di Paul Krugman, da keynesblog
Nelle discussioni che riguardano la crisi dell’euro l’Italia viene spesso abbinata alla Spagna alla Grecia etc. Ma la storia è del tutto differente. Non ci sono stati massicci afflussi di capitale; il debito è elevato ma non lo sono i deficit. Ciò che più colpisce dell’Italia è l’andamento notevolmente fiacco della produttività a partire dalla metà degli anni ’90.
Di seguito si può osservare un confronto della produttività dell’Italia con quella della Francia misurata in termini di prodotto per addetto tratta dal data base Total Economy Database:
Leggo dei diversi tentativi compiuti per dare una spiegazione dell’accaduto; c’è moltissimo materiale interessante, dalle normative alla dimensione di impresa alla composizione dell’export ma non c’è nulla che assomigli a tali andamenti.
No, non si tratta di un Welfare State troppo grande, quello della Francia è ancora più grande. [...]
Dean Baker fa un’interessante osservazione sul misterioso collasso della produttività in Italia, e cioè che una parte significativa di questo crollo potrebbe essere frutto di una illusione statistica. C’è sempre da riflettere quando si scorgono stranezze nei dati economici.
La storia è questa: l’Italia, con una combinazione di normative estese e di carente applicazione delle stesse, ha normalmente avuto una consistente quota di “lavoro nero”, cioè lavoratori non registrati sui libri contabili, al fine di sfuggire alle diverse imposizioni legislative. Successivamente, però, sono sopraggiunte riforme che hanno reso meno oneroso iscrivere in contabilità lavoratori part-time e via discorrendo, così che il “lavoro nero” ha iniziato ad emergere. La misura del Pil non ne è risultata modificata, poiché gli statistici avevano già effettuato imputazioni che tenevano conto dell’economia sommersa; ciò si è tradotto in una diminuzione della produttività misurata.
Ciò che mi piace di questa storia è che dà conto di un’altra anomalia: l’ampia divergenza tra le diverse misure della competitività di costo dell’Italia, come per esempio in questo studio del Fondo Monetario Internazionale. Di seguito si riporta un grafico relativo a stime del tasso di cambio effettivo reale.
Trascurerei la misura del valore unitario dell’export (linea azzurra), che non è stata mai una buona misura, specialmente quando si ha a che fare con paesi orientati all’export di prodotti di qualità elevata. Tuttavia si registra ancora una enorme divergenza tra la misura del costo unitario del lavoro (linea viola), che suggerisce una forte sopravvalutazione, e le altre misure, che sono esattamente ciò che ci si aspetta nel caso in cui la produttività sia sottostimata.
Anche i dati sulla bilancia dei pagamenti collimano in qualche misura con questa storia: l’Italia non ha avuto mai deficit di conto corrente paragonabili a quelli della Spagna.
Non voglio dire che in Italia sia tutto OK; chiaramente il paese ha disfunzioni nei mercati, moltissime rendite monopolistiche ed è indietro nell’uso delle tecnologie informatiche. Ma assai verosimilmente ciò non corrisponde alla realtà che alcuni numeri suggeriscono. Ed è così che ci si chiede come mai il piano di austerità debba essere tanto duro.
traduzione di Keynesblog
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sabato 1 dicembre 2012
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