Il fondatore e presidente di Libera: "Ci sono state
reti di complicità, ci sono stati ritardi, ci sono stati silenzi. E
qualcuno che doveva metterci la testa su queste cose, la testa non ce
l'ha messa". E aggiunge: "Si sarebbe dovuto seguire il modello delle
cooperative".
repubblica.it "Così vincono loro, non vinciamo noi". E' l'allarme di don
Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera. "Così vincono loro",
ripete mentre controlla i numeri sui beni confiscati in Italia dal 1982 e
quelli delle aziende in sofferenza perenne.
Don Luigi, cosa non ha funzionato?
"I numeri parlano molto chiaro: sono soltanto pochissime imprese quelle che resistono e tutte le altre prima o poi muoiono. Questa è una situazione che grida vendetta".
Ma è lo Stato che non ha fatto quello che doveva fare in tutti questi anni?
"Dentro lo Stato ci sono stati anche uomini che si sono spesi e a volte anche strutture che hanno funzionato. Sono mancati gli strumenti giusti, è mancata in generale un'aggressione mirata alla questione dei beni confiscati. E poi ci sono state reti di complicità, ci sono stati ritardi, ci sono stati silenzi. E qualcuno che doveva metterci la testa su queste cose, la testa non ce l'ha messa. Per questo oggi è giusto dire che è una situazione che grida vendetta".
Quali interventi si sarebbero dovuti prevedere per non arrivare a questo fallimento?
"Si sarebbe dovuto seguire il modello delle cooperative che sono nate sui terreni confiscati con bando pubblico e con il coinvolgimento dei giovani del territorio. In questi casi è sempre stato riconsegnato il maltolto, i beni sottratti alle mafie sono stati restituiti all'uso sociale e alla collettività grazie alle reti economiche che si sono messe in gioco. Anche per le aziende bisogna inventare un nuovo meccanismo che porti a risultati. Abbiamo bisogno di cose concrete, abbiamo bisogno di speranza".
Don Luigi, cosa non ha funzionato?
"I numeri parlano molto chiaro: sono soltanto pochissime imprese quelle che resistono e tutte le altre prima o poi muoiono. Questa è una situazione che grida vendetta".
Ma è lo Stato che non ha fatto quello che doveva fare in tutti questi anni?
"Dentro lo Stato ci sono stati anche uomini che si sono spesi e a volte anche strutture che hanno funzionato. Sono mancati gli strumenti giusti, è mancata in generale un'aggressione mirata alla questione dei beni confiscati. E poi ci sono state reti di complicità, ci sono stati ritardi, ci sono stati silenzi. E qualcuno che doveva metterci la testa su queste cose, la testa non ce l'ha messa. Per questo oggi è giusto dire che è una situazione che grida vendetta".
Quali interventi si sarebbero dovuti prevedere per non arrivare a questo fallimento?
"Si sarebbe dovuto seguire il modello delle cooperative che sono nate sui terreni confiscati con bando pubblico e con il coinvolgimento dei giovani del territorio. In questi casi è sempre stato riconsegnato il maltolto, i beni sottratti alle mafie sono stati restituiti all'uso sociale e alla collettività grazie alle reti economiche che si sono messe in gioco. Anche per le aziende bisogna inventare un nuovo meccanismo che porti a risultati. Abbiamo bisogno di cose concrete, abbiamo bisogno di speranza".
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