Forse
mai, nei documenti ufficiali delle più grandi istituzioni economiche
mondiali, era apparsa la parola “catastrofe”. Neanche in occasione delle
numerose guerra che hanno costellato gli ultimi 70 anni.
L’esordio della catastrofe
arriva con le previsioni del Fondo Monetario Internazionale (Fmi)
relative all’anno in corso e quello successivo. E mai come stavolta le
“stime” sono aleatorie, visto che alla normale incertezza sul futuro si
deve per forza sommare l’evoluzione della pandemia a livello mondiale.
Sia per quanto riguarda la forsennata crescita dei contagi negli ultimi
giorni (in Italia si ha una percezione falsata “nazionalisticamente”,
visto che qui sono invece in calo), sia – soprattutto – per la temuta
seconda ondata autunnale.
Di
fatto, scorrendo il rapporto Fmi, è salata ogni immaginaria linea di
demarcazione tra “fatti economici” ed eventi sociali. Il che sconcerta e
disorienta tutti gli economisti liberisti, abituati a trattare i loro
schemini numerici come se fossero le Tavole della Legge.
E
in effetti Gita Gopinath, capo economista dell’istituto di Washington, è
apparsa davvero incerta persino nel provare a ripetere le consuete
giaculatorie sul debito pubblico, il ruolo dello Stato, ecc.
Vediamo prima i numeri, per quanto sembrino più fantasiosi del solito.
L’economia
mondiale, nel 2020, dovrebbe subire una contrazione del Pil del 4,9%
(contro il 3% stimato ad aprile). E già qui si nota come in soli due
mesi un quadro già pessimistico sia evoluto in modo molto negativo.
Ma anche questa stima dipende totalmente dalla capacità di contenere il contagio, di per sé una “risorsa” non quantificabile.
L’entità
delle perdite, fin qui, si può misurare dalle attese precedenti la
pandemia: alla fine del 2019 lo stesso Fmi prevedeva una crescita
mondiale del +3,3%, quindi complessivamente lo scostamento supera il 9%.
In
termini assoluti, l’’Fmi calcola una minore ricchezza creata pari a
«oltre 12.000 miliardi di dollari» fra il 2020 e il 2021, anche
se gli oltre 10.000 miliardi di dollari di interventi pubblici a
livello mondiale hanno ridotto la dimensione della “catastrofe” in atto.
Anche in questo caso, la stessa Gopinath avverte che c’è “forte
incertezza” nello stilare le previsioni.
Disaggregando
i dati per Paese, però, si nota come le stime non siano uguali per
tutti. L’unico paese a far registrare l’ipotesi di un segno positivo è
ancora una volta la Cina, con un modesto +1%, ben lontano dai tassi di
crescita in doppia cifra degli ultimi 30 anni, ma anche dai +7-8% di
quelli più recenti.
Poi
è tutto un crollo generale, anche se parecchio diversificato. Per
l’Eurozona, la contrazione prevista è del 10,2%, l’Italia rischia un
-12,8%, la Germania va verso un -7,8%. Il Regno Unito, alle prese con la
Brexit, la flessione dovrebbe supererare il -10%. Gli Stati
Uniti, con l’epidemia ancora in crescita, le presidenziali a novembre e
una tensione sociale altissima, al momento vengono stimati in caduta
dell’8%.
Male
andranno anche Paesi come l’India, dove però i contagi continuano ad
aumentare e per la prima in oltre 40 anni il Pil dovrebbe scendere,
anche se in una misura – in queusto quadro – quasi “positiva”: – 4,5%.
Il disastroso Brasile di Bolsonaro, ben lontano dalll’intravedere il
picco dell’epidemia, dovrebbe calare del 9,1%. Meno 6,6% anche per la
Russia.
Il
quadro per il 2021 non appare confortante (e qui le stime sono ancora
meno solide che per l’anno in corso). Il “rimbalzo” mondiale del pil dovrebbe
essere del +5,4% (mezzo punto in meno di quato stimato in aprile). E
anche se appare quasi come un ritorno “alla parità” dobbiamo sempre
ricordare le trappole delle percentuali (le perdite da una cifra alta
sono sempre maggiori dell’identico guadagno percentuale da una cifra
minore; per esempio, un calo del 50% da una cifra 100 è una perdita di
50, e il successivo “rimbalzo” del 50% rappresenta un “recupero” di
appena 25).
Detto questo, la Cina dovrebbe far segnare uno spettacolare +8,2% (senza essere andata sotto quest0anno…), mentre la Francia, con +7,3%, sarebbe comunque lontana dal pareggiare il calo di quest’anno. Stesso discorso per tutti gli altri Paesi: Italia: +6,3%, Spagna +6,3%, Regno Unito +6,3%, Eurozona in generale +6%, India +6%, Germania: +5,4%, Canada +4,9%, Stati Uniti +4,5%, Russia +4,1%, Giappone +2,4%, ecc.
