domenica 28 giugno 2020

"Siamo stati noi capitano, siamo stati noi a tirarlo giù". La memoria corta sulla strage di Ustica

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Ustica: un nome che da quarant’anni, ormai, è legato al ricordo dell’abbattimento del DC9 dell’Itavia e alla strage nei cieli del 27 giugno 1980. A sentire il nome del comune siciliano ben pochi italiani penseranno alle bellezze e al fascino dell’isola, poichè una maggioranza schiacciante penserà ai fatti di quella notte. Fatti dibattuti e discussi, su cui sono stati versati fiumi d’inchiostro, di byte e di ore televisive.
Ma la notte buia e oscura non è mai finita e sempre nuove trame e nuovi depistaggi si susseguono, mentre il numero delle «vittime» è cresciuto negli anni. lL strage di Ustica, infatti, ha ucciso anche anni dopo.
Il DC9 abbattuto apparteneva all’Itavia, colpita subito dopo il 27 giugno 1980 da una campagna delegittimatoria che tentò di addossargli le responsabilità di quella notte e, già gravata da pesanti debiti, cessò l’operatività il 10 dicembre di quell’anno. Due giorni dopo gli fu revocata la licenza di operatore aereo e l’anno dopo fu posta in amministrazione straordinaria. Ma, incredibilmente, 39 anni dopo è ancora formalmente esistente e sono ancora in carica tre commissari straordinari.
Due anni fa la Corte di Cassazione ha condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti a risarcire la compagnia per omessa «attività di controllo e sorveglianza della complessa e pericolosa situazione venutasi a creare nei cieli di Ustica». L’ultima condanna per lo Stato Italiano è dell’aprile scorso: i due ministeri sono stati condannati a pagare alla Itavia 330 milioni di euro. Il 24 aprile scorso Luisa Davanzali, una delle figlie del fondatore di Itavia Aldo Davanzali, in un’intervista a Il Sole 24 ore ha espresso la volontà di far tornare in vita l’Itavia e di non escludere addirittura la possibilità di acquisire quote di Alitalia.

