giovedì 26 aprile 2012

Tasse, i soldi degli altri. Intervista a Bruno Tinti


Un "patto scellerato" quello tra Stato ed evasori fiscali: se il 93% del gettito tributario lo pagano lavoratori dipendenti e pensionati significa che tanti, troppi, italiani vivono a sbafo. Sono i possessori di partita Iva e i tanti professionisti che denunciano molto meno di quanto guadagnano. Ne parla Bruno Tinti, ex magistrato che si è occupato soprattutto di reati finanziari e ha appena pubblicato "La rivoluzione delle tasse" edito da Chiarelettere.
Colloquio con Bruno Tinti di Rossella Guadagnini
Rubare? Si può. Specie in un sistema "costruito per non funzionare". Se l'articolo 53 della nostra Costituzione dice che "tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva", qualcun altro come l'ex premier Silvio Berlusconi ha affermato, invece: "L'evasione di chi paga il 50 per cento dei tributi è un diritto naturale che è nel cuore degli uomini". Pochi giorni fa, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a proposito dell'evasione fiscale ha commentato: "Questi comportamenti devianti, per quanto diffusi, non possono essere associati alla stessa parola Italia". Lo Stato, tuttavia, protegge di fatto gli evasori, "sia non controllandoli, sia con iniziative 'ad hoc', come i condoni (uno ogni quattro anni), oppure con leggi specifiche (ad esempio, l'abolizione del falso in bilancio)". Lo sostiene Bruno Tinti, magistrato fino al 2008, che si è occupato soprattutto di reati finanziari, autore del volume "La rivoluzione delle tasse. Perché il sistema è costruito per non funzionare", appena pubblicato da Chiarelettere (pp. 176, euro 12).
Editorialista del "Fatto Quotidiano", Tinti ha scritto in precedenza per lo stesso editore "Toghe rotte" (2007) e "La questione immorale" (2009). La sua è la testimonianza di chi ha provato a far pagare le tasse agli italiani, anche con la proposta di una nuova legge tributaria approdata in parlamento e poi affossata dal "partito trasversale degli evasori". Gli abbiamo chiesto un parere sulla situazione fiscale e l'operato del governo.

Dottor Tinti, il messaggio è chiaro: in Italia rubare si può, eccome. Basta non fare parte delle due categorie, lavoratori dipendenti e pensionati, da cui proviene il 93 per cento dell'intero gettito tributario.
La vera rivoluzione di Mario Monti sarebbe quella di far pagare le tasse a tutti: 160 miliardi da recuperare, altro che finanziaria. Potremmo essere più ricchi: basterebbe poco per raggiungere un risultato straordinario. Ma bisogna volerlo e non aver paura di perdere il voto degli evasori. Secondo Attilio Befera, capo dell’Agenzia delle Entrate, le cose non vanno così male: si incassano più soldi, i controlli sono mirati, la loro qualità è migliorata. Speriamo sia vero. Tuttavia nel 2011 sono stati recuperati 12,7 miliardi dal contrasto all’evasione fiscale, esito dell’attività svolta in anni precedenti, ossia proveniente dal passato, non da un gettito fiscale accertato e recuperato nell’anno. Superiore (per il 15%) a quello del 2010, è vero, ma per pura casualità: meno rateizzazioni, più pagamenti in unica soluzione, più sentenze definitive...

La capacità di scovare gli evasori è dunque la stessa rispetto a prima.
E' stato detto: "Abbiamo deciso di incrementare gli accertamenti sulle grandi imprese, quindi ne faremo di meno sulle medio-piccole e sulle persone fisiche". Non so quanto ciò sia giusto. Le grandi imprese non evadono, eludono. La lotta all’elusione si fa sulla base di valutazioni giuridiche, in punta di fioretto: dovevi applicare questa norma; no, ti sbagli, la norma giusta è quest’altra. I risultati arrivano dopo anni di processi tributari e sono incerti. Naturalmente, se si considera solo la contestazione mossa con l’accertamento, sembrano grandiosi. I conti però si fanno alla fine. E il risultato del lavoro fatto sono sempre 160 miliardi di euro in meno all’anno, che restano imprendibili, malgrado gli sforzi dell'Agenzia delle Entrate.

Non è mai una buona strategia lodare l’efficienza del Fisco...
Credo sarebbe meglio evidenziarne le carenze, proporre riforme e chiedere risorse. Occorre, inoltre, spiegare ai cittadini che la riscossione è un capitolo fondamentale della lotta all’evasione e che, tra i poveretti che si uccidono perché “perseguitati” da Equitalia, si nascondono in grande quantità proprio gli evasori a cui si dà la caccia. Altrettanto importante sarebbe non mettere l’accento sulla delicatezza degli interventi dell’Agenzia, sull’attenzione posta a "non disturbare". E' assai meglio dire: scusateci tanto, ma abbiamo molto da fare. Lavoriamo per voi e un po' vi disturberemo.

