Lo stolido Monti sfida l’intelligenza dell’opinione pubblica e ripete come un disco rotto che il “rigore” è l’unica medicina possibile, incappando persino nell’incresciosa gaffe delle responsabilità politiche per i sucidi a catena degli imprenditori esasperati dalla crisi. Ma la storia europea potrebbe all’improvviso cambiare segno, proprio a partire dalla capitale del “rigor montis”: Berlino. La notizia è clamorosa: resuscitata dall’entusiasmo per la vittoria di Hollande, sull’onda dei toni anti-Bruxelles della campagna elettorale francese, la sinistra tedesca ora tenta di fermare Angela Merkel, rimasta indifferente persino alla drammatica rivolta elettorale della Grecia. Peggio: di fronte alla minaccia di stracciare gli accordi-capestro, il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble è pronto all’espulsione di Atene dall’Eurozona, senza il minimo accenno all’inaudito “massacro sociale” creato proprio dall’élite finanziaria che ha speculato sull’imposizione della moneta unica, imponendo ad Atene i suoi virus mortali, titoli tossici e bilanci truccati.
La Grecia corre verso il baratro di nuove elezioni dopo la rinuncia di Alexis Tsipras, leader dell’estrema sinistra che ha inutilmente sondato gli altri partiti per una grande coalizione di salvezza nazionale, basata sul ripudio del super-salasso imposto da Bce, Fmi e Unione Europea dopo la privatizzazione del debito pubblico ellenico. A sorpresa, ad afferrare il toro per le corna potrebbe essere proprio l’altra metà della Germania, quella che non approva la linea “prussiana” della Merkel e ne teme le conseguenze catastrofiche, per tutta l’Europa. Nel mirino della sinistra tedesca c’è il Fiscal Compact, il famigerato trattato che Mario Monti ha imposto all’Italia senza fiatare, col pieno appoggio di Alfano, Bersani e Casini. Trattato che cambierebbe per sempre la fisionomia dello Stato, condannandolo a non essere più un “prestatore di ultima istanza” in grado di proteggere i cittadini, ma solo un ente contabile, che pretende – assurdità assoluta – che i conti siano in pareggio: come se lo Stato fosse un’azienda, o una banca qualsiasi.
Per gli economisti critici, è il frutto avvelenato dell’unica ideologia rimasta in campo, quella neoliberista, il cui risultato è sotto gli occhi di tutti: un intero continente, l’Europa, che precipita nella depressione della crisi peggiore della sua storia. I professori americani della Modern Money Theory non hanno dubbi: tutto dipende dal fenomeno della “isteria del debito”: famiglie e imprese si preoccupano se devono ricorrere a prestiti bancari, ma lo Stato non dovrebbe. Fare debiti è esattamente il “mestiere” dello Stato: se dotato di moneta sovrana – Usa, Cina, Giappone – lo Stato non può temere i creditori, perché in qualunque momento è in grado di stampare valuta. Il Fiscal Compact è il colpo di grazia agli Stati europei, già amputati della loro prerogativa istituzionale: la possibilità di risalire la china erogando banconote, creando economia e quindi supportando famiglie e aziende, servizi e consumi. Chi ha architettato il piano, dicono gli osservatori “eretici”, vuole semplicemente ridurre lo Stato all’impotenza,esponendo i cittadini allo strapotere delle lobby finanziarie, pronte a privatizzare quel che resta del patrimonio pubblico.
