Le crisi da cui siamo investiti sono sostanzialmente due, con la terza prodotta dal loro incrocio. Una è la crisi finanziaria dell’eccessivo rischio, dovuta in particolare all’unificazione delle banche di investimento con le banche commerciali, da cui proviene l’eccesso di rischio; l’altra, è una crisi tipicamente industriale di sovracapacità produttiva. Messe insieme, le due crisi hanno fatto scoppiare la crisi dell’euro. Questa, in pratica, è una crisi dell’euro. L’euro è una pazzia, non esiste nella storia dell’umanità una moneta creata prima dello Stato. Nel nostro caso, la moneta unica è affidata a meccanismi di regolazione incompiuti e di bassissima competenza tecnica. Fin quando abbiamo avuto una crescita, la debolezza dell’euro era attenuata, ma dall’arrivo della crisi e a causa delle differenze di produttività del lavoro e delle differenze delle bilance commerciali tra paesi come la Germania in surplus commerciali e altri in deficit come Italia, Francia, Spagna, sono emersi tutti i limiti di questo esperimento mal riuscito.
Non potendo più controbilanciare i limiti in un regime di cambi flessibili, come capita in tutto il mondo e come capitava all’Italia con la lira, perché bloccati nel regime di cambi fissi, ecco che ci troviamo in guai molto grossi. In definitiva, l’euro non doveva essere creato. Siamo sull’orlo del baratro, il Titanic continua ad andare contro l’iceberg. E le sterzate decisive sono state evitate. È mancato, per esempio, un regolamento bancario transatlantico, quindi euro-americano. Gli europei hanno accelerato con le regole di Basilea 3. Ai tedeschi andava bene, gli italiani invece non se ne sono occupati, ma adesso in Germania si accorgono che un controllo bancario unificato farebbe scoprire le immense quantità di asset tossici contenute nelle banche tedesche. Secondo alcuni studi, nell’elenco delle banche più a rischio, la prima al mondo è la Deutsche Bank, laddove la statunitense J.P. Morgan è tredicesima. Con lo scoppio dei nazionalismi e in un clima molto teso, pieno di difficoltà economiche ed elettorali di grande portata, non si riesce a fare ciò che va fatto: riformare la Banca centrale europea, che si ostina a portare avanti una debolissima politica antideflattiva. E la crisiindustriale è appena cominciata.
I tedeschi – che strano! – si sono improvvisamente accorti di non poter esportare i prodotti made in Germany in un’Europa ormai desertificata. Ripeto, il Titanic continua ad andare contro l’iceberg. Figure istituzionali capaci di prendere in mano la situazione? Assolutamente no, né in Italia, né in Europa. Il vuoto di leadership è terribile e spiega bene cosa sta accadendo nell’Eurozona, tanto da spingere l’Inghilterra al taglio del contributo al budget europeo. Vero, gli inglesi sono in grave crisi, ma hanno capito la gravità della situazione e stanno pensando di abbandonare completamente l’euro. Uscire dall’euro sarebbe una catastrofe per le classi più basse, come gli operai e in generale chi vive con un reddito da lavoro. Forse, i commercianti riusciranno a salvarsi fin quando troveranno qualcuno disposto a comprare un prodotto pagandolo cinque volte di più del prezzo reale, ma gli altri annegheranno. Se guardiamo alla Grecia, possiamo affermare con certezza che è di fatto crollata, è come se fosse già uscita.
Ecco perché per salvare il sistema va riformata innanzitutto la Banca centrale europea, cambiandola sul modello della Federal Reserve degli Usa. E poi, riformare anche il Parlamento che sicuamente sconfiggerebbe la politicadella signora Angela Merkel, anche se non credo si farà in tempo. Molti anni fa, purtroppo, i cambiamenti arrivavano dalle guerre. Oggi non più. Allora, si deve sperare di riuscire a cambiare senza traumi. Mi fa ridere chi oggi parla di un Parlamento Europeo che non conta niente. Dove sarebbe la novità? Si accorgono soltanto adesso che le leggi in Parlamento vengono approvate da una Commissione piena di commissari e ambasciatori non eletti? Gli Usa e l’Inghilterra lo sapevano, per questo non si fidano più di un continente ormai privo didemocrazia.
L’Italia dopo Monti? Non cambierà nulla. Certo, tutto può rivelarsi migliore di Monti, ma è necessario un governo di unità nazionale che si impegni a iniziare una politica anti-deflattiva che comprenda una piccola inflazione capace di tirarci fuori dal debito, perché il debito non è il nostro problema, ma l’unico modo che abbiamo per salvarci. I vari Bondi, Catricalà, insomma, i vecchi burocrati, fanno di tutto affinché non si metta mano alla vendita degli immobili dello Stato, che non si muova foglia nell’organizzazione burocratica. Boicottavano prima, boicottano adesso. Le patrimoniali alla Hollande? Le tasse devono essere progressive, ma con moderazione, altrimenti i capitali scappano – e l’Italia ha un gran bisogno di capitali. Le aziende italiane continuano a chiudere? E noi abbassiamo le tasse e alziamo il debito pubblico. Cosa importa se abbiamo il 5 per cento di debito pubblico in più? Il debito pubblico è visto da molti come la peste? Non scherziamo. L’oligopolio finanziario mondiale non colpisce il debito pubblico, ma l’assenza di crescita. Il Giappone ha il 280 per cento di debito pubblico, la Spagna del default il 75,8 per cento. Vogliono farci credere agli spauracchi, questa è la verità.
La Spagna è un Paese con un po’ di immobiliari e qualche industria in fallimento nella vecchia Catalogna, l’Italia è la seconda potenza manufatturiera d’Europa dietro la Germania. Siamo ancora un paese industriale, che scambia merci, che lavora, con il Pil prodotto interamente al Nord; se fallisce il Nord, va in malora l’intera nazione. In piena austerity, le emergenze come l’Abruzzo e l’Emilia-Romagna dei terremoti vanno risolte andando a cercare le briciole qua e là per garantire le ricostruzioni di territori distrutti? Una vergogna politica e istituzionale, oltre alla cecità teorica. Cosa potrebbe accadere se fallissero l’industria emiliana e l’industria agroalimentare dell’Abruzzo, quest’ultima una regione piena di centri di ricerca scientifica? Chi è al governo, purtroppo, come Grilli, è un fondamentalista ideologico, come i calvinisti di Ginevra che mettevano al rogo i cattolici. L’università? E’ andata distrutta dalla riforma Berlinguer del 3+2, che l’ha ridotta a un mediocre liceo, o istituto. Vedo ancora tanta brava gente che si alza la mattina e va a lavorare, artigiani bravissimi, qualche grande impresa. Non dobbiamo perdere la speranza, nonostante la situazione sia terribile. Il nostro è un paese meraviglioso con punte di eccellenza uniche al mondo, la speranza è che chi andrà via ritorni qui.
(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Roberto Santilli per l’intervista “Andiamo incontro all’iceberg, e l’euro è una pazzia”, pubblicata da “Abruzzo Web” e ripresa da “Informare per Resistere” il 25 dicembre 2012).
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