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Ustica: un nome che da quarant’anni, ormai, è legato al ricordo
dell’abbattimento del DC9 dell’Itavia e alla strage nei cieli del 27
giugno 1980. A sentire il nome del comune siciliano ben pochi italiani
penseranno alle bellezze e al fascino dell’isola, poichè una maggioranza
schiacciante penserà ai fatti di quella notte. Fatti dibattuti e
discussi, su cui sono stati versati fiumi d’inchiostro, di byte e di ore
televisive.
Ma la notte buia e oscura non è mai finita e sempre nuove trame e
nuovi depistaggi si susseguono, mentre il numero delle «vittime» è
cresciuto negli anni. lL strage di Ustica, infatti, ha ucciso anche anni
dopo.
Il DC9 abbattuto apparteneva all’Itavia, colpita subito dopo il 27
giugno 1980 da una campagna delegittimatoria che tentò di addossargli le
responsabilità di quella notte e, già gravata da pesanti debiti, cessò
l’operatività il 10 dicembre di quell’anno. Due giorni dopo gli fu
revocata la licenza di operatore aereo e l’anno dopo fu posta in
amministrazione straordinaria. Ma, incredibilmente, 39 anni dopo è
ancora formalmente esistente e sono ancora in carica tre commissari
straordinari.
Due anni fa la Corte di Cassazione ha condannato i ministeri della
Difesa e dei Trasporti a risarcire la compagnia per omessa «attività di
controllo e sorveglianza della complessa e pericolosa situazione
venutasi a creare nei cieli di Ustica». L’ultima condanna per lo Stato
Italiano è dell’aprile scorso: i due ministeri sono stati condannati a
pagare alla Itavia 330 milioni di euro. Il 24 aprile scorso Luisa
Davanzali, una delle figlie del fondatore di Itavia Aldo Davanzali, in
un’intervista a Il Sole 24 ore ha espresso la volontà di far tornare in
vita l’Itavia e di non escludere addirittura la possibilità di acquisire
quote di Alitalia.
L’Itavia era una compagnia abruzzese, come il collegio nel quale due
anni fa è stato eletto in senato Primo Di Nicola, giornalista di lungo
corso, autore di alcune importanti inchieste e oggi rappresentante del
Movimento 5 Stelle in Parlamento. Di Nicola è intervenuto la settimana
scorsa in Senato per «reclamare giustizia, chiedendo al Governo di
promuovere tutte le azioni necessarie per fare verità completa,
superando le reticenze e le complicità, sulla tragedia di Ustica
consumatasi il 27 giugno 1980», un’assenza di giustizia in uno scenario
«che solo uno Stato debole e compiacente come il nostro può accettare e
tollerare, dimenticando il dovere primario che ha di tutelare la propria
sovranità , a cominciare da quella degli spazi aerei».
Una prima importante verità viene ribadita, ancora una volta, in una
recente inchiesta di Pino Finocchiaro per Rainews24 che ha permesso di
ripulire uno degli audio di quella notte così da poterlo ascoltare
nitidamente (e correggere così un’errata trascrizione). Per giorni
l’inchiesta non è stata mandata in onda e, anche dopo la sua visione,
sembra trasparire scarso interesse e valorizzazione da parte dei vertici
dell’azienda di Stato.
Ancor di più, adesso, si conferma che l’unica ipotesi possibile per
quella notte è l’abbattimento da parte di un missile, smentendo una
volta di più altre ipotesi come il cedimento strutturale (che fu
adombrato nelle settimane successive alla strage, portando
all’affondamento dell’Itavia) o una bomba dentro l’aereo. In ogni caso
la versione preferita e che ancora oggi continuano a portare avanti l’ex
ministro Giovanardi (l’autore di tante crociate contro omosessuali e
lesbiche o le famiglie di Cucchi e Aldrovandi e su cui da tanti mesi
pende una richiesta in parlamento relativa ai procedimenti contro la
‘ndrangheta in Emilia Romagna) e da Edward Luttwak, l’esperto di colpi
di Stato e destabilizzazioni varie statunitensi.
C’è una persona, però, che più di tutte in questi decenni ha cercato e
si è battuto per la ricerca della verità, pagando per questo un prezzo
altissimo: Mario Ciancarella. Capitano pilota dell’Aeronautica Militare,
era diventato negli anni punto di riferimento del movimento democratico
dei militari e referente delle rivelazioni «da tutta Italia delle vere o
false ignobiltà che si compivano nel mondo militare», come scrisse
l’Associazione Antimafie Rita Atria che da 25 anni (quando fu fondata)
si è schierata al suo fianco.
A Ciancarella si rivolse il maresciallo Mario Alberto Dettori, che
era radarista a Poggio Ballone la notte della strage di Ustica, che gli
disse «capitano siamo stati noi …», «capitano dopo questa puttanata del
Mig libico», «siamo stati noi capitano, siamo stati noi a tirarlo giù»,
«ho paura, capitano, non posso dirle altro al telefono. Qui ci fanno la
pelle». Tre settimane dopo, quando venne ritrovato il Mig 23 libico sui
monti della Sila, Dettori richiamò Ciancarella, «mi disse che la storia
del Mig era una puttanata – ricordò Ciancarella – poi mi diede tre
spunti sui quali indagare: comandante, si guardi gli orari degli
atterraggi dei jet militari la sera del 27 giugno, i missili a guida
radar e quelli a testata inerte. Poi non lo sentii più».
