Grandissimo spazio è stato dato dai mezzi di comunicazione di massa a del tutto secondari episodi di rabbia popolare di un eccezionale movimento globale contro il razzismo, mentre sono passati sotto silenzio la denuncia dell’ONU del nuovo stato di apartheid imposto alla Palestina e gli effetti catastrofici che ha sulla popolazione civile il blocco economico imposto alla Siria.
di Renato Caputo
Credits: http://www.cinemagazineweb.it/news/speciale-su-cinema-e-colonialismo-italiano-negli-annali-aamod/
La statua di Indro Montanelli è un monumento che pare simboleggiare, in particolare oggi in cui si è sviluppato un grande movimento contro il razzismo, il rovescismo storico dell’ideologia dominante,
innanzitutto sul passato colonialista del nostro Paese. A dimostrazione
della difficoltà di fare i conti con il proprio passato,
caratterizzato dall’adesione al fascismo, al colonialismo, al razzismo e
al maschilismo, Montanelli ancora nel 1969 sulla Rai descriveva come
un fatto sostanzialmente normale, l’aver acquistato, nei fatti in
qualità di schiava sessuale, una bambina eritrea di appena dodici anni.
Ancora Montanelli ha sostenuto pubblicamente, contro Del Boca – lo storico italiano che, per primo, nel 1965 aveva documentato l’uso di armi chimiche dell’imperialismo italiano contro le popolazioni africane
– la tesi palesemente negazionista che non fossero mai stati utilizzati
gas vietati dal diritto internazionale contro gli etiopi che si
ribellavano al colonialismo italiano. In tal modo Montanelli
era stato fra i protagonisti della campagna diffamatoria contro il primo
storico italiano che aveva documentato e denunciato i crimini del
colonialismo italiano.
Tanto che soltanto dopo la fine della
guerra fredda, a metà degli anni novanta, il governo italiano si
deciderà ad aprire gli archivi che testimonieranno in modo
incontrovertibile l’uso di armi di distruzione di massa (chimiche)
durante l’aggressione imperialista alla cristiana Etiopia, la quale
provocò, in appena sette mesi di guerra, lo sterminio di 250 mila etiopi.
In totale il colonialismo italiano ha lanciato oltre mille bombe
caricate con 500 kg di iprite – gas proibito dalle convenzioni
internazionali – oltre alle quasi cento lanciate contro i somali, cui
vanno aggiunte le quasi trecento caricate a fosgene [1].
Ancora più significativo è lo scambio epistolare di
Montanelli con l’ambasciatrice in Italia degli Stati Uniti nel 1954 –
documentata da ultimo dal grande storico italiano Davide Conti
– in cui invitava a costituire “un’organizzazione terroristica e
segreta”, raccogliendo e dando “una bandiera” e “un capo” a quella
“minoranza non comunista” che, grazie al monopolio della violenza, ha
sempre dominato la vita politica italiana in cui “le maggioranze non
hanno mai contato, sono sempre state al rimorchio di questo pugno di
uomini”.
L’obiettivo di tale organizzazione
terroristica avrebbe dovuto essere la realizzazione di un colpo di
Stato dinanzi al pericolo che le sinistre potessero andare al governo
mediante libere elezioni liberal-democratiche. A capitanare il golpe avrebbe dovuto essere “il Maresciallo Messe
e capi e gregari debbono essere tutti Personae Gratae ai carabinieri”.
Il maresciallo in questione era stato fra i capi dell’esercito in tutte le guerre condotte dal governo fascista,
dalle guerre coloniali alla Seconda guerra mondiale. Arrestato e
incriminato dagli alleati per crimini di guerra, fu fatto rilasciare da
un altro criminale di guerra, Badoglio, allora a capo
del governo. Terminata la guerra, per impedire l’epurazione dei
fascisti, Messe si pone a capo di due strutture paramilitari: “l’Unione Patriottica Anticomunista” e “l’Armata Italiana di Liberazione” che saranno, con l’inizio della guerra fredda, integrate negli apparati repressivi dello Stato italiano.
