È un particolare curioso del dibattito in Francia: mentre i Paesi anglosassoni, per combattere la crisi, discutono apertamente e serenamente di monetizzazione per lottare contro la crisi, in Francia questo resta un tabù, malgrado le quantità colossali di monetizzazione realizzate in favore delle banche. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, come riferisce un lungo e appassionato saggio dell’“Economist”, si può dibattere in merito alla monetizzazione con calma. È così che il settimanale inglese pone la questione del bisogno di una nuova ondata di “Quantitative Easing” (Qe) a sostegno di una crescita solida. La Banca d’Inghilterra ha appena aumentato il suo programma da 50 miliardi a 375 miliardi di sterline – a partire dall’inizio della crisi – ossia circa il 5% del Pil per ogni anno.
Negli Stati Uniti, gli economisti si chiedono se la Fed dovrà mettere in pratica un nuovo programma, dopo i due piani di Qe e l’operazione “Twist” di fine 2011 (vendita di titoli a breve termine per acquistare titoli a lungo termine). La conclusione dell’“Economist” è che ciò sia necessario a causa della debole crescita ma che dovrà accompagnarsi a un innalzamento temporaneo dell’inflazione programmata (fino al 3%, che resta moderata), per assicurare una migliore efficacia della misura di Qe. Le due principali banche anglosassoni hanno ricomprato titoli del debito sovrano dei rispettivi Paesi, facendo così fare un doppio risparmio al Tesoro, attraverso riduzione dei tassi e l’autofinanziamento. All’opposto, in Europa, la quasi totalità della monetizzazione creata dalla Bce è stata fatta a esclusivo profitto delle banche, che in questa maniera risultano rifinanziate.
Solo 200 miliardi di titoli del debito sovrano sono stati riscattati l’estate scorsa per calmare la crisi di allora. Per contro, mille miliardi sono stati prestati alle banche all’inizio dell’anno, in aggiunta ai grossi programmi di rifinanziamento che hanno fatto gonfiare il bilancio della Bce. In breve, la creazione di moneta da parte della Bce avviene a vantaggio quasi esclusivo delle banche, che la Bce rifinanzia quasi senza limiti, mentre la Bancad’Inghilterra e la Fed utilizzano la maggior parte dei fondi così creati per riscattare i debiti sovrani, avvantaggiando in tal modo la collettività, alla quale il debito costa di meno.
Rimettere la moneta al servizio del bene comune: è una lotta che combatte da tempo André-Jacques Holbecq, che ha scritto un libro appassionante, “La dette publique, une affaire rentable” (“Il debito pubblico, un affare redditizio”), un’opera che ho riassunto qualche tempo fa. Cura anche un blog di cui raccomando la lettura. A lui si è unito Joël Halpern – il cui blog raccomando parimenti – il quale afferma nei suoi ultimi scritti che occorre fare «l’opposto della politicariaffermata da Jean-Marc Ayrault» e denuncia le politiche di austerità in quanto sono «la causa della crisi del debito». Questo perché in un periodo come il nostro, nel quale non c’è crescita, mentre c’è una forte disoccupazione, e dove i consumatori hanno la tendenza a ridurre il proprio debito (le famiglie statunitensi hanno ridotto il proprio debito dal 133 al 114% delle proprie entrate in soli 4 anni), occorre creare moneta per evitare di rientrare nella depressione.
Meglio, in un simile contesto, la monetizzazione può non essere inflazionista poiché non fa che contrastare gli effetti deflazionisti che risultano dalla riduzione del debito degli attori privati. La monetizzazione è oggi necessaria in Europa per evitare che la depressione si estenda dalla Grecia alla Spagna e all’Italia, contaminando l’Europa nel suo insieme. E occorre riservarla essenzialmente agli Stati. Ma è difficilissimo organizzarla sulla scala di diversi Paesi.
(Laurent Pinsolle, “Il bisogno di monetizzare”, dal blog “Gaulliste Libre”, tradotto e ripreso da “Megachip” il 13 dicembre 2012).
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