mercoledì 23 maggio 2012

'C'è una guerra contro i giovani'

'In tutto il mondo 40-50enni lavorano per proteggere se stessi, i propri interessi e ciò che possiedono. Discriminando la generazione successiva, che ragiona in modo diverso perché è cresciuta nel Web'. La provocazione del filosofo e futurologo svedese Alexander Bard

fonte espresso.repubblica.itdi Alessio Jacona
«Siamo in guerra con i nostri figli. C'è una generazione di 40-50enni che lavora per proteggere se stessa, i propri interessi e ciò che possiede usando strumenti di controllo del mercato e della società che sono altamente discriminanti nei confronti delle generazioni più giovani. E questa è l'esatta ragione per cui c'è una disoccupazione di massa tra i giovani di età tra i 20 e 25 anni».

A parlare è Alexander Bard, filosofo, scrittore, artista e produttore musicale svedese, autore insieme a Jan Söderqvist della 'Futurica Trilogy', serie di saggi sulla rivoluzione portata in dote dall'avvento di Internet.

Lo abbiamo raggiunto a margine dell'intervento che forse ha più entusiasmato l'esigente pubblico del Next Berlin 2012. Dove Bard ha spiegato quali sono secondo lui gli effetti più impattanti, dal punto di vista sociale, della rivoluzione di Internet.
«Quelli che sono cresciuti in Rete sono 'dividui' e non più 'individui'», dice Bard. «La parola individuo non serve più e definire come i giovani percepiscono se stessi oggi: divisi, in pezzi, molteplici. Un mosaico di personalità digitali. Né migliori né peggiori. Solo molto diversi. Le nuove generazioni vivono in questa condizione schizofrenica, si vedono e sentono divisi in tanti pezzi quante sono le identità che riescono gestire on line, sui vari siti e social network. E cosa ancora più importante, non percepiscono questo come un problema, ma come un valore», un asset del nuovo vivere digitale. E anzi, tra i giovani «quelli che sono di maggior successo sociale sono anche quelli che riescono a gestire il maggior numero di personalità contemporaneamente». Ok, ma essere 'dividui' è un bene o un male? «Non parlo mai di bene e male nel mio lavoro. Io mi occupo di differenze. Il mio compito è definire il cambiamento», spiega Bard. «Credo che la tecnologia sia ormai del tutto fuori dal nostro controllo e che questo sia un problema soprattutto per gli europei, perché noi siamo da sempre abituati all'idea controllare il mondo, lo addomestichiamo, lo sfruttiamo, lo abbiamo colonizzato. Il mondo è nostro».

E' stato così in passato, appunto. Ma ora le cose stanno in un altro modo e «l'evoluzione tecnologica è la forza drammatica che sta guidando un cambiamento che possiamo solo accettare, cui dobbiamo  adattarci, cercando rapidamente di comprendere come ci sta trasformando, come cambia il modo in cui vediamo noi stessi, la nostra comprensione del mondo e, soprattutto, come acuisce la differenza tra le varie generazioni».

Già perché, fa notare Bard, «c'è una differenza drammatica oggi tra come vede il mondo una persona di 40 anni e come lo vede una di 20. E noi dobbiamo capire quella differenza perché la tecnologia ci divide e ci mette uno contro l'altro in termini economici molto concreti».

Di qui la guerra contemporanea tra giovani e maturi. Una situazione in cui «chi è al potere non si rende conto di stare allevando una generazione profondamente risentita, e che avrà un solo strumento per consumare la propria vendetta». E quello strumento è ovviamente Internet, trasformato in arma letale e impiegata nello scontro finale tra generazioni.

Sembrerebbe il peggiore dei mondi possibili, e in effetti minaccia di esserlo se non ci diamo una mossa a capire cosa ci succede intorno: «Dobbiamo discutere della nuova società e della nuova struttura di potere che stiamo creando usando Internet - ammonisce Alexander Bard - e di come quello in cui viviamo sia radicalmente differente dal vecchio mondo al quale eravamo abituati».

Un esempio concreto può aiutare a dare la misura di ciò che intende lo scrittore svedese: «Il fatto stesso che oggi sia possibile avere amici in tutto il mondo, cambia radicalmente e velocemente la nostra geografia mentale, la espande ed arricchisce. Ma consente anche a sottoculture un tempo costituite da piccole comunità un tempo divise e sparse in tutto il pianeta di trovarsi, organizzarsi e improvvisamente diventare visibili. E potenti». E' così che stanno nascendo e nasceranno i movimenti che nei prossimi anni avranno la forza di cambiare il mondo.

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