Dinanzi a questo quadro, ha osservato il già ricordato storico Davide
Conti: “si discute [nei mezzi di comunicazione di massa, ndr]
del dito con cui i figli della Repubblica chiedono conto ai padri delle
nefaste eredità del passato radicate nel nostro presente (il razzismo e
il colonialismo) anziché della luna che ci viene indicata, ovvero i
conti con la nostra storia fatta anche di fascismo, aggressioni
coloniali, leggi razziste e crimini di guerra” [2].
Un altro significativo intellettuale e storico italiano, Alessandro Portelli,
ha giustamente ricordato sempre a proposito delle contestazioni a
monumenti che simboleggiano, in particolare durante l’attuale
mobilitazione internazionale contro il colonialismo, una sorta di
apologia di quest’ultimo: “simboli e i segni del passato e della storia
non sono immobili e intangibili, possono sparire ed essere compensati,
sostituiti, dimenticati. La storia e la memoria comprendono anche
l’oblio: come ci insegnano in tanti, da Jurij Lotman a Umberto Eco a
Jorge Luis Borges, senza oblio non c’è né storia né memoria né
cartografia. La storia è fatta sia di iscrizioni, sia di cancellazioni”
[3].
A tale proposito Portelli ha ricordato come, fino a
qualche decennio fa, fosse ingabbiata alle pendici del Campidoglio una
lupa quale simbolo di Roma. Dunque, pur essendo stata per moltissimi
anni un simbolo della nostra cultura, della nostra storia e della
nostra identità a un certo punto è stata – grazie al progressivo
affermarsi di una nuova sensibilità ecologista – rimossa senza che
nessuno oggi paia rimpiangerla. Anzi, la sua esistenza stessa è stata
sostanzialmente rimossa, ma non per questo è venuta meno la nostra
cultura, storia e identità. Tanto che nessuno sembra intenzionato a
proporre il ripristino di tale simbolo a tutela della nostra memoria
storica. Dunque, ha acutamente osservato ancora Portelli: “come la lupa
del Campidoglio, i simboli e i segni del passato e della storia non
sono immobili e intangibili, possono sparire ed essere compensati,
sostituiti, dimenticati” [4].
Passando a commentare i recenti dibattiti sul valore storico di certi monumenti negli Stati Uniti, divenuti ai nostri giorni simboli dello schiavismo, il noto americanista ha osservato: “perché è Storia il monumento a
Robert E. Lee [comandante in capo delle truppe secessioniste sorte per
salvaguardare l’istituto della schiavitù] a Charleston e non sono storia le decine di migliaia di cittadini che vogliono che sia rimosso?
La storia è solo passato o anche presente? È storia o no il fatto che
non dalla settimana scorsa ma letteralmente da un secolo in qua a
Bristol fior di cittadini, compresi il meglio degli storici del posto,
chiedevano educatamente di toglierla di mezzo [il monumento innalzato a
ricordo del grande mercante di schiavi Edward Colston]? È o no
negazione della storia ignorare questa storia, o parlare senza
conoscerla?” [5].
Allo stesso modo Portelli si domanda se debba essere considerata unicamente storia il monumento al fondatore del Ku Klux Klan,
che campeggia ancora nel palazzo del governo in Tennessee e non anche i
movimenti di massa che oggi, alla luce del perdurare del razzismo, ne
chiedono la sostituzione o la rimozione. Il problema è che l’ideologia dominante non intende riconoscere come interlocutori storici i movimenti di massa contro il razzismo,
mentre fa di tutto per difendere da una presunta “furia iconoclasta” i
monumenti volti a celebrare simboli del razzismo, del colonialismo e
dell’imperialismo.
Altro aspetto che non può non colpire è il diverso
peso che viene dato dall’ideologia dominante agli eventi storici.