L’Itavia era una compagnia abruzzese, come il collegio nel quale due anni fa è stato eletto in senato Primo Di Nicola, giornalista di lungo corso, autore di alcune importanti inchieste e oggi rappresentante del Movimento 5 Stelle in Parlamento. Di Nicola è intervenuto la settimana scorsa in Senato per «reclamare giustizia, chiedendo al Governo di promuovere tutte le azioni necessarie per fare verità completa, superando le reticenze e le complicità, sulla tragedia di Ustica consumatasi il 27 giugno 1980», un’assenza di giustizia in uno scenario «che solo uno Stato debole e compiacente come il nostro può accettare e tollerare, dimenticando il dovere primario che ha di tutelare la propria sovranità , a cominciare da quella degli spazi aerei».
Una prima importante verità viene ribadita, ancora una volta, in una recente inchiesta di Pino Finocchiaro per Rainews24 che ha permesso di ripulire uno degli audio di quella notte così da poterlo ascoltare nitidamente (e correggere così un’errata trascrizione). Per giorni l’inchiesta non è stata mandata in onda e, anche dopo la sua visione, sembra trasparire scarso interesse e valorizzazione da parte dei vertici dell’azienda di Stato.
Ancor di più, adesso, si conferma che l’unica ipotesi possibile per quella notte è l’abbattimento da parte di un missile, smentendo una volta di più altre ipotesi come il cedimento strutturale (che fu adombrato nelle settimane successive alla strage, portando all’affondamento dell’Itavia) o una bomba dentro l’aereo. In ogni caso la versione preferita e che ancora oggi continuano a portare avanti l’ex ministro Giovanardi (l’autore di tante crociate contro omosessuali e lesbiche o le famiglie di Cucchi e Aldrovandi e su cui da tanti mesi pende una richiesta in parlamento relativa ai procedimenti contro la ‘ndrangheta in Emilia Romagna) e da Edward Luttwak, l’esperto di colpi di Stato e destabilizzazioni varie statunitensi.
C’è una persona, però, che più di tutte in questi decenni ha cercato e si è battuto per la ricerca della verità, pagando per questo un prezzo altissimo: Mario Ciancarella. Capitano pilota dell’Aeronautica Militare, era diventato negli anni punto di riferimento del movimento democratico dei militari e referente delle rivelazioni «da tutta Italia delle vere o false ignobiltà che si compivano nel mondo militare», come scrisse l’Associazione Antimafie Rita Atria che da 25 anni (quando fu fondata) si è schierata al suo fianco.
A Ciancarella si rivolse il maresciallo Mario Alberto Dettori, che era radarista a Poggio Ballone la notte della strage di Ustica, che gli disse «capitano siamo stati noi …», «capitano dopo questa puttanata del Mig libico», «siamo stati noi capitano, siamo stati noi a tirarlo giù», «ho paura, capitano, non posso dirle altro al telefono. Qui ci fanno la pelle». Tre settimane dopo, quando venne ritrovato il Mig 23 libico sui monti della Sila, Dettori richiamò Ciancarella, «mi disse che la storia del Mig era una puttanata – ricordò Ciancarella – poi mi diede tre spunti sui quali indagare: comandante, si guardi gli orari degli atterraggi dei jet militari la sera del 27 giugno, i missili a guida radar e quelli a testata inerte. Poi non lo sentii più».
Alberto Dettori fu trovato morto, impiccato, il 31 marzo 1987. Una morte liquidata all’epoca come suicidio e le indagini furono subito archiviate. «Mio padre – ha ribadito mercoledì sera durante la trasmissione televisiva Atlantide la figlia Barbara – disse che l’Italia era arrivata ad un passo dalla guerra» e che la famiglia non ha mai creduto alla tesi del suicidio, sostenuta nella battaglia legale dall’Associazione Antimafie Rita Atria.
Una battaglia che nel 2017 ha riportato alla riapertura delle indagini e alla decisione della Procura di Grosseto di riesumare anche il corpo. Ma, come ha sottolineato Barbara Dettori l’altra sera, «ancora oggi attendiamo risposte». Insieme a Mario Ciancarella nella ricerca della verità sulla strage di Ustica si era impegnato anche Sandro Marcucci, morto in un incidente aereo (avvenuto in circostanze a dir poco controverse in un incidente che tanto accidentale non è mai apparso) sulle Alpi Apuane nel 1992.
Mario Ciancarella venne radiato dall’Aeronautica Militare: nel 1983 gli fu comunicato che sarebbe stata formalizzata con un decreto «in via di perfezionamento» che lui riuscì ad avere solo nove anni dopo, quando il presidente Pertini era già morto. Circostanza importantissima, perché quel decreto più che in via di perfezionamento era in via di falsificazione: come accertato da una sentenza (mai impugnata) del tribunale di Firenze nel 2017 era falsa. Il decreto di radiazione non ha quindi nessun valore legale e Mario Ciancarella avrebbe diritto ad essere reintegrato e risarcito per questi 33 anni di ingiustizie e vessazioni.
La vicenda di Mario Ciancarella tre anni fa è approdata anche nelle aule parlamentari e fatta conoscere a tutti i gruppi dall’Associazione, con un’interrogazione da parte degli allora deputati Davide Mattiello e Claudio Fava. Dopo la presentazione dell’interrogazione l’avvocato di Ciancarella ha ricevuto un’email certificata con la quale il Ministero della Difesa comunicò che la «pratica» era stata inoltrata alla direzione generale «per i successivi adempimenti di competenza». Che, per il Ministero, sarebbero solo il risarcimento delle spese legali. Nessuna parola in più sulla gravità dei fatti. Questo sulla carta, perché neanche a questi «adempimenti» lo Stato italiano ha mai adempiuto.
Passano gli anni e nessun governo, qualunque sia l’assetto della sua maggioranza, ha modificato minimamente il comportamento di fronte all’ingiustizia subita da Mario Ciancarella, come confermato dalla vertenza davanti al TAR di Firenze, e successivamente in Consiglio di Stato, per chiedere la dichiarazione di nullità del decreto di radiazione e quindi il reintegro. Secondo i giudici del TAR di Firenze il ricorso di Ciancarella sarebbe stato tardivo, in quanto doveva opporsi anche senza averne copia (e quindi senza sapere della falsificazione della firma di Pertini con quello che ne consegue) nel 1983 e, anzi, nella memoria presentata l’Avvocatura dello Stato sostenne addirittura che la firma di Pertini era irrilevante e sostanzialmente inutile.
La tardività è stata alla base anche della sentenza del Consiglio di Stato, con l’Avvocatura dello Stato sempre presente contro Mario Ciancarella. Anche dopo le elezioni politiche del marzo 2018 e l’elezione delle attuali camere del Parlamento, ministro della Difesa Elisabetta Trenta in quota Movimento 5 Stelle.
Nella ricostruzione della notte della strage (portata avanti insieme con l’Associazione Antimafie Rita Atria), Mario Ciancarella ha sempre ribadito che – come in un’intervista radiofonica (forse l’unica occasione in cui una trasmissione gli ha dato voce per oltre un’ora)- si era delineato uno «scenario terribile davanti ai nostri occhi, scenario tragico che concerneva la responsabilità diretta, volontaria e premeditata delle nostre forze armate contro un aereo civile per attribuirne la responsabilità al mig di Gheddafi e per poter compiere da quel momento una destabilizzazione del regime libico … gli stati uniti hanno avuto il ruolo della costruzione dell’idea stessa di Ustica, che ha dovuto poi delegare all’Italia» per questioni interne agli USA di quegli anni.
A domanda diretta, dopo aver ricordato che all’epoca era Presidente del Consiglio Cossiga (che quindi non poteva non conoscere la verità di quella notte, così come il ministro della Difesa e almeno altre «quindici persone» nelle alte sfere militari), Ciancarella ha ribadito che l’abbattimento avvenne con un missile a testata inerte sparato da un f104 italiano. Di questi missili a testata inerte Priore ha fatto una ricerca scoprendo che erano stati acquistati due lotti: di uno si sa tutto mentre di un altro (6 missili) nessuno sa nulla. Il missile fu sparato da un velivolo sotto diretta determinazione del guidacaccia e in quel caso, al 99%, veniva eseguito da un velivolo statunitense in volo sull’isola della maddalena, da circa 14/15 miglia».

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