Il governo 'tecnico' ha autorizzato gli aerei italiani a bombardare l'Afghanistan. Una strategia che dovrebbe preparare il nostro futuro disimpegno, ma che si sta trasformando in un'escalation drammatica e costosissima.
l'espresso di Gianluca Di Feo(20 agosto 2012)
L'ultima battaglia si è combattuta a inizio agosto, per colpa di un
convoglio Usa che si è ostinatamente infilato nella valle
sbagliata. Il comando italiano di Herat, che da anni gestisce la
regione occidentale dell'Afghanistan e conosce i pericoli di queste
strade, aveva cercato di mettere in guardia gli alleati. Ma la
colonna americana non ha rinunciato alla spedizione e dopo pochi
chilometri la massicciata si è sbriciolata: un mezzo corazzato da
dieci tonnellate è finito in una scarpata. Una festa per i
talebani, corsi a colpire il reparto intrappolato. E un incubo per
le truppe della Nato: cinque giorni di bombe e sparatorie, con tre
bersaglieri feriti, un elicottero semidistrutto e tre blindati in
fiamme.
Tutto è accaduto nella prima delle zone strategiche dove si sta ammainando il tricolore. Oggi il nostro contingente è nel pieno della "transizione", nome burocratico per indicare la lenta ritirata che si chiuderà nel 2014: nessuno al vertice della Nato crede che l'esercito di Kabul possa difendere da solo le postazioni che gli stiamo consegnando. Il costo di questa guerra però è diventato insostenibile per l'Alleanza atlantica. Anche l'Italia ha già pagato un prezzo altissimo: finora 4,28 miliardi di euro e 51 vite umane. Mentre la sicurezza resta un'illusione, poco più che uno slogan.
SALVATE IL CONVOGLIO. Questa estate è stata caldissima per i nostri militari, 4.200 tra uomini e donne che devono sorvegliare una zona grande quanto l'Italia settentrionale. Una delle emergenze più drammatiche è stata provocata proprio dal convoglio americano imprigionato. Tutta colpa di un Buffalo, un veicolo corazzato a prova di bomba che ha fatto cedere la strada, bloccando un'altra dozzina di blindati. In piena notte, un elicottero spagnolo è sceso per portare i primi aiuti ma il terreno si è rivelato troppo fragile anche per il velivolo Super Puma, che si è ribaltato. A quel punto è scattata la massima emergenza. Pure i talebani sono stati informati della situazione e non hanno perso tempo, seminando le vie d'accesso di micidiali ordigni Ied. Le colonne di soccorso di bersaglieri e marines ne hanno subito incassati due, poi sono finite sotto il tiro dei kalashnikov. Intanto due grandi elicotteri italiani Chinook hanno agganciato il velivolo spagnolo, portandolo via in volo. E solo dopo due giorni di scontri una gru dei nostri genieri è riuscita a tirare il Buffalo fuori dalla scarpata. La marcia è ripresa, ma per poco. Un'altra bomba ha distrutto le ruote del veicolo di testa, mentre i guerriglieri ricominciavano a fare fuoco. Troppo pericoloso avvicinarsi: i rifornimenti di acqua e munizioni sono stati paracadutati. Poi all'alba gli americani hanno fatto saltare in aria il mezzo danneggiato e sono ripartiti, mentre nuove squadre di rinforzo si dirigevano verso il convoglio, accolte da mine e raffiche. L'ultimo agguato ha preso di mira i bersaglieri della Garibaldi: una carica esplosiva contro un blindato Lince ha ferito tre soldati che hanno salvato la pelle grazie alla prontezza della loro reazione. L'odissea per arrivare alla fortezza di Qal-E-Now è durata cinque giorni, mentre caccia statunitensi F-18, elicotteri da battaglia Mangusta e bombardieri Amx italiani si sono alternati per tenere a distanza i miliziani.
