Non sono andato a votare alle primarie del centrosinistra per non dovermi rassegnare, ancora una volta, a votare per il meno peggio. «Perché nel mazzo c’era da scegliere anche il peggio». E il peggio, «a mio modesto parere, è incarnato nella figura squisitamente allegorica di Matteo Renzi, il Rottamatore». Così lo scrittore Maurizio Maggiani, all’indomani delle consultazioni che hanno coinvolto milioni di elettori. «Il peggio – scrive Maggiani – è la greve allegoria allestita per un tetro carnevale di teste mozzate e biglietti da cento euro sparsi tra la folla», invitata a credere che «non è più questione di destra e sinistra, progressisti e conservatori, ma di vecchie carampane egiovani promettenti», lanciati verso «una felice stagione di destra nella sinistra e di sinistra nella destra». In più, «lo sconcio ed eternamente insaziato appetito di potere dei “vecchi” suscita tale ribrezzo che il primo killer di bella presenza che si fa avanti, ha ottime probabilità di essere assunto per fare il più in fretta possibile il suo sporco lavoro». Proprio come fece, molti anni fa, Bettino Craxi.
«Il peggio – annota Maggiani sul “Secolo XIX” – è che Matteo Renzi è solo una tarda immagine della vecchia compagnia dei rottamatori e, nella fattispecie, i “vecchi” che brama rottamare sono stati a loro volta acerrimi rottamatori, che si sono alacremente applicati a far fuori, assieme ai “vecchi”, anche il “vecchio”». Ovvero: «Il vecchio regime, la vecchia repubblica, i vecchi ideali». E il frutto del loro applicarsi, continua Maggiani, «è ciò che vediamo, ciò che patiamo, ciò che tocchiamo con mano dello sfacelo generale». Quei “rottamatori di prima generazione”, secondo l’autore de “Il coraggio del pettirosso”, hanno avuto una data di fondazione, un giorno d’inizio e un’immagine fondante fortemente segnati di simbolismo. Si tratta dell’11 giugno 1984, in occasione dei funerali di Enrico Berlinguer, segretario del Pci. «A quell’uomo si era rotto in due il cuore durante un comizio in cui stava chiedendo ai militanti del suo partito ciò che poi non avrebbero fatto e cioè di andare casa per casa, strada per strada a spiegare agli italiani l’impellente e vitale necessità di uno stile di vita austero».
Quei funerali, continua Maggiani, furono ampiamente documentati dalla televisione di Stato e tuttora visionabili su YouTube. «Dopo aver ripreso l’immensa folla che ascolta con grande commozione l’orazione funebre, la telecamera inquadra il palco delle autorità e si vedono il presidente della Repubblica Sandro Pertini che non riesce a trattenere un pianto dirotto e al suo fianco il primo ministro Bettino Craxi che non riesce a trattenere il riso». In quel riso, scrive Maggiani, c’è il trionfo del Primo Rottamatore. «Ride di quel vecchio che piange, ride dei suoi vecchi ideali, inservibili e stupidamente ingombranti, ride della folla che a differenza di lui non ha ancora capito che quello non è solo il funerale del loro leader, ma di un uomo vecchio, di un partito vecchio e di un mondo vecchio».
Ride, Craxi, «pregustando il nuovo che verrà», eccome se verrà, «e ride degli uomini nuovi che verranno assieme al partito nuovo della nuovasinistra». Ride, Craxi, pensando già a «come se li papperà uno per uno, dopo aver riso a crepapelle con tutti loro di quella stronzata dell’austerità e di tutte le altre bazzecole da moralisti che se ne sono andate a morire assieme ai loro predicatori». Nessuno, conclude Maggiani, può mettere in dubbio la “grandezza di rottamatore” di Bettino Craxi. «E, onestamente, Matteo Renzi non regge il confronto». Lo regge benissimo, invece, «con i suoi emuli», cioè «con gli ex uomini nuovi che hanno riso di un paese austero e oggi piangono su un paese miserabile». Per Maggiani, Renzi è “il penultimo”, di loro. «L’ultimo deve ancora venire e verrà, perché quello del rottamatore rimane il mestiere più facile e redditizio in un Paese che è eternamente incapace di introiettare l’idea stessa della raccolta differenziata».
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