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Viviamo in tempi strani. In giro per
il mondo le vite sono devastate dal Covid-19 oppure da crisi sociali,
economiche e politiche. In momenti così, non sorprende che emergano il
peggio e il meglio dell’umanità. Eppure la geopolitica da gangster nelle
sue varie manifestazioni sembra spingersi ancora oltre.
Si pensi all’inasprimento delle
sanzioni statunitensi nel bel mezzo della crisi sanitaria che colpisce
società già gravemente provate e popolazioni sofferenti in Iran,
Venezuela, Siria e Cuba.
Un’altra pagina nera è la danza
macabra di Israele intorno alla plateale illegalità dell’annessione che
il premier Benjamin Netanyahu ha promesso di avviare da luglio, grazie
all’assenso del rivale e alleato di governo Benny Gantz. Israele è
pronta ad annettere i territori senza nemmeno cercare di giustificare la
violazione del diritto internazionale, secondo il quale uno Stato
sovrano non può annettere un territorio estero occupato militarmente.
Questa mossa
unilaterale di Israele per riclassificare il territorio che «occupa»
nella West Bank e per incorporarlo stabilmente nell’autorità sovrana
israeliana viola completamente il diritto internazionale umanitario
della Quarta convenzione di Ginevra. Quella che perfino al tempo della
Lega delle Nazioni era sempre stata una «norma sacra», nell’era della
geopolitica post-coloniale da gangster diventa disprezzo patente per i
popoli e i loro diritti.
La mossa annessionista
è così estrema che anche alcuni pesi massimi di Israele, fra i quali
gli ex capi del Mossad e dello Shin Bet, e ufficiali in pensione delle
Israel Defence Forces, lanciano l’allarme. Alcuni militanti sionisti
sono contrari all’annessione in questo momento perché svelerebbe
l’illusione della democrazia israeliana, e perché montano i timori che
assorbire i palestinesi della West Bank minaccerebbe a tempo debito
l’egemonia etnica ebraica. Naturalmente, nessuno di questi
«ripensamenti» contesta l’annessione perché viola il diritto
internazionale, scavalca e mina l’autorità dell’Onu e ignora i diritti
inalienabili dei palestinesi. Le preoccupazioni riguardano gli impatti
negativi per il paese, in termini di sicurezza a livello interno e
regionale israeliana, e di status internazionale.
I critici nell’establishment
della sicurezza nazionale temono di disturbare i vicini arabi e di
alienarsi ulteriormente l’opinione pubblica internazionale, soprattutto
in Europa; in una certa misura si dicono preoccupati anche della
reazione dei «sionisti liberal», con il conseguente indebolimento dei
legami di solidarietà con Israele da parte della diaspora ebraica che
vive negli Stati uniti e in Europa.
Anche la parte pro-annessione
evoca la sicurezza, specialmente rispetto alla Valle del Giordano e
agli insediamenti, ma in misura molto minore. Gli annessionisti fanno
riferimento alla Giudea e alla Samaria di cui parla la Bibbia (il nome
noto internazionalmente è West Bank). Il diritto verrebbe rafforzato dal
riferimento alle profonde tradizioni culturali ebraiche nonché a secoli
di connessioni storiche fra una piccola e stabile presenza ebraica in
Palestina e questo territorio considerato sacro custode del popolo
ebraico.
In ogni caso,
tanto gli israeliani critici sull’annessione quanto i favorevoli non
sentono alcun bisogno di confrontarsi con i diritti e le istanze dei
palestinesi. Come è sempre avvenuto lungo tutta la narrazione sionista,
le aspirazioni e le rivendicazioni del popolo palestinese e la sua
stessa esistenza non fanno parte dell’immaginario sionista: salvo quando
si frappongono ostacoli o si crea una minaccia demografica alla regola
della maggioranza ebraica. Se si considera l’evoluzione della principale
corrente del sionismo, l’obiettivo di lungo periodo di emarginare i
palestinesi in un unico Stato ebraico dominante che comprenda tutta la
«terra promessa» di Israele non è mai stato abbandonato.
In questo senso il piano di
partizione messo a punto dalle Nazioni unite, benché accettato nel 1947
dalla dirigenza sionista come soluzione del momento, è da interpretarsi
piuttosto come una pietra miliare per il recupero della maggiore
quantità possibile di terra promessa. Nel corso degli ultimi cent’anni,
dal punto di vista israeliano l’utopia è diventata una realtà, mentre da
quello palestinese è diventata una distopia.
Il modo in cuiIsraele
e Stati uniti affrontano questo preludio all’annessione sconcerta
quanto la conseguente «scomparsa» dei palestinesi. Israele ha già
privilegiato l’annessione nell’accordo di coalizione Gantz-Netanyahu,
che prevede di presentare una proposta alla Knesset (Parlamento) a
partire dal 1 luglio. L’unica precondizione accettata con l’accordo alla
base del governo Gantz-Netanyahu fa coincidere l’annessione con le
allocazioni territoriali incorporate nelle famose proposte unilaterali
Trump-Kushher «Dalla pace alla prosperità».
Come prevedibile,
gli Stati uniti di Trump non creano frizioni, né suggeriscono a
Netanyahu di offrire una parvenza di giustificazione legale o di
esplicitare gli effetti negativi dell’annessione sulle prospettive del
processo di pace israelo-palestinese. Finora, il segretario di Stato
americano Mike Pompeo ha dato luce verde all’annessione della West Bank
ancora prima che Israele formalizzasse il proprio piano, dichiarando
provocatoriamente che sono gli israeliani a dover decidere in materia:
come se né i palestinesi né la legge internazionale avessero la minima
importanza. Ecco un’altra indicazione del fatto che le relazioni
israelo-statunitensi sono all’insegna di una geopolitica da gangster.
Ma forse, i segnali di possibili
ripercussioni indurranno Washington a chiedere a Netanyahu di
posticipare l’annessione o ridimensionarne la portata. E, anche se
questa geopolitica sembra esaurire le residue speranze palestinesi di un
compromesso politico e di una diplomazia basata su un genuino impegno
di equità ed eguaglianza, voci di resistenza e solidarietà si levano
contro quest’ultimo oltraggio.
*da Nena News/Il manifesto. Richard Falk è stato Relatore Speciale delle Nazioni Unite
Rete per l'Autorganizzazione Popolare - http://campagnano-rap.blogspot.it
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