Il crollo del paradigma che ha accompagnato l’occidente dalla seconda guerra mondiale in poi, ma fondato nell’età delle rivoluzioni, è sotto gli occhi di tutti: la disgregazione geopolitica e la perdita di potere relativo rispetto al resto del mondo fino a qualche decennio fa impotente, va di pari passo con quella politica e sociale: se qualcosa è visibile ad occhio nudo e senza bisogno di alcun microscopio concettuale, quella è la riorganizzazione oligarchica ed autoritaria del sistema globalista che fino ad ora si era in qualche modo mimetizzato scambiando la moneta buona delle libertà sociali e dei diritti con quella fasulla del consumismo sfrenato e della permissività narcisistica, facendo finta che avessero il medesimo valore.
Poi, proprio all’inizio del secolo, le oligarchie hanno aperto un nuovo mercato parallelo ovvero quello dello scambio tra libertà e sicurezza aperto dalla stagione del terrorismo.
Tutto ha funzionato egregiamente fino a che il trasferimento di ricchezza reso possibile da questa logica sociale e antropologica non ha talmente aumentato le disuguaglianze e impoverito i ceti popolari e medi da suscitare una reazione la cui forza non era stata messa in conto e contro la quale è stato anche poco efficace la mobilitazione dei ceti colti collaterali al globalismo che hanno invece dimostrato la loro subalternità. Così le oligarchie del denaro hanno cominciato ad alzare la posta affinché gli avversari fossero impauriti da qualche bluff: ed ecco che dai meandri di una scienza ormai inscindibilmente legata e collegata al capitale, è arrivato il virus fine di mondo. una sindrome influenzale e niente di più, ma preparata da anni di simulazioni e di esternazioni nei think tank, per essere l’incarnazione della peste.
Lo si capisce benissimo dal fatto che governi ormai sussidiari alle politiche economiche siano stati presi dal panico e si siano rivolti a quelli che venivano considerati guru dell’ epidemiologia per di loro cosa fare e quale sarebbe stato l’impatto dell’epidemia. In particolare a “modellizzare” lo sviluppo del contagio e grosso modo il numero dei morti atteso è stato il matematico Neil Ferguson dell’Imperial College di Londra e il dottor Richard Hatchett della CEPI (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations), ex collaboratore del segretario alla Difesa USA, Donald Rumsfeld. Questo è davvero straordinario perché entrambi questi personaggi hanno dietro di sé una clamorosa scia di fallimenti: in particolare Ferguson, previde nel 2002 50 mila morti per la famosa mucca pazza e in 30 anni le vittime presunte sono state 198; nel 2005, affermò che fino a 200 milioni di persone sarebbero state uccise dall’influenza aviaria, ma in tutto il pianeta si ebbero 48 morti; nel 2009 Ferguson e il suo team dell’Imperial College informarono il governo che l’influenza suina o H1N1 avrebbe probabilmente ucciso 65.000 persone nel Regno Unito. Alla fine ne sono morte 457. Questa volta ha previsto mezzo milione di morti in Gran Bretagna che non ci sono ovviamente stati, ma qualunque persona si chiederebbe come mai ci sia ricolti a queste persone per avere dei lumi.
Qui in un certo senso comincia il post, perché voglio dire che nella società globalista sta diventando difficile fare scienza visto che ogni attività umana è orientata la mercato e al profitto. Le tesi catastrofiche sono quelle che portano maggior guadagno al settore medico e farmaceutico nel suo complesso: dunque sono anche le tesi prevalenti. Ovviamente non si tratta di un complotto, ma è la semplice logica del sistema che porta inevitabilmente a questo: più si accentua la gravità della situazione , più arrivano fondi, più si accelerano carriere e posizioni di potere, più si pubblica e si entra nell’onorata società accademica e della ricerca, più gli ospedali beneficiano di contributi pubblici e/o versamenti assicurativi, più le grandi organizzazioni falsamente filantropiche beneficiano di offerte dagli stati ( vedi i 300 milioni elargiti dall’Italia a Bilkl Gates e al suo mondo vaccinista) e dai privati. Insomma tutti ci guadagnano e questo costituisce una deformazione cognitiva che non rende più possibile o credibile un appello alla scienza come giudice finale perché troppo implicata in conflitti di interesse.
Certo questa cosa non accade solo col Covid, ma anche nella quotidianità, laddove le scelte terapeutiche sono sempre a favore del maggior costo e anche quando ci sono evidenze diverse trovate da quella poca ricerca di nicchia, le si ignora completamente. Gli esempi che potrei fare, pur da profano informato e comunque curioso, sono decine e vanno dall’uso massiccio e in molti casi superfluo o persino dannoso delle statine, all’uso di chemioterapie particolarmente pesanti perché il mercato dei farmaci coadiuvanti è troppo ricco per poterlo azzerare con formulazioni di pari efficacia, ma con minori effetti collaterali. Del resto il fatto fondamentale è che l’80 per cento delle ricerche mediche è pagato dall’industria farmaceutica e così pure il 95% delle riviste accreditate sulle quali compaiono le ricerche. Per di più molti studi sono scorretti o mal impostati o irripetibili per la necessità di strumentazione apposita, per mancanza di fondi ( che scarseggiano quando si tratta di controllare certi risultati): insomma se la scienza è discussione e dibattito in questo campo è il denaro che decide chi è in maggioranza e chi in minoranza.
E’ questa la scienza che fa da paravento a visioni e disegni che in questo caso è di portare la paura al centro delle dinamiche sociali con le persone che invece di cercare collegamenti diventano ostili e sospettose tra di loro, con la distruzione della vita collettiva e politica e l’instaurazione di una dittatura sanitaria che viene dichiarata temporanea, ma che ormai ha sdoganato la possibilità di mettere tra parentesi le costituzioni anche a fronte di emergenze che si riveleranno dei pretesti.
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