Il "patto scellerato", come lei lo definisce nel suo libro, tra lo Stato e gli evasori, è figlio di una giungla di leggi tributarie. Ma quando è cominciato?
Da tempo, circa 30, 35 anni fa. In Italia i contribuenti si dividono in due grandi categorie: quelli le cui imposte vengono prelevate alla fonte e quelli per cui vale il principio dell'autotassazione. Queste persone sono abilitate a dire allo Stato "quest'anno io affermo di aver guadagnato x", ma non è affatto detto che dicano la verità. In questa categoria di persone si annidano gli evasori. Far pagare le imposte a tali soggetti comporterebbe una riforma del sistema tributario, da una parte, e una ristrutturazione dell'attività di accertamento e repressione dell'evasione fiscale, dall'altra. L’uomo politico che si facesse promotore di simili iniziative, automaticamente perderebbe il consenso di milioni di contribuenti che da tempo immemorabile godono dell'impunità. In questo consiste il patto scellerato tra Stato ed evasori a cui accennavo: milioni di persone votano politici di ogni schieramento che hanno scelto la strada dell'inerzia, cioè di lasciare intatto un sistema che garantisce l'impunità. Il risultato? L'Italia ha il primato dell'evasione fiscale e, in concreto, ogni anno perde oltre 160 miliardi di euro, una cifra superiore al gettito fiscale che non arriva ai 150 miliardi.

Veniamo al governo Monti. Da quanto è dato capire, la pressione fiscale cresce ancora e a essere colpiti sono casa, redditi dipendenti e i pensionati. Che strada è quella imboccata dai tecnici?
L'attuale governo soffre un paio di paradossi: intanto è tecnico, quindi ha un margine di manovra che un governo politico non avrebbe. Non essendo espressione degli elettori, non ne richiede il consenso, e ha assicurata una possibilità di manovra sconosciuta all'esecutivo politico. Può compiere scelte impopolari, come quella di far pagare le imposte. Il primo paradosso è dunque che, per riuscire a combattere l'evasione fiscale, un Paese come il nostro, a scarsissima civiltà politica, ha bisogno di un governo che non sia politico, perché il governo politico ha dimostrato la sua complicità con gli evasori. Si tratta di un vero e proprio voto di scambio: non vi faccio pagare le imposte e vi garantisco l'impunità, ma voi eleggetemi. Chi era al potere stipulava questo tipo di contratto, trasversale ai partiti, con gli elettori. Il secondo paradosso, invece, è che per far pagare le imposte alle persone occorre adottare delle scelte di cui prime vittime sono proprio le persone che già pagano le tasse. Dopo l'estate scorsa, mentre il Paese era sull'orlo della bancarotta, non si sapeva se lo Stato sarebbe stato in grado di pagare pensioni e stipendi. Ciò significa che c’era bisogno di soldi e che si dovevano adottare misure draconiane. Chi ha maggiori risorse ha contemporaneamente maggiori possibilità di sottrarsi alle misure draconiane. Il capitale, per definizione, può essere spostato, a Hong Kong, a Lugano. Monti lo disse chiaramente che la patrimoniale sui grandi capitali è cosa complicata. I capitali possono sparire, non sono un salario, una paga. E' ovvio che, ferma restando la grande necessità di soldi, purtroppo in prima battuta questi soldi vengono forniti con grande sacrificio proprio dai più poveri, ma non è una scelta di Monti o, come è stato detto, una scelta "di destra". E' una scelta obbligata dalle cose: prendo i soldi dove li trovo. Il governo ha poi cercato di ovviare a questa situazione con la tasse sulla casa, cioè l'Imu. Patrimoniali sugli yacht o sulle auto di alta cilindrata come il superbollo sono cose che gravano sui ricchi, ma non danno un grande gettito. L'Imu è un’imposta equa, perché la pagano ricchi e poveri, ma in misura diversa. La riforma in base ai metri quadri, e non più in base ai vani, renderà questa imposta ancor più equa. Si tratta di provvedimenti destinati a fare cassa.

C'è anche una difesa delle banche, ricapitalizzate persino con una norma sulla limitazione del contante. Rimetteranno in circolo questi capitali riaprendo il credito ai singoli e alle imprese?
Le banche hanno ricevuto un'importante iniezione di liquidità dalla Bce. Con questi soldi hanno, in grandissima parte, comprato titoli di stato, cioè hanno fatto diminuire lo spread, attribuendo fiducia e autorevolezza al titolo italiano, un'operazione che è andata nella direzione dell’interesse del Paese. Poi c'è la diffusa opinione che vede nelle banche gli strozzini che affamano il popolo. Le banche hanno titoli di stato che pagano in media il 4 per cento all’anno con capitale bloccato probabilmente per i prossimi cinque, sei anni. Se utilizzassero gli stessi soldi per finanziare le imprese dovrebbero applicare un interesse dell'8 o del 10 per cento. E quasi nessuna impresa privata è in grado di pagare su un finanziamento l'8 o il 10 per cento l'anno. Non parliamo poi del finanziamento ai privati, ossia prestiti e mutui. La banca finanzia al massimo il 70 per cento dell'immobile, perché specie in questo momento il rischio di insolvenza è molto elevato e se la rata del mutuo non viene pagata la banca non ha interesse a trovarsi l'ennesimo immobile da piazzare su un mercato depresso. Il primo problema sono i soldi: se non ci sono non si fa ripresa, non si fa assistenza.