Il sociologo Luciano Gallino ha le idee chiarissime: se la Bce si è “inventata” un trilione di euro da regalare esclusivamente alle grandi banche, ad un paese come l’Italia basterebbero 25 miliardi – un’inezia, al confronto – per creare rapidamente almeno un milione di posti di lavoro. Quello sarebbe davvero un pacchetto-sicurezza, in grado di scacciare la paura del futuro: lo Stato che investe su se stesso, promuovendo lavori socialmente utili, nei settori strategici dell’energia alternativa, del riassetto idrogeologico, dell’edilizia ecologica. Risultato immediato, a cascata: risollevare le sorti del paese, cominciando dai giovani. Le risorse ci sono: e se Mario Draghi non volesse concederle, visto che è il monarca assoluto di quella che doveva essere la nostra moneta, Roma può benissimo provvedere con un prelievo fiscale mirato, un piccolo “sacrificio” richiesto solo ai super-ricchi. Lanciata dalla platea fiorentina del “nuovo soggetto politico”, la proposta di Gallino – unico piano concreto, finora, sul tavolo italiano della crisi – è stata completamente ignorata da tutti i principali partiti che siedono in Parlamento e si preoccupano del “boom” di Grillo.
Nell’immaginario collettivo, sempre la stessa ideologia egemone ha trasformato la percezione della natura delle tasse: vengono presentate come la necessaria forma di finanziamento delle casse pubbliche, come se lo Stato avesse davvero bisogno del gettito fiscale per erogare i suoi servizi vitali. Non è sempre così, naturalmente: in uno Stato a moneta sovrana, capace cioè di stampare valuta in modo illimitato – dice Paolo Barnard – le tasse servono a tutt’altro: a distruggere denaro in eccesso, a frenare il potere dei super-ricchi impedendo loro di diventare così potenti da sovrastare l’autorità pubblica, e ad imporre a tutti i cittadini – mediante l’uso condiviso di una moneta comune – il riconoscimento del supremo potere statale, la sua sovranità finanziaria, a garanzia della comunità nazionale. Oggi lo Stato ha davvero bisogno delle tasse, perché è stato privato della sua moneta sovrana e non può più far fronte al suo debito fisiologico: gli euro deve infatti farseli prestare, a caro prezzo, dalla cupola finanziaria privata da cui dipende la Bce, a cui abbiamo regalato il nostro futuro senza neppure uno straccio di referendum.
Questa – dicono i critici – è la vera origine della tragedia, a lungo mascherata dalla congiuntura favorevole della crescita degli anni ’90. Caduto il velo, ora l’Europa è costretta a fare i conti con gli abissi di una crisi che appare irrimediabile, mentre la “cura” imposta dall’élite neoliberista – l’austerity – appare come un finto rimedio, di gran lunga peggiore del male. L’attuale politica non vuole ammetterlo, ma il percorso europeo si è tradotto in una ininterrotta discesa agli inferi, dal Trattato di Maastricht fino al Fiscal Compat, cioè il “pareggio di bilancio” obbligatorio, con la fine dello Stato come garante del cittadino. A quel punto, se le casse pubbliche si svuotano, il “rigore” è inevitabile: e quindi tagli, crisi, deflazione, paura diffusa, precarietà, impoverimento e disperazione. Che fare? Invertire la rotta, assolutamente: questione di vita o di morte.
E’ quello che la maggioranza dei francesi ha appena chiesto a François Hollande: rivedere gli accordi e riformare il ruolo di Bruxelles, trasformando la Bce in una banca federale e l’euro in una moneta nuova: comune, sì, ma pubblica. Sommovimenti che, dalla Francia, ora raggiungono la stessa Germania: dove la sinistra che si oppone alla Merkel prova a limitare i danni, cominciando proprio dal Fiscal Compact. Obiettivo: ammorbidire socialmente i tagli ai servizi pubblici. Quella del leader socialdemocratico Sigmar Gabriel è una protesta ancora timida, eppure le posizioni della Spd – da cui dipende la ratifica del trattato – hanno scatenato una fortissima reazione sul fronte conservatore, già messo in difficoltà dalla sconfitta del fedele alleato Sarkozy. Fine della politica del “prendere o lasciare”, che gli italiani hanno tristemente imparato a conoscere da Mario Monti? La partita è appena cominciata, ma a risolverla sembra non siano destinati i politici di oggi, eredi della generazione che si è arresa alla finanza trascinando l’Europa sull’orlo del suicidio.
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