lunedì 29 giugno 2020

"Ero leninista, quasi brigatista. Poi mi assalì la realtà". Intervista a Sergio Staino.

Il disegnatore si racconta, dalla militanza giovanile alla crisi personale, alla rinascita con Bobo. Oggi è "un anarchico riformista" che soffre perché "la sinistra sacrifica l'etica sull'altare di Conte".

A ottant’anni ha capito di essere un idiota: “Nel senso in cui lo intendeva Dostoevskij, però: cioè una persona ingenua, che prova compassione per il prossimo, nonostante gli schiaffi che prende in continuazione dalla realtà”. Disegnatore dei tormenti e dei bagliori dell’uomo di sinistra, da poco Sergio Staino ha compiuto più anni del Partito Comunista Italiano, scioltosi al settantesimo anno d’età, nel 1991: “Non sono più comunista da tempo. È terribile quello che abbiamo combinato dove il comunismo ha vinto. Oggi? Mi definisco un anarchico riformista. Perché senza riformismo l’anarchia è solo una bandiera che sventoli per te stesso. Senza l’anarchia, invece, il riformismo diventa una pratica del compromesso per il compromesso, l’anticamera della corruzione”.
 [L'esclusiva] Bobo si rivolge al migrante: la sua battuta è satirica ma anche molto amara

