Dopo il massacro di Marikana i minatori sudafricani non chinano la testa e continuano a scioperare nonostante le minacce di licenziamento, obbligando la Lonmin a rimangiarsi l'ultimatum. Duri scontri tra studenti e polizia, mentre un avvocato denuncia le aziende minerarie.
Nei giorni scorsi la multinazionale mineraria Lonmin aveva tuonato: i minatori che non avessero ripreso immediatamente il lavoro sarebbero stati licenziati in tronco. Ma in pochi avevano chinato la testa, e nonostante l’ultimatum e le minacce la maggior parte dei 3 mila minatori sudafricani continuano anche oggi a scioperare. La portavoce della società mineraria, Sue Vey, ha confessato che ad oggi solo il 33 per cento dei minatori è tornato alle proprie mansioni, una percentuale di poco maggiore rispetto a ieri e comunque insufficiente per la ripresa della normale produzione.
Tant’è che la direzione della Lonmin ha dovuto fare marcia indietro. Oggi Mark Munroe, dirigente della società proprietaria della miniera di platino situata a Marikana, località a 100 chilometri da Johannesburg, ha affermato in un'intervista radiofonica che un licenziamento di massa sarebbe controproducente per la stessa azienda in un momento in cui invece l’obiettivo è quello di tornare alla normalità. Ma la normalità è assai lontana dopo il massacro dei giorni scorsi – decine di minatori uccisi da polizia ed esercito che hanno sparato sulla folla dei lavoratori – e gli scontri tra due diversi sindacati del settore presi a pretesto dalle forze di sicurezza per intervenire a sostegno degli interessi della multinazionale. I morti in totale sono stati 44 e la tensione rimane molto alta. Nel fine settimana tre campus della University of Technology (TUT) del Sud Africa sono stati chiusi a causa dei violenti scontri scoppiati tra studenti e polizia. Gli studenti protestavano da giorni contro i draconiani tagli ai fondi destinati agli studenti più poveri decisi dal governo, e poi la protesta si è infiammata dopo la strage di Marikana e in seguito al comportamento intransigente da parte delle autorità accademiche che si sono rifiutate di negoziare con i rappresentanti degli studenti. Così i giovani hanno iniziato a boicottare le lezioni, a bloccare le entrate delle facoltà anche con cumuli di pneumatici dati alle fiamme, e ne sono nati scontri con la Polizia con l’impiego di sassi e molotov da una parte e di lacrimogeni, idranti e pallottole di gomma dall’altra.
Intanto il governo di Johannesburg – ferocemente criticato da più parti per non aver saputo o voluto gestire politicamente la crisi nella miniera di Marikana creando così le condizioni per il massacro – ha esortato la Lonmin a concedere più tempo per il lutto ai familiari delle 44 vittime ed ha criticato la minaccia di licenziamento dei lavoratori in sciopero. “Il presidente Jacob Zuma ha dichiarato questa settimana lutto nazionale. Vogliamo che tutti, anche i capi della miniera, rispettino questa misura” ha detto alla stampa il ministro della Polizia, Nathi Mthethwa. Il ministro, membro della commissione ‘ad hoc’ nominata dal governo per assistere le famiglie dei 34 minatori uccisi e dei 78 feriti giovedì scorso quando la polizia ha aperto il fuoco, ha aggiunto che le forze di sicurezza resteranno nell’area del giacimento finché la situazione non tornerà “stabile”. Intanto è stato aggiornato al 27 agosto il processo aperto ieri a Ga-Rankuwa, a nord di Pretoria, nei confronti di 259 minatori della Lonmin coinvolti negli incidenti a Marikana: chiamati a rispondere di reati che vanno dall’omicidio alla rapina a mano armata, tutti resteranno in stato di detenzione fino alla prossima udienza.
Nel frattempo un avvocato sudafricano ha presentato denuncia contro le principali società di estrazione dell'oro del Paese a nome di migliaia di minatori che accusano di aver contratto la silicosi, una malattia polmonare derivante dall'inalazione di polveri, a causa della mancanza di politiche di sicurezza e della negligenza delle direzioni aziendali. Dopo la presentazione della documentazione contro la AngloGold Ashanti, la Gold Fields e la Harmony, tocca ora alla corte stabilire se il caso possa essere trattato come una class action.
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