Sono passati ormai sessantacinque anni da quel fatidico 29 novembre del 1947, quando il voto sulla spartizione della Palestina storica in due stati, permise il riconoscimento dello Stato di Israele, che un anno dopo entrò poi a far parte dei paesi membri dell’ONU.
Oggi, a distanza di tutto questo tempo, la Palestina è stata riconosciuta come stato osservatore dall’Assemblea generale della stessa Organizzazione. Non si tratta del riconoscimento di uno stato autonomo e indipendente, ma sicuramente è un viatico determinante in prospettiva del raggiungimento di quella condizione.
Appena un anno fa, fu fatto il primo tentativo dallo stesso presidente Abu Mazen, che ovviamente non andò a buon fine. Perché questa volta la Comunità internazionale si è rivelata più “compatta” votando a maggioranza la decisione dell’Assemblea che ha dato l’esito favorevole con 138 voti (su 193), 9 contrari e 41 astenuti? Probabilmente sono più di uno i fattori determinanti che sono entrati in gioco. Contrariamente a quanto si può pensare, gli ultimi eventi nella Striscia di Gaza non hanno certamente avuto una ricaduta positiva sullo stato d’Israele. Per molti la reazione di Hamas avrebbe fatto indebolire lo stesso Abu Mazen, ponendo una brusca frenata nei confronti del processo di riconoscimento della Palestina, ma alla fine così non è stato. Anzi, potremo forse pensare che sia stata la stessa preponderante (e prepotente) forza del piccolo quanto agguerrito stato d’Israele, a far riflettere la Comunità internazionale su quelle che potevano essere le conseguenze di un permissivismo che avrebbe lasciato troppa libertà d’azione nella regione Mediorientale. Insomma, puntare all’Iran senza pretendere che gli stati Arabi e Mussulmani non muovessero un dito, oltre che un possibile rischio, francamente sembrava eccessivo…
Questa volta non c’è stata la solita posizione filo-americana neppure in ambito Europeo, dove Francia, Italia, e Spagna si sono espresse favorevolmente, lasciando alla sola Repubblica Ceca il voto di contrarietà ed alla Gran Bretagna ed alla Germania quello dell’astensione. Complessivamente sono stati nove i Paesi contrari e 41 gli astenuti. Hanno votato contro Stati Uniti, Israele, Panama, Palau, Canada, Isole Marshall, Narau, Repubblica Ceca e Micronesia. Non possiamo non riconoscere ad Abu Mazen il coraggio e l’orgoglio dell’Uomo di stato che sapeva di giocarsi una carta unica, forse addirittura fondamentale per la sopravvivenza del suo Popolo. Con piglio e determinazione il presidente dell’ANP si è così rivolto alla Platea dell’ONU chiedendogli “un certificato di nascita” come stato: “La Palestina viene all’Assemblea Generale oggi perché crede nella pace e la sua gente ne ha un disperato bisogno. Il popolo palestinese in questi giorni bui guarda all’Onu con grande speranza per la fine delle ingiustizie e per un futuro di giustizia e di pace. Il si alla risoluzione che ammette la Palestina all’Onu come stato osservatore non membro è l’ultima chance per salvare la soluzione dei due stati”. Scontata l’ira di Netanyahu che non manca ovviamente di marchiare come “velenoso” il discorso di Abu Mazen, aggiungendo che “non sono le parole di chi cerca la pace”. “Il mondo – secondo Netanyahu – ha visto un discorso sobillatore, di tono velenoso, pieno di propaganda menzognera verso le forze armate israeliane e i cittadini israeliani. Non è così che si esprime – ha rincarato – un uomo che anela alla pace. La risoluzione dell’Assemblea generale <è comunque priva di significato e non cambierà alcunché sul terreno>, ha affermato ancora Netanyahu, secondo il quale “i palestinesi hanno infranto gli accordi con Israele, e Israele agirà di conseguenza”. Non potevano essere di tenore diverso le dichiarazioni rilasciate da Hillary Clinton, “il riconoscimento della Palestina come stato non membro non aiuterà Gaza e Israele a trovare un accordo di pace”. Secondo il segretario di Stato americano, una “soluzione di lungo termine” nella regione si può trovare solo “attraverso trattative e negoziati”. E l’Italia? Ci resta difficile non rimanere sorpresi dalla pur positiva decisione di votare a favore della Palestina. Il Premier Monti, “falco” ed amico di Obama, come può aver maturato o favorito questo pronunciamento? Forse sarebbe ora di ricordare che nel Nostro paese conta molto l’influsso di un altro piccolo Stato, anch’esso da tempo riconosciuto quale Stato osservatore all’Assemblea dell’ONU, come Città del Vaticano… La cattolicissima Italia non poteva, almeno in questa fase storico-sociale non “proprio florida”, distaccarsi dalla “parola” della Santa Sede, che non ha mancato di far sapere “di aver seguito direttamente e con partecipazione i passi che hanno condotto a questa importante decisione, sforzandosi di rimanere al di sopra delle parti e di agire in linea con la propria natura religiosa e la missione universale che la caratterizza, nonché in considerazione della sua attenzione specifica alla dimensione etica delle problematiche internazionali”. Cerchiamo di essere chiari: in un paese che brucia, privato di una coesione sociale, e affossato dalle politiche liberiste degli ultimi governi, sarebbe stato ingenuo perdere l’occasione di ricompattare il centro cristiano attorno alla “proposta” (politica) della Chiesa di Roma. Tutt’altra “atmosfera” si respira invece nella Comunità ebraica di Roma, dove lo stesso presidente, Riccardo Pacifici, non ha mancato di definire “l’evento” di ieri (29 novembre, ndr) come una vera e propria “doccia fredda”, badando bene di aggiungere che in questo modo “E’ stata sovvertita una rotta di anni per sceglierne un’altra filo araba. Siamo dispiaciuti e amareggiati”. Si apre dunque, un cammino nuovo per la Palestina e il suo Popolo, ed è lo stesso portavoce dell’Autorità palestinese Nour Odeh ad indicarne la direzione: “Ci sono diverse tappe e procedure a cui lavoreranno i nostri dirigenti politici. La priorità è consolidare lo spirito di unità tra tutte le fazioni palestinesi. Dobbiamo incarnare questo spirito, tradurlo in azioni concrete, in riunioni e dichiarazioni positive. Abbiamo constatato l’efficacia di questo modo di agire durante l’aggressione contro la Striscia di Gaza. Questo spirito di unità si concretizzerà in riunioni al Cairo e a Doha l’anno prossimo. Poi dovremo ricostruire le nostre istituzioni democratiche”. Risulta evidente che le ricadute interne sul processo di riconciliazione palestinese non potranno che trarne vantaggio. “I principali dirigenti di Hamas, compresi Khaled Mechaal e Nasser al Shaer, hanno dato il loro chiaro appoggio per l’iniziativa di Abu Mazen all’ONU”. Ad affermarlo è ancora Nour Odeh, sottolineando che “Tutte le fazioni palestinesi, compreso il movimento di Hamas e la Jihad islamica, credono che questa decisione storica metta il nostro paese sul giusto cammino e che permetterà di rafforzare il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione”.
Claudio Grassi
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