Dell’attuale grande movimento internazionale contro il razzismo, che
costituisce uno degli eventi più significativi e progressivi di questi
nostri tempi oscuri, l’ideologia dominante ha cercato di mettere in
luce solo i, del tutto secondari, elementi nichilistici. A tali
aspetti, da un punto di vista storico del tutto trascurabili, si è dato
un esorbitante rilievo con il risultato di far passare
sostanzialmente sotto silenzio eventi storici ben più significativi e
drammatici.
A questo proposito, occorre in primo luogo ricordare le nuove pesantissime sanzione economiche che gli Stati Uniti hanno imposto
per finire di strangolare la Siria, già duramente piegata da anni di
guerra al terrorismo e di contrasto al tentativo di spartizione del suo
territorio da parte delle potenze imperialiste. Sanzioni che
vigliaccamente si aggiungono alla pandemia e che hanno fatto
immediatamente crollare non solo la moneta siriana, ma anche quella del
vicino Libano.
Si tratta di una politica di tipo terroristico che
mira a far calare lo spettro della fame e dalla morte di inedia sulla
popolazione civile, allo scopo di costringerla a rovesciare il governo,
con il presumibile risultato di creare una situazione di caos e anarchia
simile a quella provocata in Somalia e in Libia. Come quello nei
confronti dell’Iran, anche le misure draconiane prese dagli Stati Uniti
contro la Siria più che sanzioni costituiscono un vero e proprio blocco economico,
dal momento che anche in questo caso mirano a congelare i beni di
chiunque abbia a che fare con il paese – o con russi e iraniani ivi
impegnati nella lotta al terrorismo – indipendentemente dalla
nazionalità di provenienza. In tal modo, rimarrà impossibile
ricostruire il paese completamente devastato dalla guerra. Lo stesso
Libano rischia di rimanere al buio, visto che importa quasi interamente
il suo fabbisogno energetico dalla Siria.
Altro fatto di una gravità e di un rilievo storico di
ben altra portata rispetto al monumento abbattuto di uno dei
protagonisti della spaventosa tratta degli schiavi è certamente quello
che gli stessi esperti e relatori dell’Onu hanno denunciato, nel silenzio assordante dei mass media di regime, come la realizzazione in Palestina di un nuovo apartheid.
Con l’annessione a Israele della Cisgiordania – benedetta dopo quella
del Golan siriano dall’attuale governo statunitense – “ciò che
rimarrebbe ai palestinesi sarebbe un Bantustan, terre scollegate,
circondate da Israele e senza alcun legame territoriale con il mondo
esterno”, hanno denunciato oltre quaranta relatori ed esperti
indipendenti dell’Onu, in un documento recentemente diffuso a Ginevra.
In tale documento hanno, inoltre, a ragione fatto notare le spaventose
analogie con lo stato di apartheid che era stato imposto agli
africani in Sudafrica, non a caso ai tempi alleato di ferro di Israele.
“La mattina dopo l’annessione avverrebbe la cristallizzazione di una
realtà già ingiusta: due popoli che vivono nello stesso spazio,
governati dallo stesso Stato ma con diritti profondamente diseguali.
Questa è una rappresentazione dell’apartheid del ventunesimo secolo”,
hanno esplicitamente denunciato gli esperti delle Nazioni unite.
Nonostante si tratti di eventi che fanno carta straccia dello stesso diritto internazionale, fanno meno notizia nella libera stampa del mondo occidentale della esplosione della rabbia popolare contro qualche antico simbolo del razzismo.
Note:
[1] Cfr. al riguardo lo studio storico ottimamente documentato di Simone Belladonna, Gas in Etiopia. I crimini rimossi dell’Italia coloniale, Neri Pozza, Milano 2015.
[2] Davide Conti, Un simbolico attacco che interroga un Paese immemore, in “Il manifesto” del 17/06/2020.
[3] Alessandro Portelli, L’irruzione dei movimenti nella storia, in “Il manifesto” del 16/06/2020.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[2] Davide Conti, Un simbolico attacco che interroga un Paese immemore, in “Il manifesto” del 17/06/2020.
[3] Alessandro Portelli, L’irruzione dei movimenti nella storia, in “Il manifesto” del 16/06/2020.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
28/06/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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