in Spagna e altrove) sia stata davvero l’unica ricetta economica possibile. 

Piuttosto – lo dice Monti, lo dicono i grandi mass-media, lo dicono Casini e Montezemolo (sic!) – dovete ‘credere’, dovete ‘crederci’, perché noi – noi Mario Monti, Mario Draghi, Manuel Barroso, Angela Merkel – noi ci siamo assunti l’onere di farvi muovere sul girello per bambini che abbiamo realizzato per voi; perché noi siamo coloro che sanno e ‘coloro che sono’ (noi siamo coloro che siamo perché siamo gli esperti, i professori, i tecnici), voi dovete solo credere in noi, dovete fare ‘esercitazioni militari’ accettando l’ordine di diventare disoccupati o precari; voi dovete pagare le tasse e impoverirvi, perché questo è utile non solo al pareggio di bilancio ma soprattutto alla nuova divisione internazionale del lavoro (non potendo più svalutare la lira per dare fiato a un’economia che non innova, oggi si devono ‘svalutare’ il lavoro e i redditi), perché il vostro benchmark (coloro che dovete imitare, diventando come loro) per i prossimi anni saranno i lavoratori-schiavi cinesi: quello è il vostro modello, quello il vostro futuro e a noi dovete credere, perché noi siamo classe dirigente, noi sappiamo cosa è bene e cosa è male per voi e per il paese, noi siamo i vostri ‘pastori’ e voi siete il nostro ‘gregge’. 

E ogni gregge – in nome della coesione nazionale invocata dal Presidente Napolitano, della competizione invocata dagli industriali o del pareggio di bilancio invocato dairagionieri al governo (e bisognerebbe chiedere scusa ai ragionieri) – deve sempre seguire il suo ‘pastore’, colui che è, colui che sa, colui che guida e che ha costruito per le ‘pecore del gregge’ opportuni girelli per bambini, per togliere la fatica di pensare (e noi, per ‘pigrizia’ e per ‘viltà’, come diceva ancora Kant, abbiamo rinunciato al nostro diritto/dovere di pensare e di uscire dal girello che ci fa restare infantili e dipendenti). 

Allo stesso tempo facendo fare a voi – voi obbedienti e rassegnati, ‘complici’ i sindacati (alcuni) e una certa sinistra – ciò che noi èlite, noi banchieri (che abbiamo provocato la crisi), noi professori della più prestigiosa (sic!) università italiana, abbiamo deciso che voi dobbiate fare. 

E liberiamoci di Monti. E del montismo

Dal disastro economico e soprattutto sociale prodotto da Monti e dal montismo bisogna uscire e in fretta, perché è un disastro che si poteva e si doveva evitare usando l’intelligenza e non l’ideologia, la logica e non l’ostinazione, la fantasia e non la routine del pensiero unico neoliberista, rileggendo soprattutto come era nata la crisi del 1929 e come se ne era usciti con Roosevelt. 

Ma bisogna soprattutto smettere questa corsa affannosa e insulsa a Monti e al montismo. Al Pd bisognerebbe ricordare il kantiano sapere aude! Dunque, usi l’intelligenza, il sapere, la saggezza politica, rivendichi auto-nomia dai mercati, dalle agenzie di rating, dall’ideologia neoliberista, dalla religione capitalistica, dalla paranoia del pareggio di bilancio. Esca dalla ‘paura’ e dalla ‘viltà’ di un pensiero etero-nomo perché subordinato ai mercati, rivendichi il diritto e il dovere di pensare politicamente in modi diversi, altri, auto-nomi e soprattutto lungi-miranti. 

Ma il sapere aude! vale soprattutto per la società, per noi e per i nostri figli, cui stiamo negando il progresso in nome di un regresso nichilistico. Non continuità con Monti, dunque: ma una cesura radicale. Con Monti e il montismo (e il merkelismo, il barrosismo, il draghismo).

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