venerdì 20 aprile 2012

Melenchon, la democrazia presa sul serio

di Paolo Flores d’Arcais, da Libération, 18 aprile 2012

Vista da fuori, la campagna elettorale per le presidenziali in Francia presenta una bizzarria: il candidato della sinistra Jean-Luc Melenchon viene presentato come un “estremista”, una specie di pendant alla candidatura razzista e neo-fascista (anche se sapientemente imbellettata) di Marina Le Pen. 

Ora, la bizzarria è questa: il programma di Melenchon, che vuole per tutti i lavoratori un salario minimo alto e, viceversa, un limite agli stipendi megagalattici dei manager, e una lotta senza quartiere all’evasione fiscale e alla corruzione, e le energie rinnovabili a preferenza del nucleare, e qualche “briglia” alla libertà selvaggia della finanza e del capitale, può piacere o non piacere, ma la sintesi di questo programma lo si può leggere, spesso inciso a lettere dorate e comunque sempre con le maiuscole, in tutti gli edifici pubblici della Francia: Liberté, Egalité, Fraternité. E’ dunque davvero stravagante che un programma che si limita a prendere sul serio quella che è la “ragion d’essere” dellaRepublique, e che perciò dovrebbe costituire il mainstream etico e politico della stragrande maggioranza dei francesi, venga invece tacciato di “estremismo”.



Sia chiaro, i toni e lo stile dei comizi di Melenchon possono risultare talvolta (e magari anche spesso) inficiati di populismo, di un “dialogo” diretto con la folla che favorisce pulsioni plebiscitarie anziché spirito critico e illuminismo, di inaccettabili attacchi “tout azimuth” ai giornalisti, di richiami ad esperienze demagogiche, o peggio, in atto in America Latina … Ma non è questo che spinge i suoi avversari, e la quasi totalità dei mass media, a definire “estremista” la sua candidatura, bensì proprio il suo programma. Che è invece semplicemente coerente con le tre parole/valore della Repubblica.

Il che dovrebbe costringere ad una riflessione di fondo sulla crisi della democrazia in atto in tutto l’Occidente: quando un paese trova normale definire “estremismo” i valori crucialidelle democrazia, e ritiene che “realismo” sia invece lo scarto crescente fra i valori proclamati nelle bandiere e nelle Costituzioni, e una politica che quei valori quotidianamente calpesta, è il fondamento stesso della legittimità democratica che viene messo a repentaglio.

Una convivenza sociale non regge all’infinito se alla parola “Egalité” corrisponde la crescita esponenziale delle differenze salariali, in una hybris di “liberismo selvaggio” che spinge i paesi europei verso la mostruosa indecenza delle diseguaglianze della Russia di Putin o della Cina del “Partito comunista cinese”. E se dunque la parola “Liberté” significa solo e soltanto “Privilegio” (sulla parola “Fraternitè” è meglio stendere un velo pietoso). Come può un paese pensare di affrontare in modo democratico l’attuale crisi economica, che esige un “di più” di coesione sociale e di sforzi convergenti, se considera carta straccia la “Magna Charta” dei valori su cui si fonda il “patto sociale” che dovrebbe vincolare tutti e fornire la bussola per le leggi ordinarie e per l’ethos diffuso della cittadinanza?

E invece, il minimo che si dice, se quei “sacri principi” vengono presi appena sul serio, è che si tratta di misure irrealistiche. Il che significa, se la logica ha ancora un valore, che realismo politico e abrogazione dei fondamenti di legittimità della democrazia fanno tutt’uno, che la Realpolitik esige il sovvertimento della democrazia!

Ripeto: se l’obiezione alla candidatura Melenchon fosse che lo stile dell’uomo fa dubitare della serietà con cui alle parole farebbe corrispondere i fatti, se ne potrebbe discutere (anche se, di fronte al tribunale di questo “dubbio” non credo che i suoi contendenti se la caverebbero meglio). Ma è proprio il programma, è proprio “Liberté, Egalité, Fraternité” che suona insopportabile e indigeribile.

Brutta storia. Tanto più che contro Melenchon non vale neppure l’obiezione del “voto utile”: questa volta non c’è nessuna possibilità che al ballottaggio vada un Le Pen, un candidato di sinistra ci sarà comunque, e Hollande cala nei sondaggi quando è meno “di sinistra”, non il contrario.

(20 aprile 2012)

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