Woody Guthrie quest’anno compirebbe cent’anni, ma non li dimostra. Prendiamo una delle sue canzoni meno conosciute, una piccola innocente filastrocca intitolata Jolly Banker – “l’allegro banchiere”: “Quando hai bisogno di soldi e mantieni una famiglia, io ti farò credito perché so che ne hai bisogno” – salvo poi prenderti casa, terra, macchina e tutto, se non ce la fai a ripagarlo. La scrisse durante l’altra grande depressione, ma vale anche per la nostra, per i mutui subprime, per l’1% di allegri banchieri contro cui si mobilita il movimento Occupy.
È un tema che ritorna spesso in Woody Guthrie: “i miei raccolti stanno rinchiusi nei forzieri delle banche”, dice in un’altra canzone, e “chi lavora è povero, chi specula è ricco”. Fino alla strofa indimenticabile: “Ho girato tutto il mondo, ho visto tante cose e tanta gente strana, ma non ho mai visto un fuorilegge che sfratta una famiglia dalla sua casa”, perché, conclude, “c’è chi ti rapina con la pistola, e chi con la penna stilografica.” Forse oggi avrebbe aggiunto che c’è chi ti rapina con un clic di mouse.
Non è un caso che Occupy Wall Street abbia recuperato una quantità di canzoni che appartengono al mondo di Woody Guthrie (da Which Side Are You On a We Shall Overcome), e che il momento più alto di speranza che gli Stati Uniti hanno vissuto negli ultimi anni – l’ingresso di Barack Obama alla Casa Bianca – sia stato segnato dalla memorabile performance di Pete Seeger e Bruce Springsteen che davanti a una folla enorme hanno cantato la grande canzone di Woody Guthrie, This Land Is You Land, questa è la tua terra (“questo è un bellissimo paese”, scriveva ironico Woody Guthrie, “con colline molto collinose e pianure molto pianeggianti; l’unica cosa che non mi va in questo paese sono i suoi padroni”) e l’hanno cantata recuperando strofe censurate e dimenticate di quella che era tanto una canzone d’amore per il proprio paese quanto una canzone di protesta: “C’era un muro che mi sbarrava la strada, e su questo muro c’era scritto proprietà privata”, e poi “ho visto la mia gente in fila davanti alla mense dell’assistenza, e mi sono chiesto se davvero questa terra è stata fatta per me e per te”.
Dicono: sono solo canzonette; è musica “leggera”. Ma se da settanta, ottanta anni c’è chi le canta e ci si ritrova, qualche ragione ci sarà. Una è strettamente musicale: sono canzoni d’uso, canzoni che si possono cantare. La musica popolare è fatta per viaggiare leggera, trasportata solo dalla memoria e dalla voce, magari con una chitarra e un’armonica; mentre sempre di più la popular music si va facendo tecnologica, sperimentale, con apparati sempre più complessi – che è una buonissima cosa, ma poi non ci si può stupire se la gente a casa ascolta Jimi Hendrix e poi in strada (penso a certe manifestazioni sindacali che ho visto negli anni ’80 negli Stati Uniti) canta Union Maid di Woody Guthrie. Che è poi la stessa ragione per cui il nostro “movimento del ‘77” le sue canzoni le inventava sull’aria della Spagnola o di Papaveri e papere, roba dei loro nonni, che non si sarebbero mai sognati di ascoltare.
Un’altra ragione oggi è che Woody Guthrie parla di tempi e di luoghi specifici – gli anni ’30 e ’40, il Sudovest degli Stati Uniti – ma lo fa andando alla radice, all’essenziale delle cose e dei rapporti, a quello che dura. Alla proprietà – come in This Land e nelle canzoni sui banchieri. Alla guerra: e allora, in tempi di guerre del Golfo, Tim Robbins conclude il suo “I protagonisti” sulle note di I Want to Know di Woody Guthrie: perché le tue navi da guerra solcano le mie acque, perché porti armi e bombe invece di cibo e vestiti? Alle migrazioni: la sua Deportee l’hanno incisa assolutamente tutti, da Dolly Parton a Bruce Springsteen, e racconta degli stagionali messicani morti nella caduta dell’aereo che li rimpatriava alla forza alla fine dei raccolti: “sono morti sui nostri colli, sono morti sulle nostre pianure, sono morti nei nostri orti, e non hanno altro nome che ‘deportees’”, stagionali, rimpatriati. Magari oggi ci leggiamo dentro anche cose che vedevamo di meno allora: le sue canzoni sulla Dust Bowl, le tempeste di polvere che mandano in rovina i contadini (svenati, anche qui, dai mutui ipotecari che non possono pagare), sono l’epopea e l’elegia di una grande tragedia umana; ma oggi ci accorgiamo che sono anche un ciclo doloroso di storie su un grande disastro ambientale causato dall’economia.
Woody Guthrie aveva scritto sulla sua chitarra: “Questa macchina ammazza i fascisti”. Sulla cinepresa di una film maker alternativa del Kentucky ho visto citate le stesse parole: anche quella macchina “ammazza i fascisti”. Questo infine insegna Woody Guthrie: le parole, la musica, le immagini – l’immaginazione, la passione e le idee – sono armi che ci possono salvare, dai fascisti di allora, e dai despoti globali di oggi.
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