fonte ilmaniesto.it Francesco Piccioni 24.04.2012
La
ministra accolta «con cortesia» dai metalmeccanici Fiom e Uilm. Ma il
confronto non cambia lo scenario e nessuno le risparmia le critiche:
«Sappiamo leggere. La riforma è da cambiare». I metalmeccanici
dimostrano competenza, e contestano al ministro che il debito viene
fatto pagare solo ai lavoratori "perché così è più facile". Altro che la
melassa dell'"equità".
Civilissimamente incazzati. Così i lavoratori
dell'Alenia hanno accolto il ministro del Welfare Elsa Fornero, la
mente fina della riforma delle pensioni che soltanto qui a Caselle ha
creato 300 «esodati» sui 1.500 di un'azienda a controllo statale che
conta in tutta Italia 11 mila dipendenti. È stato un confronto teso, sul
merito, in ogni istante delle due ore passate nell'hangar i cui hanno
trovato posto un migliaio di ingegneri, tecnici, operai (150 arrivati in
pullman dalla sede di Corso Marche) che lavorano in questo gioiellino
hi tech; anzi, decisamente militare. Due ore con una ventina di
interventi totalmente spontanei, a parte ovviamente un paio di
puntualizzazioni dei padroni di casa, la Fiom. Due ore senza nemmeno un
fischio, molti mugugni registrati dai sismografi, diverse interruzioni
sui passaggi più controversi, battimani a mille decibel per le prese di
parola dalla platea.
Alla fine l'applauso di cortesia, decisamente tiepido e abbastanza «piemontese» (se vi sovviene il proverbio), ma anche il riconoscimento alla tempra di un avversario duro che non è venuto a cercare consensi - il ministro, in rappresentanza del governo che sta cancellando 60 anni di conquiste - ma che ha ribadito punto per punto tutte le scelte fatte. Nessuno è rimasto convinto delle ragioni dell'altro, ma la «civile incazzatura» non ha mai travalicato i confini della cortesia dovuta a chi era stato invitato e ha avuto il coraggio di «venire a sentirsele dire».
La successione degli interventi è stata canonica. Venti minuti al ministro torinese, cinque a testa per Giorgio Airaudo, torinese, segretario nazionale della Fiom, altri cinque per il rappresentante della Uilm (l'unica sigla che ha avuto il fiuto di accodarsi all'iniziativa, invece di maledirla da lontano). Poi microfoni aperti per chi voleva parlare, prima del quarto d'ora concesso per la replica del ministro. E qui la sorpresa, per chi non conosce i metalmeccanici. Chiunque ha preso la parola ha mostrato una competenza sindacale e giuridica di grande spessore, contestando punto per punto tutto quel che Fornero aveva sciorinato nel suo solito stile professorale.
Quattro gli argomenti principali delle contestazioni. Gli «esodati», appunto, con 750 aggiunti a fine anno grazie a un accordo siglato dal ministro Passera mentre il collega Fornero segava le radici legislative dell'accordo, allungando l'età pensionabile. L'articolo 18, naturalmente. Con Pierpaolo Calcagno, delegato Fiom, a portare l'esempio di un'operaia bresciana del settore alimentare, licenziata 10 anni fa «per motivi economici» perché scartava troppi fegatini di pollo andati a male, salvando la salute dei consumatori ma «innervosendo» l'azienda. Con la «riforma» presentata dal governo non sarebbe stata mai riassunta, come invece è avvenuto dopo due anni di processi, indagini Asl e mobilitazioni.
Ma visto che Fornero aveva parlato soprattutto del «debito pubblico elevato», del «paese malato grave», ecc, per giustificare l'assoluta necessità di «riforme» a senso unico, proprio su questo punto - altra sorpresa - hanno insistito quasi tutti. Le risposte finali del ministro, ferme ma inevitabilmente vacue, hanno fatto capire a ognuno dei presenti che «fanno il culo a noi perché pensano che sia più facile che con altri». La disegualianza tirata all'estremo, insomma, invece della melassa dell'«equità» con cui - anche qui a Caselle - il governo ama condire ogni rasoiata ai diritti e ai redditi di chi lavora.
La soddisfazione della Fiom, alla fine è grande. «I lavoratori hanno dimostrato di poter discutere alla pari con il governo», dice Airaudo. «Non ci ha convinto», spiegano altri delegati all'uscita, «e anche lei sapeva di non poterci convincere». «In un clima di scontro e di straumentalizzazioni, è bene creare occasioni di reciproco ascolto. E anche ai ministri, ogni tanto può far bene un tuffo nella realtà», perché «gente che guadagna magari milioni di euro l'anno (il riferimento è soprattutto a Mario Monti, ndr) forse nemmeno capisce bene i problemi di chi tira avanti con 1.300 euro al mese».
Lucidi nel confronto, determinati negli obiettivi, questi metalmeccanici non si fanno abbindolare dalle frasi; nè in televisione, né dal vivo. Sanno leggere i testi e tradurre ogni norma in «condizioni di lavoro», livelli di salario, prospettive di vita. «Sappiamo come funziona l'articolo 18; non ci basta davvero che sia conservata la parola "reintegro", se la possibilità di averlo diventa un caso "estremo e improbabile", come dice Monti».
