sabato 19 maggio 2012

L'Italia è al default politico

La nuova legge elettorale? Bloccata. Quella per tagliare il finanziamento ai partiti? Non pervenuta. Tutte le altre riforme? Impantanate. L'azione del governo? Già finita. Da noi è il Palazzo che ci sta portando verso la Grecia

Fonte espresso.repubblica.it/di Marco Damilano


Spread alle stelle, la recessione più pesante d'Europa, un sistema politico impazzito. Dopo sei mesi di governo tecnico, il premier Mario Monti giurò al Quirinale il 16 novembre, la crisi italiana torna ad avvitarsi su se stessa. E' l'ultima paura: fare la fine della Grecia. Psico-dracma. "La probabile uscita della Grecia dell'euro è un precedente drammatico per noi", ragiona ad alta voce Bruno Tabacci nel pomeriggio in cui ad Atene i partiti si avventurano verso il buco nero di nuove elezioni mentre a Roma il Palazzo è paralizzato dai soliti veti incrociati. Come in una tragedia di Sofocle, un destino maledetto, una sorte beffarda che si abbatte sugli uomini. Anche se, nel caso italiano, il Fato c'entra poco.
L'incubo del default politico. L'incapacità del sistema di auto-riformarsi, nonostante i ripetuti appelli di Giorgio Napolitano. Sempre più preoccupato di concludere il suo settennato nel caos, al pari del collega greco Karolos Papoulias, 82 anni, ex partigiano, il presidente della Repubblica ellenica che fino all'ultimo ha provato a scongiurare la catastrofe seguendo la ricetta italiana, un governo tecnico appoggiato da tutti i principali partiti. In Grecia il tentativo è fallito ancor prima di cominciare. In Italia invece l'operazione Monti, il governo del Presidente, il capolavoro di Re Giorgio, è sembrato rappresentare la transizione dolce dal berlusconismo, la tregua politica, la possibilità di salvare l'Italia dal crack economico e di riformare le istituzioni. Ma ora che la tempesta finanziaria riprende a infuriare, al Quirinale si assiste a uno spettacolo che va nella direzione opposta. Le riforme, sempre annunciate dai capi di tutti i partiti, rischiano di finire sul binario morto della commissione Affari costituzionali del Senato, con buona pace degli impegni sbandierati dal presidente dell'assemblea Renato Schifani. "Siamo pronti a lavorare il sabato, la domenica e l'estate per raggiungere l'obiettivo", aveva garantito la seconda carica dello Stato il 29 marzo. "Fare sul serio le riforme è un "must", è l'unico modo per recuperare credibilità". Ma all'inizio della settimana decisiva Schifani si è come eclissato. Inseguito al telefono dalla capogruppo del Pd Anna Finoccchiaro e dal vice-capogruppo del Pdl Gaetano Quagliariello, senza successo. Quando è riemerso si è deciso per un altro rinvio: la commissione presieduta dal palermitano Carlo Vizzini, ex Pdl, voterà i 250 emendamenti al testo di riforma costituzionale la prossima settimana. Dopo i ballottaggi del voto amministrativo, quando l'attenzione si sposterà sulle rese dei conti post-elettorali. "Per approvare le riforme prima della fine legislatura siamo ben oltre i tempi supplementari", ammette Vizzini. E per i partiti diventa elevatissimo il rischio di una campagna elettorale da affrontare a mani vuote: zero riforme.
Il temporeggiare di Schifani riflette l'incertezza sulla legge elettorale che dovrebbe eliminare il Porcellum. L'accordo raggiunta al tavolo guidato da Luciano Violante è saltato dopo il primo turno delle amministrative. "Quella proposta ci porta in Grecia", ha scandito Romano Prodi, facendo infuriare il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Non è solo una metafora: in Grecia c'è una soglia di sbarramento del 3 per cento, circoscrizioni piccole che avvantaggiano i partiti più grandi, un premio di seggi per la lista che arriva prima, marchingegni previsti anche nella bozza Violante. Peccato che, in Grecia come in Italia, con le forze maggiori in caduta verticale di consenso, siano meccanismi che consegnano il Parlamento all'ingovernabilità.