Per festeggiare gli ottant’anni, Staino ha scritto – insieme a Mario Gamba e Marco Feo, che gli hanno rivelato la sua essenza dostoevskiana – Quell’idiota di Bobo (La Nave di Teseo), un libro che tira fuori la filosofia del suo personaggio più celebre, con il quale ha raccontato il mondo interiore del militante tardo comunista, poi post comunista, infine democratico, tessendo l’elogio del “buonismo nella vita, nella satira e nella politica”.Niente di più lontano dall’odio di classe che Staino ha provato prima che creasse Bobo, quando era arrivato a tanto così dal terrorismo: “Ho militato per dieci anni nei marxisti-leninisti. Sono stati anni di purezza e di follia. Scendevo in piazza urlando che ‘il potere politico nasce dalla canna del fucile’. Credevo in Mao Tse Tung. Contestavo l’Unione Sovietica da sinistra. Giustificavo crimini contro l’umanità. Quando Renato Curcio, che era uno dei nostri, uscì per fondare le Brigate Rosse ci gettò nello scompiglio. Alcuni di noi lo seguirono. Molti lo capivano. C’era un Renato Curcio anche dentro di me. Diceva: ‘Smettila di parlare, parlare, parlare, è ora di passare ai fatti’. Arrivai a un passo dal prenderlo alla lettera”.
Cosa la trattenne?
Sono cresciuto nel mondo del comunismo toscano. Immerso nell’ambiguità. Il partito aveva fatto la svolta di Salerno, era entrato nelle istituzioni. I militanti invece sognavano l’insurrezione. Ci litigavo di brutto, ma ho sempre mantenuto un rapporto con quel mondo fatto di persone che andavano nelle case del popolo, frequentavano i sindacati e le sezioni. Fu l’appiglio con la realtà che mi salvò quando le cose si complicarono.
Quanto si complicarono?
A Firenze venne fuori l’ipotesi di un attentato alla sede del consolato spagnolo. In Spagna, avevano ucciso un militante anarchico. Per vendicarlo, proposero un’azione esemplare, con la dinamite. L’idea venne messa in minoranza. Soprattutto, perché non eravamo pronti militarmente. Dopo l’assassinio Moro, andai in crisi definitivamente. La realtà mi assalì. Realizzai quanto la ignorassimo.
Un esempio?
Ero sposato con una compagna del Partito marxista leninista. M’innamorai di un’altra militante peruviana, a sua volta sposata con uno dei nostri lì. Successe il finimondo. Il perbenismo era feroce. I latino-americani scrissero un documento in cui volevano dimostrare che ero sempre stato un fascista. Fui degradato. Lei tacciata di essere una ‘troia straniera’. Per giunta, anche incinta.
Che faceste?
Secondo la legge italiana, quella bambina non poteva essere nostra figlia. Se la riconoscevo io, sarebbe diventata figlia mia e di mia moglie. Viceversa, se l’avesse riconosciuta lei.
Chi la riconobbe?
Stava per essere approvata una legge che avrebbe sanato la situazione. Un nuovo diritto di famiglia. Mi battei per sostenere il referendum. Il Partito marxista leninista però si schierò contro. Dicevano: ‘È troppo poco’. Andai in giro ad affiggere i manifesti con le lacrime agli occhi. La fortuna fu che perdemmo. Al comune di Firenze fui il primo a dichiarare che la bambina era figlia mia e di Bruna, anche se non eravamo (ancora) sposati.
Morale?
Sapevo tutto dei soviet russi, della rivoluzione che non è un pranzo di gala, delle contraddizioni interne al capitale, ma non sapevo un cazzo di come vivevano le persone, che la notte non si accapigliavano sulla dittatura del proletariato, ma si svegliavano per cambiare il pannolino alla bambina. Quella fu la fine.
Che fece poi?
Andai in Sardegna per disintossicarmi dalla politica. Mi sentivo un fallito. La militanza era stata tutto. Il bilancio tragico, un disastro dopo l’altro. Non volevo più saperne di mozioni, congressi, tattica, strategia. Ero a pezzi.
Disegnava già?
Nei marxisti-leninisti mi guardavano con sospetto. Dopo un po’ che prendevo appunti, accennavo un ritratto, un caricatura, una fantasia. Per loro era una degenerazione piccolo-borghese. Credevano che il militante dovesse scrivere come Gramsci nei quaderni dal carcere. Nonostante ciò, non ho mai smesso di disegnare.
Perché?
Disegnare mi faceva prendere fiato. Mi aiutava a esorcizzare l’angoscia, fin da quando ero bambino. Fu in quel periodo che finii in ospedale per il distacco della retina. Mi dissero che sarei diventato quasi cieco. Temetti di non poter disegnare più. Per questo mi avvinghiai con tutta la mia forza a quel poco che vedevo. Riconquistai il mio tratto millimetro per millimetro. Era come imparare di nuovo. Era un tratto spezzato, a volte scollegato. C’era tutta la sofferenza che provavo. Così cominciai a disegnare Bobo.
Non aveva detto basta alla politica?
Ma infatti io volevo fare satira di costume. Disegnavo me stesso: il naso tondo e i punti neri, la camicia sbottonata alla Fidel, più calvo e grasso di quello che ero, come temevo che sarei diventato. Dissi a Bruna: ’Faccio delle scenette familiari. Metto dentro pure te e la bambina. Una cosa leggera. Senza pretese”.
Lei?
Leggeva e rideva. Come ridevano tutti quelli a cui le facevo vedere. Così presi coraggio e spedii le storie che avevo disegnato a Oreste Del Buono a Linus. Quando le pubblicò, ebbero un successo immediato e incredibile. Innanzitutto, per me.
Come se lo spiegò?
Credo si sentisse tutta la sofferenza che avevo messo nel disegno. Mentre le parole – lo capii dopo – erano la mia vita. Bobo era l’idealista riportato alla realtà dalla moglie e inchiodato alle proprie responsabilità dalla figlia. La politica, che avevo buttato via dalla porta, rientrava dalla finestra. Non sotto forma di proclami, fantasticherie, ma di vita concreta, relazioni, rapporti tra gli uomini e le donne, cose vere.
Lei è ancora idealista come Bobo?
Avere l’anima oggi è considerato impresentabile. L’imperativo è essere concreti. Andare al sodo. Ma se tu non hai un ideale, quando t’incazzi ti vien viene voglia di distruggere tutto, non di costruire qualcosa di migliore. È questo il problema di Grillo, Di Maio, Di Battista e Travaglio: non hanno l’anima. Vedono marcio ovunque. Vogliono farla pagare a tutti. Dal loro punto di vista, il bene non esiste. Non ci sono dei valori. Non ci sono ideali. Esiste solo il crimine e la forca. Per questo poi i voti vanno alla Meloni e Salvini.
È buono solo chi è di sinistra?
Ho conosciuto Giorgia Meloni quando era una giovane militante della nuova destra. Era una donna generosa. Si vedeva che era accesa da un desiderio di giustizia. Mi dissi: ’Ma come ha fatto a finire tra i fascisti una persona così?”.
Forse perché la bontà non c’entra niente con la destra e la sinistra?
Ma lo so che al Nazareno c’è un sacco di gente che pensa solo ai cavoli suoi. Però conosco altrettante persone che votano Salvini e che han fatto di tutto per far avere un permesso di soggiorno alla propria colf. La contraddizione è loro ed è evidente.
Lei voterebbe la sinistra con i 5 stelle?
Soffro per questa unione al Governo, che ha dei tratti perversi. I 5 stelle stanno con noi perché se andiamo a votare spariscono. Noi perché stiamo con loro? La sinistra sta sacrificando la propria etica sotto l’altare di Conte. Al massimo per eleggere il prossimo presidente della Repubblica. Ma mi chiedo – e vorrei che di questo si discutesse – è più importante custodire il governo, o il nucleo stesso della sinistra?

Nessun commento:

Posta un commento