Questo confronto, dunque, non ha cambiato lo scenario. «Sappiamo di non averla convinta, ma questa è una sola delle tante iniziative che abbiamo deciso di prendere per far cambiare idea al governo. Queste norme - sull'articolo 18, sugli ammortizzatori sociali, sugli "esodati", sulla precarietà - vanno radicalmente cambiate. Il lavoro deve farsi sentire con forza e argomenti seri, come abbiamo fatto oggi. C'è bisogno di arrivare a un vero sciopero generale».
Alla fine l'applauso di cortesia, decisamente tiepido e abbastanza «piemontese» (se vi sovviene il proverbio), ma anche il riconoscimento alla tempra di un avversario duro che non è venuto a cercare consensi - il ministro, in rappresentanza del governo che sta cancellando 60 anni di conquiste - ma che ha ribadito punto per punto tutte le scelte fatte. Nessuno è rimasto convinto delle ragioni dell'altro, ma la «civile incazzatura» non ha mai travalicato i confini della cortesia dovuta a chi era stato invitato e ha avuto il coraggio di «venire a sentirsele dire».
La successione degli interventi è stata canonica. Venti minuti al ministro torinese, cinque a testa per Giorgio Airaudo, torinese, segretario nazionale della Fiom, altri cinque per il rappresentante della Uilm (l'unica sigla che ha avuto il fiuto di accodarsi all'iniziativa, invece di maledirla da lontano). Poi microfoni aperti per chi voleva parlare, prima del quarto d'ora concesso per la replica del ministro. E qui la sorpresa, per chi non conosce i metalmeccanici. Chiunque ha preso la parola ha mostrato una competenza sindacale e giuridica di grande spessore, contestando punto per punto tutto quel che Fornero aveva sciorinato nel suo solito stile professorale.
Quattro gli argomenti principali delle contestazioni. Gli «esodati», appunto, con 750 aggiunti a fine anno grazie a un accordo siglato dal ministro Passera mentre il collega Fornero segava le radici legislative dell'accordo, allungando l'età pensionabile. L'articolo 18, naturalmente. Con Pierpaolo Calcagno, delegato Fiom, a portare l'esempio di un'operaia bresciana del settore alimentare, licenziata 10 anni fa «per motivi economici» perché scartava troppi fegatini di pollo andati a male, salvando la salute dei consumatori ma «innervosendo» l'azienda. Con la «riforma» presentata dal governo non sarebbe stata mai riassunta, come invece è avvenuto dopo due anni di processi, indagini Asl e mobilitazioni.
Ma visto che Fornero aveva parlato soprattutto del «debito pubblico elevato», del «paese malato grave», ecc, per giustificare l'assoluta necessità di «riforme» a senso unico, proprio su questo punto - altra sorpresa - hanno insistito quasi tutti. Le risposte finali del ministro, ferme ma inevitabilmente vacue, hanno fatto capire a ognuno dei presenti che «fanno il culo a noi perché pensano che sia più facile che con altri». La disegualianza tirata all'estremo, insomma, invece della melassa dell'«equità» con cui - anche qui a Caselle - il governo ama condire ogni rasoiata ai diritti e ai redditi di chi lavora.
La soddisfazione della Fiom, alla fine è grande. «I lavoratori hanno dimostrato di poter discutere alla pari con il governo», dice Airaudo. «Non ci ha convinto», spiegano altri delegati all'uscita, «e anche lei sapeva di non poterci convincere». «In un clima di scontro e di straumentalizzazioni, è bene creare occasioni di reciproco ascolto. E anche ai ministri, ogni tanto può far bene un tuffo nella realtà», perché «gente che guadagna magari milioni di euro l'anno (il riferimento è soprattutto a Mario Monti, ndr) forse nemmeno capisce bene i problemi di chi tira avanti con 1.300 euro al mese».
Lucidi nel confronto, determinati negli obiettivi, questi metalmeccanici non si fanno abbindolare dalle frasi; nè in televisione, né dal vivo. Sanno leggere i testi e tradurre ogni norma in «condizioni di lavoro», livelli di salario, prospettive di vita. «Sappiamo come funziona l'articolo 18; non ci basta davvero che sia conservata la parola "reintegro", se la possibilità di averlo diventa un caso "estremo e improbabile", come dice Monti».
Questo confronto, dunque, non ha cambiato lo scenario. «Sappiamo di non averla convinta, ma questa è una sola delle tante iniziative che abbiamo deciso di prendere per far cambiare idea al governo. Queste norme - sull'articolo 18, sugli ammortizzatori sociali, sugli "esodati", sulla precarietà - vanno radicalmente cambiate. Il lavoro deve farsi sentire con forza e argomenti seri, come abbiamo fatto oggi. C'è bisogno di arrivare a un vero sciopero generale».
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