Al Quirinale si assiste con preoccupazione anche alla crescente stanchezza del governo Monti. Chi ha incontrato il premier nelle ultime settimane lo ha visto sempre più provato dalle difficoltà interne e internazionali in cui si trova a muoversi. E nella squadra di governo, ministri e sottosegretari, cominciano a spuntare rivalità, dissensi e qualche pasticcio. Per esempio la brutta figura incassata dal ministro della Giustizia Paola Severino, con un sottosegretario (Andrea Zoppini), che si è dimesso perché indagato per frode fiscale, e un altro (Salvatore Mazzamuto) che ha fatto infuriare mezzo Parlamento con gli emendamenti sul falso in bilancio nel disegno di legge anti-corruzione. Oppure il sordo scontro tra il ministro cattolico Andrea Riccardi e la collega del Lavoro Elsa Fornero. Il primo in difesa della famiglia, la seconda intenta a terremotare il modello tradizionale ("Le coppie di fatto e le coabitazioni tra persone dello stesso sesso chiedono di essere considerate famiglie"). Un altro ministro, Fabrizio Barca, sdrammatizza: "Noi professori siamo ignoranti in molte questioni. Dobbiamo sperimentare e risperimentare...".
Con un sistema dei partiti paralizzato, che si parli di riforma elettorale, di legge anti-corruzione o di Rai, e con il governo tecnico alle prese con la crisi dell'euro, lo sgradito fantasma della Grecia torna ad attraversare l'Italia. Come successe alla fine degli anni Sessanta, quando il colpo di Stato militare dei colonnelli indicò la strada agli spezzoni della destra italiana erede del fascismo: "Viva i centurioni di Atene!", titolò a piena pagina il 1 giugno 1967 "Noi Europa", il periodico di Ordine Nuovo, l'organizzazione guidata da Pino Rauti, futuro segretario del Msi e suocero dell'attuale sindaco di Roma Gianni Alemanno.
Anche oggi nell'estrema destra si esulta per l'ascesa dei neo-nazisti di Alba d'oro: "Il Paese stuprato, privato persino della propria dignità (gli aguzzini targati Goldman non solo ti strangolano, ma mentre lo fanno ti giudicano pure) ha bastonato i partiti della cosiddetta "austherity"", si legge sui siti legati a Casa Pound.
A sinistra crescono le simpatie per il 37enne Alexis Tsipras, il giovane leader senza cravatta di Syriza, il partito della nuova sinistra che ha fatto saltare la trattativa per formare il governo di emergenza nazionale in Grecia, indicato nei sondaggi come prima formazione alle prossime elezioni di giugno. Filo-europeo ma contro il memorandum, il piano di salvataggio con condizioni capestro dettato da Bruxelles ad Atene, ha un irresistibile potere di fascinazione sulla sinistra di Nichi Vendola che con Syriza intrattiene ottime relazioni. Un modello in vista di un'eventuale sfida con Bersani alle primarie per la leadership del centrosinistra."Tsipras ci pone un tema straordinario", si infiamma il governatore della Puglia, "mentre qui da noi siamo prigionieri di una superstizione ideologica: il governo Monti balbetta ricette sulla crescita, fatica a pronunciare la parola eurobond, sul versante opposto c'è il populismo di destra e di sinistra che insegue la fuga dall'Europa. Noi invece dobbiamo ricostruirla".
Il più rapido a cavalcare la paura di una prospettiva greca per gli italiani è stato Beppe Grillo, che di default ellenico scrive sul blog già da mesi e che in campagna elettorale ha girato le piazze evocando l'uscita dell'Italia dall'euro. E' solo l'anticipo di quello che può avvenire nei prossimi mesi quando il fronte del no all'Europa si allargherà anche ai settori più oltranzisti della maggioranza che sostiene il governo. Silvio Berlusconi ha scelto la giornata più nera sui mercati per tornare a Palazzo Chigi, a pranzo con Monti. Il suo Pdl è in rotta, ma la strategia dell'assenza dalla scena del Cavaliere può dare i suoi frutti, ora che la situazione precipita. Perché di questa Italia alla greca il volto più autentico è sempre lui, Silvio. E' questo l'eterno ritorno cui l'Italia non riesce a sottrarsi.
18 maggio 2012

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