La legge che rende il caporalato un reato penale ha preso a funzionare, come dimostrano le imputazioni dell’operazione di questi giorni in base all’articolo 633 bis del codice penale.
www.eilmensile.it | Autore: Christian EliaAll’alba del 23 maggio è scattata in Puglia l’operazione Sabr, condotta dal Raggruppamento Operativo Speciale (Ros) dei Carabinieri con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Lecce. Sedici arresti, con ordinanza di custodia cautelare firmati dal gip Carlo Cazzella su richiesta del sostituto procuratore Elsa Valeria Mignone.
Gli indagati, in totale, sono ventidue, inquisiti per associazione a delinquere, riduzione in schiavitù, traffico di esseri umani, sfruttamento del lavoro. Obiettivo della magistratura colpire sia il racket che procura, dal Nord Africa e dall’Africa Nera la manodopera da sfruttare durante la raccolta dei prodotti agricoli in Puglia, Sicilia, Campania e Basilicata, che gli imprenditori che con questo sfruttamento lucrano. Un esempio su tutti: Pantaleo Latino, detto il ”re delle angurie” di Nardò, in provincia di Lecce. Noto per le sue battaglie contro le importazioni da Spagna e Grecia, è accusato di essere dal 2008 al centro del sistema di sfruttamento dei migranti.
Proprio a Nardò, da anni, attorno alla masseria Boncuri, è nata una rete di resistenza alla pratica dello sfruttamento dei braccianti, che l’anno scorso portò anche al primo sciopero degli sfruttati. Gianluca Nigro, della Finis Terrae Onlus, si batte per la dignità di queste persone e per combattere un fenomeno intollerabile. Dall’esperienza di questa lotta è anche nato un libro, Sulla pelle viva, edito da Derive/Approdi. E il mensile online ha intervistato Gianluca Nigro.
Dopo tanto impegno, come valutate la notizia della retata?
Siamo molto contenti e facciamo un elogio alla magistratura. Detto questo, si apre un doppio livello di analisi. Da un lato è una vittoria, dall’altro una sconfitta. Nel senso che non si può credere che fenomeni di questa portata possano essere risolti solo dalla magistratura. Si pone un problema di portata storica, per coloro che in questi anni non sono stati presenti. A parte i lavoratori e gli attivisti, con il comune di Nardò che ha dato una mano, le altre istituzioni e le parti sociali non hanno fatto abbastanza. Anche perché questo ci porta a riflettere su un altro aspetto: in questi anni si è tentato di descrivere il fenomeno del caporalato come limitato all’ambito migrante, come fosse scollegato dal mondo dell’imprenditorialità e dell’economia delle imprese produttive.
Ritenete che uno degli aspetti più interessanti di questa operazione è proprio la volontà di colpire oltre l’aspetto della gestione dello sfruttamento, andando a indagare la zona grigia dell’imprenditoria poco trasparente?
Il caporalato, e quindi lo sfruttamento, è parte integrante del processo produttivo. Per cui quello che è successo a Nardò, aspettando l’esito delle indagini, mette in luce il nesso tra lo sfruttamento e il mondo produttivo. E questo deriva da come, in generale, viene gestito il mercato del lavoro in Italia. Quello che accade nel settore agricolo a Nardò non è un’eccezione. E’ la regola.
Anche grazie al vostro lavoro, è finalmente emerso come lo sfruttamento della manodopera immigrata non è casuale ma determinato da esigenze economiche?
Noi sosteniamo da anni questa tesi. La legge Bossi-Fini e i vari pacchetti sicurezza seguenti, sono una forma di legislazione economica più che securitaria, legata più al mercato del lavoro che all’immigrazione in quanto tale. Negli ultimi venti anni il mercato del lavoro italiano e quello straniero sono entrati in concorrenza. Lo sfruttamento degli immigrati è stato tollerato ampiamente, in quanto funzionale a un processo economico non solo legato al mondo dell’agricoltura. Lo stesso processo è presente nel mondo dell’edilizia, del turismo, dei servizi. E si sbaglia ancor di più a credere che riguardi solo l’Italia meridionale, perché basta pensare alla raccolta delle mele in Trentino o al settore dell’ortofrutta nel cuneese. Esistono rapporti dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) che dimostrano come questo sfruttamento non avviene solo in Italia e non è un caso che questo fenomeno si sia sviluppato di pari passo con le politiche di chiusura delle frontiere dei paesi europei.
Possiamo dire che, finalmente, a livello normativo, qualcosa sta cambiando?
La legge che rende il caporalato un reato penale ha preso a funzionare, come dimostrano le imputazioni dell’operazione di questi giorni in base all’articolo 633 bis del codice penale. Detto questo, le commissioni parlamentari di Camera e Senato sono al lavoro per recepire, finalmente, la direttiva 52/2009 dell’Unione europea. Il governo Berlusconi non ha mai voluto recepirla, ma adesso è in arrivo, perché il governo Monti è stato costretto a recepirla per i procedimenti di infrazione. Ma non recepisce la parte più importante di questa direttiva: quella che da la possibilità ai lavoratori immigrati irregolari di denunciare le condizioni di sfruttamento lavorativo, ottenendo così un procedimento di regolarizzazione. Non è un caso. Perché la si recepisce, svuotandola di contenuto. Un brutto segnale, mentre questa inchiesta ne dimostra la necessità.
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