Alberto Dettori fu trovato morto, impiccato, il 31 marzo 1987. Una
morte liquidata all’epoca come suicidio e le indagini furono subito
archiviate. «Mio padre – ha ribadito mercoledì sera durante la
trasmissione televisiva Atlantide la figlia Barbara – disse che l’Italia
era arrivata ad un passo dalla guerra» e che la famiglia non ha mai
creduto alla tesi del suicidio, sostenuta nella battaglia legale
dall’Associazione Antimafie Rita Atria.
Una battaglia che nel 2017 ha riportato alla riapertura delle
indagini e alla decisione della Procura di Grosseto di riesumare anche
il corpo. Ma, come ha sottolineato Barbara Dettori l’altra sera, «ancora
oggi attendiamo risposte». Insieme a Mario Ciancarella nella ricerca
della verità sulla strage di Ustica si era impegnato anche Sandro
Marcucci, morto in un incidente aereo (avvenuto in circostanze a dir
poco controverse in un incidente che tanto accidentale non è mai
apparso) sulle Alpi Apuane nel 1992.
Mario Ciancarella venne radiato dall’Aeronautica Militare: nel 1983
gli fu comunicato che sarebbe stata formalizzata con un decreto «in via
di perfezionamento» che lui riuscì ad avere solo nove anni dopo, quando
il presidente Pertini era già morto. Circostanza importantissima, perché
quel decreto più che in via di perfezionamento era in via di
falsificazione: come accertato da una sentenza (mai impugnata) del
tribunale di Firenze nel 2017 era falsa. Il decreto di radiazione non ha
quindi nessun valore legale e Mario Ciancarella avrebbe diritto ad
essere reintegrato e risarcito per questi 33 anni di ingiustizie e
vessazioni.
La vicenda di Mario Ciancarella tre anni fa è approdata anche nelle
aule parlamentari e fatta conoscere a tutti i gruppi dall’Associazione,
con un’interrogazione da parte degli allora deputati Davide Mattiello e
Claudio Fava. Dopo la presentazione dell’interrogazione l’avvocato di
Ciancarella ha ricevuto un’email certificata con la quale il Ministero
della Difesa comunicò che la «pratica» era stata inoltrata alla
direzione generale «per i successivi adempimenti di competenza». Che,
per il Ministero, sarebbero solo il risarcimento delle spese legali.
Nessuna parola in più sulla gravità dei fatti. Questo sulla carta,
perché neanche a questi «adempimenti» lo Stato italiano ha mai
adempiuto.
Passano gli anni e nessun governo, qualunque sia l’assetto della sua
maggioranza, ha modificato minimamente il comportamento di fronte
all’ingiustizia subita da Mario Ciancarella, come confermato dalla
vertenza davanti al TAR di Firenze, e successivamente in Consiglio di
Stato, per chiedere la dichiarazione di nullità del decreto di
radiazione e quindi il reintegro. Secondo i giudici del TAR di Firenze
il ricorso di Ciancarella sarebbe stato tardivo, in quanto doveva
opporsi anche senza averne copia (e quindi senza sapere della
falsificazione della firma di Pertini con quello che ne consegue) nel
1983 e, anzi, nella memoria presentata l’Avvocatura dello Stato sostenne
addirittura che la firma di Pertini era irrilevante e sostanzialmente
inutile.
La tardività è stata alla base anche della sentenza del Consiglio di
Stato, con l’Avvocatura dello Stato sempre presente contro Mario
Ciancarella. Anche dopo le elezioni politiche del marzo 2018 e
l’elezione delle attuali camere del Parlamento, ministro della Difesa
Elisabetta Trenta in quota Movimento 5 Stelle.
Nella ricostruzione della notte della strage (portata avanti insieme
con l’Associazione Antimafie Rita Atria), Mario Ciancarella ha sempre
ribadito che – come in un’intervista radiofonica (forse l’unica
occasione in cui una trasmissione gli ha dato voce per oltre un’ora)- si
era delineato uno «scenario terribile davanti ai nostri occhi, scenario
tragico che concerneva la responsabilità diretta, volontaria e
premeditata delle nostre forze armate contro un aereo civile per
attribuirne la responsabilità al mig di Gheddafi e per poter compiere da
quel momento una destabilizzazione del regime libico … gli stati uniti
hanno avuto il ruolo della costruzione dell’idea stessa di Ustica, che
ha dovuto poi delegare all’Italia» per questioni interne agli USA di
quegli anni.
A domanda diretta, dopo aver ricordato che all’epoca era Presidente
del Consiglio Cossiga (che quindi non poteva non conoscere la verità di
quella notte, così come il ministro della Difesa e almeno altre
«quindici persone» nelle alte sfere militari), Ciancarella ha ribadito
che l’abbattimento avvenne con un missile a testata inerte sparato da un
f104 italiano. Di questi missili a testata inerte Priore ha fatto una
ricerca scoprendo che erano stati acquistati due lotti: di uno si sa
tutto mentre di un altro (6 missili) nessuno sa nulla. Il missile fu
sparato da un velivolo sotto diretta determinazione del guidacaccia e in
quel caso, al 99%, veniva eseguito da un velivolo statunitense in volo
sull’isola della maddalena, da circa 14/15 miglia».
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