Il Co-operative Group, il quinto più grande rivenditore della Gran Bretagna, ha deciso di boicottare i rivenditori che producono le merci nelle colonie israeliane della Cisgiordania. Nena News ha intervistato la coordinatrice della campagna BDS nel Regno Unito.
* Al-Jiftlik (Valle del Giordano), 30 aprile 2012, Nena News
“E’ un passo molto importante, una grande conquista per il movimento BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) in Gran Bretagna. Ora non resta che continuare la lotta”. Natalie Philips, co-coordinatrice della campagna per porre fine al commercio agricolo con Israele si dichiara positiva e soddisfatta per i risultati ottenuti – ero appena atterrata all’aeroporto Ben Gurion, mi stavano interrogando, quando ho ricevuto la bella notizia”.
“E’ un passo molto importante, una grande conquista per il movimento BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) in Gran Bretagna. Ora non resta che continuare la lotta”. Natalie Philips, co-coordinatrice della campagna per porre fine al commercio agricolo con Israele si dichiara positiva e soddisfatta per i risultati ottenuti – ero appena atterrata all’aeroporto Ben Gurion, mi stavano interrogando, quando ho ricevuto la bella notizia”.
La quinta più grande catena inglese di supermercati, il Co-operative Group (Co-op), ha deciso di chiudere ogni rapporto commerciale con le compagnie israeliane che producono le proprie merci nelle colonie israeliane, illegali secondo il diritto internazionale. E la decisione avrà effetti immediati su quattro società, Agrexco, Adafresh, Arava Growers e Mehadrin e su contratti del valore di circa 350.000£.
“Già tre anni fa Co-op aveva deciso di non commercializzare prodotti che provenivano dagli insediamenti israeliani, ma continuava ad avere rapporti commerciali con le compagnie coinvolte. Ma chi poteva assicurare a Co-op che le merci che comprava da Agrexco erano state realmente prodotte in Israele e non nelle colonie israeliane costruite illegalmente nei territori palestinesi occupati?” ha continuato Natalie – Per questo abbiamo iniziato una grande campagna per convincere Co-op a tagliare ogni tipo di legame con queste società. Tutto ciò è illegale ed immorale”.
E così sabato, dopo giorni di contrattazioni e di riunioni rinviate, è arrivata la notizia: Co-op ha deciso di “non impegnarsi con qualsiasi fornitore di prodotti noti per essere provenienti dagli insediamenti israeliani”.
“Si tratta di un vero e proprio boicottaggio delle compagnie che traggono profitto dall’occupazione” ha spiegato Natalie a Nena News – anche se l’azienda ha preferito utilizzare un linguaggio prudente per evitare eventuali attacchi”.
La rete di boicottaggio di Israele (Boycott Israeli Network – BIN) in Gran Bretagna è nata tre anni fa, come risposta all’appello lanciato dalla società civile palestinese. Da quel momento questo movimento si è strutturato in modo più organico. “All’inizio c’erano tante iniziative a livello locale, ma non esisteva un coordinamento nazionale e spesso c’era una grande perdita di informazioni e di conoscenze” ha continuato Natalie – così abbiamo iniziato ad organizzare dei work-shop in cui lo scopo principale era lo scambio di pratiche e capacità. In questo è stato molto importante il ruolo svolto la Micheal Deas, il coordinatore europeo della campagna BDS, basato a Londra”.
In particolare Natalie si è occupata della campagna per porre fine al commercio agricolo con Israele, cercando di fare pressione su varie catene di supermercati inglesi. Dato che Co-op è strutturata come cooperativa, ogni cittadino ha la possibilità di diventare membro e di fare pressioni dall’interno. Il Co-operative Group è diviso in sette regioni in Gran Bretagna quindi gli attivisti del BIN si sono organizzati ed hanno creato una rete organica in modo che in ogni sezione ci fossero membri che facessero pressioni sull’azienda. “Abbiamo presentato una risoluzione per chiedere a Co-op di cambiare la sua politica nei confronti delle aziende complici nell’occupazione” ha continuato Natalie – e dopo lunghi incontri Co-op ci ha contattato dicendo di aver trovato una soluzione. Ha presentato l’intera faccenda come un’idea pensata e maturata all’interno dell’azienda e non frutto di pressione di gruppi esterni. Ma l’importante è il risultato ottenuto”.
Ed ora Natalie assieme agli altri attivisti del BIN è impegnata a scoprire quali altre aziende israeliane sono coinvolte nelle produzione di merci nelle colonie israeliane. “Se troviamo prove di altri rivenditori, Co-op ci ha promesso che prenderà provvedimenti analoghi”.
In particolare Natalie si è occupata della campagna per porre fine al commercio agricolo con Israele, cercando di fare pressione su varie catene di supermercati inglesi. Dato che Co-op è strutturata come cooperativa, ogni cittadino ha la possibilità di diventare membro e di fare pressioni dall’interno. Il Co-operative Group è diviso in sette regioni in Gran Bretagna quindi gli attivisti del BIN si sono organizzati ed hanno creato una rete organica in modo che in ogni sezione ci fossero membri che facessero pressioni sull’azienda. “Abbiamo presentato una risoluzione per chiedere a Co-op di cambiare la sua politica nei confronti delle aziende complici nell’occupazione” ha continuato Natalie – e dopo lunghi incontri Co-op ci ha contattato dicendo di aver trovato una soluzione. Ha presentato l’intera faccenda come un’idea pensata e maturata all’interno dell’azienda e non frutto di pressione di gruppi esterni. Ma l’importante è il risultato ottenuto”.
Ed ora Natalie assieme agli altri attivisti del BIN è impegnata a scoprire quali altre aziende israeliane sono coinvolte nelle produzione di merci nelle colonie israeliane. “Se troviamo prove di altri rivenditori, Co-op ci ha promesso che prenderà provvedimenti analoghi”.
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