TIRO ALLE ANTENNE. Anche i jet dell'Aeronautica adesso usano le bombe: il tabù degli attacchi dal cielo è stato fatto cadere dal governo Monti a fine gennaio. Da allora i jet italiani decollano con gli ordigni sotto le ali. Gli Amx si sono specializzati nella distruzione delle antenne, con cui i talebani potenziano la loro rete di comunicazioni: incursioni con ordigni di precisione, pianificate con cura per evitare rischi ai civili. Quando però ci sono reparti nei guai, allora i raid diventano ravvicinati: a luglio una formazione di bersaglieri e soldati afghani è caduta in trappola, con raffiche e razzi da tre lati. Solo le bombe dei caccia italiani hanno impedito che l'agguato si trasformasse in strage. A luglio ci sono state oltre 120 missioni degli Amx tra ricognizioni e sostegno ai reparti. E anche queste azioni sono il segno dell'escalation che accompagna "la transizione", senza dimenticare i raid non stop degli elicotteri Mangusta: hanno già superato 7 mila ore di volo, sparando milioni di proiettili.
Tutto è accaduto nella prima delle zone strategiche dove si sta ammainando il tricolore. Oggi il nostro contingente è nel pieno della "transizione", nome burocratico per indicare la lenta ritirata che si chiuderà nel 2014: nessuno al vertice della Nato crede che l'esercito di Kabul possa difendere da solo le postazioni che gli stiamo consegnando. Il costo di questa guerra però è diventato insostenibile per l'Alleanza atlantica. Anche l'Italia ha già pagato un prezzo altissimo: finora 4,28 miliardi di euro e 51 vite umane. Mentre la sicurezza resta un'illusione, poco più che uno slogan.
SALVATE IL CONVOGLIO. Questa estate è stata caldissima per i nostri militari, 4.200 tra uomini e donne che devono sorvegliare una zona grande quanto l'Italia settentrionale. Una delle emergenze più drammatiche è stata provocata proprio dal convoglio americano imprigionato. Tutta colpa di un Buffalo, un veicolo corazzato a prova di bomba che ha fatto cedere la strada, bloccando un'altra dozzina di blindati. In piena notte, un elicottero spagnolo è sceso per portare i primi aiuti ma il terreno si è rivelato troppo fragile anche per il velivolo Super Puma, che si è ribaltato. A quel punto è scattata la massima emergenza. Pure i talebani sono stati informati della situazione e non hanno perso tempo, seminando le vie d'accesso di micidiali ordigni Ied. Le colonne di soccorso di bersaglieri e marines ne hanno subito incassati due, poi sono finite sotto il tiro dei kalashnikov. Intanto due grandi elicotteri italiani Chinook hanno agganciato il velivolo spagnolo, portandolo via in volo. E solo dopo due giorni di scontri una gru dei nostri genieri è riuscita a tirare il Buffalo fuori dalla scarpata. La marcia è ripresa, ma per poco. Un'altra bomba ha distrutto le ruote del veicolo di testa, mentre i guerriglieri ricominciavano a fare fuoco. Troppo pericoloso avvicinarsi: i rifornimenti di acqua e munizioni sono stati paracadutati. Poi all'alba gli americani hanno fatto saltare in aria il mezzo danneggiato e sono ripartiti, mentre nuove squadre di rinforzo si dirigevano verso il convoglio, accolte da mine e raffiche. L'ultimo agguato ha preso di mira i bersaglieri della Garibaldi: una carica esplosiva contro un blindato Lince ha ferito tre soldati che hanno salvato la pelle grazie alla prontezza della loro reazione. L'odissea per arrivare alla fortezza di Qal-E-Now è durata cinque giorni, mentre caccia statunitensi F-18, elicotteri da battaglia Mangusta e bombardieri Amx italiani si sono alternati per tenere a distanza i miliziani.
TIRO ALLE ANTENNE. Anche i jet dell'Aeronautica adesso usano le bombe: il tabù degli attacchi dal cielo è stato fatto cadere dal governo Monti a fine gennaio. Da allora i jet italiani decollano con gli ordigni sotto le ali. Gli Amx si sono specializzati nella distruzione delle antenne, con cui i talebani potenziano la loro rete di comunicazioni: incursioni con ordigni di precisione, pianificate con cura per evitare rischi ai civili. Quando però ci sono reparti nei guai, allora i raid diventano ravvicinati: a luglio una formazione di bersaglieri e soldati afghani è caduta in trappola, con raffiche e razzi da tre lati. Solo le bombe dei caccia italiani hanno impedito che l'agguato si trasformasse in strage. A luglio ci sono state oltre 120 missioni degli Amx tra ricognizioni e sostegno ai reparti. E anche queste azioni sono il segno dell'escalation che accompagna "la transizione", senza dimenticare i raid non stop degli elicotteri Mangusta: hanno già superato 7 mila ore di volo, sparando milioni di proiettili.
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