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Oltre 4 italiani su 10 sarebbero poco propensi a vaccinarsi. È quanto emerge da una recente ricerca dell’Università Cattolica di Milano, scrive Andrea Pegoraro sul “Giornale“.
Lo studio evidenzia che il 41% degli individui intervistati ritiene tra
il “per niente probabile” o a metà tra “probabile e non probabile” la
possibilità di una futura vaccinazione. L’indagine è stata condotta tra
il 12 e il 18 maggio su un campione di 1000 persone, rappresentativo di
tutta la popolazione italiana, ed è stata realizzata attraverso
interviste web assistite da computer. La ricerca
si è svolta nell’ambito del progetto Craft della Cattolica, campus di
Cremona, ed è stata coordinata dalla professoressa Guendalina Graffigna
insieme a Greta Castellini, Lorenzo Palamenghi, Mariarosaria Savarese e
Serena Barello. Lo studio analizza la propensione al vaccino da un punto
di vista territoriale, di età e di professione, senza dimenticare
l’aspetto psicologico. A livello geografico le differenze non sono così
marcate. Basti pensare che rispetto al dato nazionale, l’orientamento a
non vaccinarsi risulta leggermente maggiore nel Centro Italia (43%).
Qualche dato in più emerge incrociando il dato di base con i fattori
socio-demografici. «In generale – spiega la professoressa Graffigna,
docente di psicologia dei consumi e direttore del centro di ricerca EngageMinds Hub dell’Università Cattolica – i più giovani
(34% contro il 41% del totale campione) e i più anziani (29% contro il
41% del totale campione) sono meno esitanti nei confronti della
vaccinazione. Più cariche di dubbi, invece, risultano le persone tra i
35 e i 59 anni (48% contro il 41% del totale campione)». La
professoressa sottolinea poi che i pensionati e gli studenti si
confermano più fiduciosi verso il vaccino, mentre gli operai e nella
media impiegati e imprenditori sono più perplessi.
«Arrivano
informazioni interessanti dal profilo psicologico, in particolare dal
giudizio sulla vaccinazione come atto di responsabilità sociale», osserva il “Giornale”: «Dalla ricerca emerge che chi ha un atteggiamento individualista nella gestione della salute
e non considera il vaccinarsi come atto responsabile, tende a essere
ancora più scettico verso un futuro programma vaccinale per il
coronavirus (71% contro 41% del totale campione)».
Al contrario, appaiono decisamente più propensi della media quanti
ritengono che i loro comportamenti abbiano un valore importante per la salute
collettiva. «Questi dati sono un campanello di allarme di cui tenere
conto», conclude Graffigna, che è favorevole alla prospettiva del
vaccino, «soprattutto perché segnalano la necessità di iniziare sin da
subito con una campagna di educazione e sensibilizzazione dedicata alla
popolazione in cui aiutare a comprendere l’importanza di vaccinarsi
contro la Covid-19». Ipotesi che peraltro è caldamente sconsigliata da
autorevoli clinici, per almeno due ragioni. La prima: non è affatto
scontato che si possa sperimentare l’efficacia di una vaccinazione
contro un virus così mutevole come quello che ha originato la sindrome
Covid. La seconda: non si vede la ragione di ricorrere al vaccino per un
problema che ormai – da moltissimi medici – è stato ridimensionato,
come patologia perfettamente curabile con tranquillità: lo certifica
implicitamente la stessa Oms, che ha appena convalidato l’efficacia
delle cure con farmaci cortisonici. Una terapia inutilmente segnalata al
ministro Speranza, due mesi fa, da 30 medici italiani. Se basta il
cortisone per scacciare l’incubo-Covid, perché mai vaccinarsi?
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