Un intervento così, un governo di banchieri e “consigliori” di banchieri, non lo farà mai. Eppure non si tratta di un'azione “anti-capitalista”. E nemmeno “anti-liberista”.
È semplicemente un'operazione di bun senso economico, perché se un paese è difficoltà finanziarie ed è costretto a chiedere “sacrifici” ai propri cittadini, è normale, ovvio, giusto, che li chieda a tutti. In proporzione alla propria ricchezza e reddito. È un concetto assai semplice della cultura liberale classica, che però in Italia suona talmente “orribile” da apparire addirittra “stalinista”.
Anche parlando tra compagni bisognerebbe usare meno slogan generici ed entrare di più nel merito. Quando parliamo, ad esempio, di una “logica di classe” messa in campo da un governo o un editorialista di peso, spesso ci accontentiamo di enunciare la formula. Senza guardare i dettagli. Come se la formula – che può ovviamente comprendere un vasto numero di casi e misure – fosse di per sé chiarificatrice.
Un politica “di classe” va in ogni caso decritta e decostruita. La borghesia è infatti un insieme eterogeneo, composto di molti strati, che fa i soldi in molti modi diversi, che sfrutta i lavoratori sempre ma con risultati non uguali. Quale “settore di classe”, all'interno stesso della borghesia, favorisce una certa politica? È necessario per capire in quale direzione spingere, momento per momento, identificando così quello che Mao e molti altri mostri sacri del pensiero rivoluzionario hanno chiamato il “nemico principale”. Che oggi è uno, domani un altro, fin che esiste un modo di produzione chiamato capitalismo.
Questo articolo tratto addirittura da Il Sole 24 Ore, organo di Confindustria, è utile per comprendere quanto le cose – all'interno stesso della classe dominante – siano ben lungi dall'essere appianate dietro l'adesione entusiastica al “governo tecnico”. Che fa certamente una politica di classe nel senso di “anti-lavoratori”, ma non soddisfa in eguale modo le diverse e conflittuali esigenze della “borghesia italiana”. Insieme sfrittellato quant'altri mai, da sempre incapace di disegno organico, di grandi visioni e di una qualche lungimiranza, chino su un'unica strategia: abbassare il costo del lavoro e prendere commesse pubbliche.
Tassare i capitali italiani in Svizzera frutterebbe a Roma 37 miliardi (secondo l'accordo austriaco)
Vittorio Da RoldÈ stato un accordo fiscale "blitz". Venerdí 13 aprile l'Austria del cancelliere Werner Faymann, che guida un governo di Grosse Koalition tra democristiani e socialisti, ha firmato alla velocità della luce un accordo con la Svizzera, sulla falsariga di quanto giá fatto dalla Germania (governo conservatore-liberale), per tassare i capitali austriaci "in nero" trasferiti nella banche di Berna.Lo storico accordo tra due "paradisi fiscali" prevede una tassazione "una tantum" per il passato con percentuali variabili dal 15 al 38% (con una media del 25 per cento). Il governo austriaco ha già previsto nel budget 2013 incassi per questo prelievo alla fonte pari a un miliardo di euro, incassi che potrebbero diventare, a detta degli esperti, fino a 3 miliardi calcolando circa 12 miliardi di soldi austriaci depositati in Svizzera e un prelievo del 25 per cento. Insomma una boccata d'ossigeno per le casse di Vienna che recentemente ha dovuto subire la perdita della tripla A del rating dei bond sovrani.È un'idea esportabile in Italia?
Il Governo italiano, guidato dal premier Mario Monti, si è sempre detto contrario a seguire le orme della Germania, e ora dell'Austria, in materia di accordi separati, preferendo un accordo comune a tutti i partner in sede europea. Quindi la questione è chiusa, almeno per ora.Ma ipotizzando per un momento che anche l'Italia decidesse di fare questo passo ardito, quanto potrebbe raccogliere?
L'ipotesi, ripetiamo è solo di scuola, ma vale la pena verificarla, almeno per sapere a quanto potrebbe ammontare l'incasso sulla tassazione dei capitali italiani esportati illegalmente in Svizzera.
Andiamo con ordine e verifichiamo passo dopo passo. La tassazione austriaca prevede un prelievo una tantum sul capitale pari a 12 miliardi di euro che, a una tassazione media del 25%, fa un incasso di 3 miliardi di euro. A questa cifra vanno aggiunti 50 milioni di euro che verrebbero incassati tramite un prelievo annuale alla fonte del 25% sugli interessi maturati (i 12 miliardi di euro depositati nelle banche svizzere dovrebbero fruttare intorno ai 200 milioni di interessi, ipotizzando un 1,666% di interessi medi, qualcosa meno di un 2% come indicato da fonti austriache).Tutto questo per quanto attiene le vicende austriache. E nel caso italiano cosa accadrebbe?
Nel caso italiano, l'una tantum sarebbe circa del 25% dei 150 miliardi di euro stimati, secondo indiscrezionidi stampa, quindi pari a 37,5 miliardi di euro di incassi. Un bel colpo. Inoltre quanto alla tassazione sugli interessi, facendo una proporzione analoga a quella prevista dagli accordi austriaci, l'Erario italiano potrebbe contare su 625 milioni di incassi all'anno. Insomma non proprio noccioline. Vale la pena pensarci e verificare se non valga la pena di seguiere le orme tedesche e ora austriache. Aspettare Bruxelles, per ora, non paga.
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