«Con questi leader non vinceremo mai», disse anni fa Nanni Moretti, davanti agli attoniti Rutelli e Fassino. Sicuramente, finora, hanno vinto loro: i leader. Sempre lassù, inamovibili. E pronti, oggi, a firmare apertamente il patto definitivo coi poteri forti per sacrificare l’Italia, come comandano i signori di Bruxelles, di Berlino e di Francoforte: lacrime e langue per tutti, tranne che per loro. Rivista oggi, la coraggiosa invettiva di Moretti sembra quasi ingenua. Rispetto a ieri, però, sulla scena c’è un personaggio in più: la paura. I vecchi leader – sempre gli stessi – ora tremano: leggono i risultati dei sondaggi e si sentono sempre meno al sicuro. Temono addirittura un comico, Beppe Grillo, che li ha sfidati pubblicamente, facendo subito bingo: il “Movimento 5 Stelle” convince oltre il 7% dei futuri elettori. Senza contare tutti gli altri, cioè la vera grande incognita: quasi un italiano su due non ha più voglia di votare per i vecchi partiti, schiacciati tra la “cura Monti” e gli scandali del finanziamento pubblico che hanno travolto persino la Lega.
A testa bassa, il vecchio marketing politico italiano improvvisa una controffensiva. Grillo? «Uno spregevole demagogo di quart’ordine, che corteggia i leghisti per conquistare voti e giustifica coloro che non emettono lo scontrino», tuona Giuliano Ferrara, secondo cui il comico genovese rappresenta «il male assoluto», perché è un populista «che spiega agli elettori leghisti che Bossi è innocente e che tutto dipende da un processo mediatico». Gli fa eco l’ex ministro Altero Matteoli, del Pdl, che descrive Grillo come «un clown, un fenomeno da circo» talmente ridicolo da non essere «nemmeno querelabile». Fanno decisamente meno ridere i sondaggi: i “grillini” potrebbero diventare il terzo partito italiano a partire dalle prossime amministrative, in cui si presenteranno con 101 liste in altrettanti Comuni. Di fatto, dal 2010 Grillo è già sul podio: terza forza alle regionali in Emilia (7%) e in Piemonte (4%), terzo anche a Bologna (9,5%) e a Torino (5,4%). A maggio 2012 si prevede un boom, che alle politiche del 2013 potrebbe trasformarsi nello sbarco a Roma con qualche decina di parlamentari.
Diretto concorrente sul fronte del voto “contro”, anche Nichi Vendola si preoccupa, definendo Grillo «un fenomeno mediatico inquietante». Per il leader di Sel, che almeno non sedeva nella tribuna-vip sferzata da Moretti, «quando ci si affida a urlatori a uomini della provvidenza, di solito questi preparano tempi peggiori, non tempi migliori». Ben diverso il tenore, irridente, della dichiarazione di Massimo D’Alema. Grillo? Un personaggio «a metà tra il Gabibbo e Bossi», specchio – addirittura – di chi «ha governato negli ultimi 15 anni». E dov’era, all’epoca, il signor D’Alema? Andava “a lezione” da un certo Jacques Attali, come ha recentemente raccontato l’economista francese Alain Parguez, già consulente del presidente François Mitterrand: Attali, che secondo Parguez indottrinò i famosi leader del centrosinistra italiano all’epoca del fatidico ingresso nell’euro, è il tipetto che firmò la battuta più sconcertante sul vero significato dell’introduzione forzata della moneta unica: «Ma cosa crede, la plebaglia europea: che l’euro l’abbiamo creato per la loro felicità?».
Un golpe finanziario, attuato per gradi: Maastricht, Lisbona, Fiscal Compact. Dopo clamorose polemiche, il giornalista Paolo Barnard è andato dai carabinieri a denunciare come “golpisti” Mario Monti e Giorgio Napolitano. Fine della sovranità nazionale e fine dello Stato come unico possibile salvatore dell’economia: chi ha ancora una propria valuta, come gli Usa e il Giappone, può attuare investimenti sociali attraverso il deficit protetto dalla moneta sovrana. L’Europa invece è finita in trappola, dicono autorevoli tecnici come Paul Krugman, premio Nobel per l’economia. E mai un referendum, naturalmente: cittadini mai chiamati a decidere del loro destino, mai ascoltati, mai neppure informati. Semmai, ipnotizzati: dal festival (truccato) dell’Europa unita ma non democratica, poi dal bunga-premier di Arcore, e ora dal “mago” della Bocconi, l’uomo che ha lavorato per le più micidiali e spietate oligarchie predatorie del pianeta, dalla Goldman Sachs al Bilderberg, dalla Commissione Europea alla Trilaterale.
«Con questi leader non vinceremo mai»? Noi no, sicuramente. Meno che mai oggi, verrebbe da dire, con in campo le loro controfigure, da Bersani ad Alfano. L’Italia va incontro a un suicidio storico, epocale? Si blatera di “crescita” comprimendo i salari e quindi i consumi? Si amputa la spesa vitale, senza uno straccio di idea sul futuro? Si taglia tutto, dalle pensioni agli ospedali, tranne le grandi opere inutili come la Torino-Lione? La Fiat perde i pezzi, ma nessuno azzarda un piano di riconversione: si pensa al massimo di privatizzare i servizi essenziali, per lucrarci sopra, alla faccia dei referendum sui beni comuni. E i famosi leader? Sono ancora là, naturalmente: occupano saldamente i media, presidiano le televisioni, balbettano i loro pigolii da salotto mentre la “premiata macelleria Monti” smantella anche la Costituzione, impedendo allo Stato di investire a favore dei cittadini. E intanto tremano, i leader: perché non hanno soluzioni. E ora temono apertamente persino il “buffone” Beppe Grillo.
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