Da quanto afferma appare chiaro il fallimento della politica italiana in genere e della sinistra in particolare, la mancanza di un partito, diciamo 'laburista', che garantisca almeno che tutti paghino imposte giuste e progressive. Un fallimento ancor più grave visto che a sostenere Monti ci sono Alfano, Bersani e Casini.
E' il fallimento derivante da una politica che ha privilegiato il consenso e tenuto conto solamente degli interessi di una parte del problema. Che mai ha voluto vedere il problema nel suo complesso. Negli stabilimenti Fiat del meridione in passato era previsto un premio di produzione nel caso l'assenteismo non superasse il 5 per cento. E' questo che ha contrassegnato il fallimento della politica di sinistra, la mancanza di rigore: non bisogna regalare il pesce a una persona, ma insegnarli a pescare. Invece, in tutti questi anni, la politica è stata solo quella di regalare pesci. Solo che poi i pesci finiscono. L'evasione fiscale è il simbolo di una politica a cortissimo raggio: ci si garantisce il consenso pagando con i soldi degli altri, mettendo le mani nelle tasche dello Stato. Ma lo Stato così va in rovina. Perché abbiamo duemila miliardi di debito pubblico? Intanto a causa di una politica di spesa dissennata, fondata sulla necessità del consenso, una spesa insomma affrontata non per soddisfare le reali esigenze del Paese, ma per ragioni clientelari. In secondo luogo, noi non ricaviamo dalla capacità contributiva dei cittadini quanto occorre per sostenere le spese pubbliche e, dunque, dobbiamo continuare a indebitarci per mantenere i vari servizi dello Stato. Con 160 miliardi all’anno, che mancano all'appello, si fa presto a trovarsi carichi di debiti.

In molti si fanno una domanda che può apparire frutto dell’antipolitica, ma che ha una sua ragione: c’era bisogno di un governo di supertecnici e fior di bocconiani per sfornare un aumento delle accise sulla benzina, la tassazione sulla casa e l’aumento generalizzato dell’Iva?

Si può anche dire: io tasso solo le seconde case. Ma c'è un ma. L’80 per cento dei cittadini possiede una sola casa. Il 20 per cento più di una. E' evidente che da questo 20 per cento si ricava un gettito assolutamente insufficiente a colmare l'attuale stato di crisi.

Guardiamo al modello americano: mi scarico tutto quello che posso, per cui pretendo poi le pezze di appoggio fiscali. E’ una strada che da noi si può imboccare? Perché molti hanno l'impressione che, passato il momento attuale dei controlli, si torni a non fare nemmeno più lo scontrino fiscale.
La ricevuta che ci mettono in mano non è nemmeno una ricevuta fiscale. Apparentemente il cliente è convinto che si tratti di una ricevuta fiscalmente valida. Non è così. Siccome i blocchetti di ricevute non sono annotati, non sono inseriti in contabilità, quando io ho finito prendo quel blocchetto e lo distruggo. Di nuovo tutto dipende dalla buona volontà dell'artigiano, del commerciante, del professionista. La strada in effetti è piuttosto quella di creare un conflitto di interessi tra i cittadini, che oggi sono invece alleati contro lo Stato. Se l'idraulico viene a casa e rifà il bagno, poi chiede tremila euro. Ma se vuole la fattura sono tremilaseicento. Non mi conviene, in quanto non scaricando la spesa, io pago seicento euro in più. A questo punto lo Stato perde 600 euro di Iva che io non pago e 900 euro di Irpef, che il nostro idraulico – che si fa pagare in contanti – non pagherà mai, cioè 1500 euro di imposta. Se fossi autorizzato a dedurre dal mio reddito quello che ho pagato all'idraulico, gli direi "abbi pazienza, a me la tua fattura serve perché su questi 3000 euro non pagherò le tasse". E' una via percorribile che tuttavia passa per l’abolizione del contante. Per lo Stato la gestione di milioni di fatture è praticamente impossibile. Allora si deve fare tutto informaticamente, ossia pagare ogni cosa con carta di credito o bancomat. In questo modo lo Stato è in grado di conoscere, in via diretta, quello che io ho speso per fare il bagno e quindi me lo dedurrà in automatico, a fine d'anno, al momento di fare i conti su quanto io devo pagare e lo aggiungerà in automatico all'idraulico, sul cui conto sono confluiti attraverso la carte di credito i miei tremila euro. Quando paghiamo con carta di credito abbiamo già due flussi d'informazione: uno che va alla mia banca, l'altro che va alla banca dell'idraulico. Dobbiamo aggiungerne un terzo che è ipotizzabile vada all'Anagrafe tributaria. Questo sempre se riusciamo a trovarlo un idraulico.

(24 aprile 2012)

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