Una
cosa va secondo noi sottolineata: il coronavirus non ha risparmiato
nessun Paese al mondo, per restare a quelli di maggiore
industrializzazione. L’entità del danno (previsto, ma anche in parte già
accertato) dipende esclusivamente dal modo in cui i sistemi-Paese hanno
reagito, adottando approcci molto differenti.
Al
lato estremo della “sicurezza della salute dei cittadini” va certamente
messa la Cina (ma anche la Corea del Sud). In questi la scelta dei
governi è stata quella di eliminare il contagio,
isolando sul nascere i focolai di infezione. Una scelta radicale, in
apparenza, sanche sul piano economico, perché prevedeva il blocco totale
di ogni attività, il lockdown per tutta la cittadinanza interessata,
ecc.
Ma
queste misure drastiche si applicavano a territori ben identificati (le
vere “zone rosse”), mentre il resto del paese continuava a vivere e
produrre, anche più del solito per sopperire il deficit che si era
aperto bloccando alcune parti del Paese.
Al contrario, chi fin dall’inizio ha scelto di convivere con il virus,
evitando di fermare gran parte dell’attività produttiva – limitandosi,
nei casi migliori, a vietare la circolazione delle persone e a chiudere
le attività commerciali più incontrollabili (bar, ristoranti,
discoteche, cinema, ecc) – si ritrova oggi pagare un prezzo economico
assai più salato.
Se
vogliamo usare un’immagine ormai classica, chi ha scelto di fare come
per la Val Seriana (nessuna “zona rossa”, produzione a gogo, limitazioni
solo per i comuni cittadini) pur di continuare con il business, oggi e
soprattutto domani dovrà fare i conti con danni inimmaginabili.
Non serviva essere dei geni, per saperlo in anticipo. Ci eravamo arrivati anche noi da soli…
Ora la catastrofe,
dice ancora il Fmi, colpirà soprattutto i lavoratori. E in primo luogo
quelli meno qualificati, quelli addetti a lavorazioni manuali generiche,
tanto nelle metropoli capitalistiche quanto nelle campagne dei paesi
poveri.
Come
aveva già calcolatol’Organizzazione mondiale del lavoro: il calo delle
ore lavorate nel primo trimestre 2020, rispetto al predcedente, è
equivalente a 130 milioni di posti a tempo pieno. Per il secondo
trimestre 2021, ci si aspetta la perdita di oltre 300 milioni di posti
equivalenti.
«Il
colpo è stato particolarmente duro per i lavoratori poco qualificati,
che non hanno la possibilità di lavorare da casa»; «le donne
appartenenti a gruppi a basso reddito» saranno
le più penalizzate; «Oltre il 90% dei mercati emergenti e delle
economie in via di sviluppo registrerà un calo del reddito pro-capite
nel 2020».
Anche
gran parte dell’”occupazione” creata negli Usa negli ultimi anni è di
questo tipo (servizi generici, ristorazione, ecc). E si è vista la botta
dai 40 milioni di nuovi disoccupati in sole otto settimane…
Ma
i danni riguardano anche l’istruzione di un paio di generazioni, dalle
elementari all’università. La chiusura delle scuole in circa 150 Paesi,
implica una forte «perdita di apprendimento» per quasi 1,2 miliardi di
ragazzi. I quali subiranno perciò «effetti sproporzionatamente negativi»
sulla possibilità di “salire nella scala sociale e nelle condizioni di
reddito grazie all’istruzione”.
Il
quadro complessivo delle disuguaglianze, non solo di ordine economico, è
destinato a peggiorare in modo molto serio. E con conseguenze per la
“tenuta sociale” di molti Paesi sicuramente gravi.
Anche
perché, naturalmente, le grandi spese che gli Stati stanno sostenendo
per limitare le dimensioni della crisi con finanziamenti smisurati
porranno da subito il problema di “contenere il debito pubblico”. Il
neoliberismo non cambia modo di ragionare solo perché il mondo che ha
creato va crollando. E
infatti il Fmi mette in guardia fin d’ora: «L’elevato sostegno alla
liquidità in alcune economie avanzate», tra cui Italia, Francia,
Germania, Giappone, Regno Unito,ecc, “crea rischi per i conti pubblici”.
Per
l’Italia in particolare la situazione è prevista in forte aggravamento
(166% del Pil, conun rapporto deficit/Pil al 12,7%). Ma è così per
decine di altri Paesi. Tanto che – altra eresia violata, per le
consuetudini del Fmi – in alcuni casi bisognerebbe prendere in
considerazione la “cancellazione del debito” (non ditelo a Jens Weidmann, potrebbe sclerare…).
Ma
che il vecchio ordine – anche logico e ideologico – non tenga più il
passo lo si vede anche da una “raccomandazione” davvero insolita per
questa istituzione: «la
comunità globale deve agire per evitare che la catastrofe si ripeta,
costruendo scorte globali di forniture essenziali e dispositivi di
protezione, finanziando la ricerca e rafforzando i sistemi sanitari
pubblici, con la messa in atto di modalità efficaci per fornire soccorso
ai più bisognosi».
Manca solo che raccomandi programmazione, pianificazione e nazionalizzazioni… Poi è fatta.
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