La crisi uccide, ma non come siamo portati a pensare. C’è chi ci lascia la pelle in modo violentissimo: banchieri, finanzieri e funzionari delle agenzie di rating. I corpi sono rinvenuti orrendamente decapitati, a colpi di scimitarra. E tutto fa supporre che l’assassino, che li considera criminali, si sia assunto l’incarico di impartir loro la più plateale delle punizioni. Romanzo criminale dell’abisso nel quale sprofonda la Grecia: Petros Markaris, il più noto autore greco di romanzi gialli, è attualmente impegnato in un’impresa piuttosto ambiziosa: sta lavorando a una “trilogia della crisi”, per raccontare la catastrofe sociale provocata dai tagli imposti dalla Bce. Nel primo volume, “Lixipròsthema Dhàneia” (in italiano “Prestiti scaduti”) l’antieroe nero è un serial killer: è lui che fa pezzi, letteralmente, i “carnefici” del popolo greco.
Come se non bastasse, aggiunge Carlo Oliva nella recensione pubblicata da “A, rivista anarchica”, nel noir di Markaris ci sono dei malintenzionati che diffondono per la città volantini e autoadesivi con cui si invitano i cittadini a non pagare i loro debiti alle banche: è proprio questo a preoccupare maggiormente i “pezzi grossi”, anche se il commissario Charitos, naturalmente, non perde mai il senso delle priorità. Nel secondo romanzo della serie, “Pereosi” (che vuol dire qualcosa come “adempimento”, “realizzazione”, ma anche “conclusione”), la prima vittima è un evasore fiscale: un medico di grido che, nonostante le entrate della lussuosa clinica privata in cui opera, le onerose parcelle che impone ai pazienti e un tenore di vita che gli permette di mantenere ben due ville, una in città e una alle Cicladi, nonché una collezione di quadri di grande valore, riesce a dichiarare una minima frazione del suo reddito e a pagarci delle tasse risibili.
Il super-evasore riuscirebbe a farla franca, «se non incappasse anche lui in un misterioso giustiziere – uno che, figuratevi, si fa chiamare “l’esattore del popolo” – che prima lo invita via Internet a regolarizzare la sua posizione fiscale e poi, evidentemente, passa all’azione». Risultato: il cadavere del contribuente infedele, ucciso con un’iniezione di cicuta, viene rinvenuto nel sito archeologico del Ceramico. «E’ evidente – scrive Oliva – che l’immaginazione sociale in Grecia, almeno come la interpreta Markaris (il cui romanzo, in pochi mesi, ha già avuto otto edizioni) è di tipo alquanto sanguinario». In una Atene spettrale, in cui non c’è praticamente più traffico per le strade, salvo gli addensamenti dovuti ai blocchi degli scioperanti, metà dei negozi hanno le serrande abbassate. In famiglia e sul posto di lavoro, compreso il commissariato, l’unico argomento di conversazione riguarda i tagli dello stipendio e delle altre forme di reddito. «E le anziane pensionate che vivono sole non hanno altra alternativa all’inedia che il suicidio di gruppo».
La capitale greca, continua Carlo Oliva, non è che l’ombra di quella che, appena otto anni fa, presentava orgogliosa al mondo la perfetta organizzazione delle sue Olimpiadi. Una città dove, oggi, le responsabilità del disastro vengono attribuite a una classe dirigente e imprenditoriale che altro non merita che la più severa delle punizioni. Analisi un po’ semplicistica, dice l’analista della “Rivista anarchica”: «Lacrisi ha una dimensione mondiale ed europea e i meccanismi che l’innescano non sono limitati ai ceti superiori». Charitos e i suoi colleghi sanno benissimo che, se si volesse colpire a morte tutti coloro che evadono o eludono il fisco, la strage sarebbe di massa. Quanto alle responsabilità dei banchieri e degli operatori finanziari, in Grecia non saranno diverse che altrove, anche se in Grecia, storicamente, «a una popolazione particolarmente operosa e frugale si è spesso contrapposta una borghesia parassitaria e vorace».
Un ceto medio-alto, che secondo Carlo Oliva ha intercettato e sperperato la maggior parte delle risorse disponibili, preferendo destinarle ai propri consumi piuttosto che investirle nello sviluppo comune: proprio a questa mancanza di equilibrio può essere imputata la fragilità dell’effimero benessere di cui la Grecia ha goduto negli ultimi anni. Vero: i cittadini vessati hanno tutto il diritto di imputare ai ceti più abbienti quello che, nella comune disgrazia, sembra un comportamento particolarmente deplorevole. «Certo, l’equilibrio non si ristabilisce con le scimitarre né con le iniezioni di cicuta», ma stiamo parlando di romanzi, appunto, non di trattati di sociologia. In Italia, dove si scrivono molti più gialli che in Grecia, nessuno scrittore si è finora inoltrato troppo su queste tematiche. Secondo il mainstream, non siamo nei guai perché chi sta in alto ha lucrato e sperperato, ma perché chi sta in basso (i lavoratori, in buona sostanza) tende a restare abbarbicato a privilegi e garanzie ormai fuori dal tempo: meglio quindi far “abbassare la cresta” ai riottosi, facilitare i licenziamenti, allontanare all’infinito le pensioni e sfruttare al massimo i dipendenti. Aggiunge Oliva: cosa aspettano, gli autori italiani, a chiamare i colpevoli col loro nome?
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