sabato 27 giugno 2020

LA STRAGE DI USTICA 40 ANNI DOPO: UNA STORIA SBAGLIATA – Gregorio Equizi e Giampaolo Filiani #Byoblu24

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Oggi, 27 giugno 2020, ricorre il quarantennale della Strage di Ustica.
La storia non è quella del “muro di gomma” plasticamente rappresentata anche cinematograficamente, ma è la storia delle “cortine fumogene” che hanno impedito di raccontare la complessa vicenda storia e giudiziaria senza pregiudizi e preconcetti o di scorgere le macroscopiche connessioni tra la Strage del volo Bologna – Palermo del 27 giugno e quella della Stazione di Bologna avvenuta a distanza di poco più di un mese. Ne sono convinti l’avvocato Gregorio Equizi e Giampaolo Filiani autori di questo scritto che pubblichiamo su #Byoblu24.   
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UNA STORIA SBAGLIATA

Una storia sbagliata, una storia ancora da narrare quella delle ottantuno vittime del tragico volo Bologna Palermo IH870 del DC9 ITAVIA ITIGI esploso in volo nei pressi dell’isola di Ustica la sera del 27 giugno 1980.
Il 27 giugno 2020 ricorrerà il quarantennale della c.d. Strage di Ustica. Temo sarà l’ennesima occasione per ripetere slogan di Stato nel momento del rinnovato dolore per le ottantuno Vittime; tornerà in scena lo spettacolo mediatico fatto di mistificazioni alla ricerca del falso scoop. Sono trascorsi quarant’anni e la verità mediatica è rimasta la sola ad essere divulgata tanto che la suggestionante ipotesi della battaglia aerea continua ad alimentare la fantasia di giornalisti e lettori.  La verità storica rischia di rimanere per sempre offuscata mentre la verità giudiziaria, scritta a chiare lettere nelle sentenze della Corte d’Assise di appello Roma e della Suprema Corte di Cassazione, è rimasta segretata.

La memoria e l’onore dei vertici dello Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare ingiustamente accusati di Alto Tradimento mediante attentato agli organi costituzionali non sono mai stati pienamente riabilitati così come ai familiari delle Vittime della strage di Ustica non è ancora stato consentito di conoscere la causa dell’esplosione. 
Sentiamo allora l’esigenza di ricordare quello che è già stato scritto nero su bianco nelle pagine della storia giudiziaria del nostro Paese, pagine che si sono presto trasformate in una storia da dimenticare.
Si tratta soltanto di alcuni spunti tra le centinaia di dati, informazioni e verità rimaste confinate nell’abnorme fascicolo processuale che abbiamo avuto l’onore e la fortuna di studiare con la costante collaborazione del Generale di Squadra Aerea Franco Ferri, Sottocapo di Stato Maggiore dell’A.M., uomo di straordinaria intelligenza, competenza e senso delle Istituzioni a cui ha dedicato la propria vita nella difesa dei valori costituzionali e dello Stato, assolto dall’accusa di Alto Tradimento mediante attentato agli organi costituzionali perché il fatto non sussiste.
Volendo semplificare all’estremo l’accusa di Alto tradimento mediante attentato agli organi costituzionali è nata (anche) dalle connessioni esistenti tra potere politico e giudiziario (1); poteri, entrambi attivati dalla necessità di scaricare su altri la responsabilità diffusa per la verità negata.
Basti pensare alla formulazione di un capo di imputazione nel quale il Governo figurava come persona offesa del reato di Alto Tradimento!
La Corte territoriale -la cui decisione ha superato il controllo di legittimità azionato dai ricorsi della Procura Generale e delle Parti Civili- ha usato parole forti e chiare per definire la vicenda giudiziaria: “Questa Corte era ben conscia dell’impatto negativo di un’ulteriore sentenza di assoluzione anche nei confronti dei due generali ma a fronte di commettere un’ingiustizia, perché tale sarebbe stata la conferma della sentenza o una condanna, andare contro l’opinione pubblica non costituisce un ostacolo. In quel caso, allora, si sarebbe trattato di una vergogna perché si sarebbero condannati o ritenuti responsabili di un reato persone nei cui confronti vi era un difetto assoluto di prova. […] altro è formulare ipotesi e altro è giudicare e con le prime non si può condannare alcuno pena la fine della democrazia e della libertà […] l’accusa non è altrimenti dimostrabile se non affermando come certo quanto sopra ipotizzato ma non vi è chi non veda in essa la trama di un film di spionaggio ma non un argomento degno di una pronuncia giudiziale”.
Parole, purtroppo rimaste dimenticate (se non, addirittura, censurate) e che richiamano quelle della “Storia della Colonna Infame” di Alessandro Manzoni: “Verità che può parere sciocca per troppa evidenza; ma non di rado le verità troppo evidenti, e che dovrebbero esser sottintese, sono invece dimenticate; e dal non dimenticar questa dipende il giudicar rettamente quell’atroce giudizio. 
Forti e chiare sono state anche le evidenze probatorie circa le cause del disastro. Tuttavia, quando grazie al recupero del relitto del DC9 (ovvero dell’unico vero testimone dei fatti) si sono raggiunte conclusioni supportate da basi logico-scientifiche che escludevano la sostenibilità dell’ipotesi esplosione esterna (ci riferiamo alla c.d. Perizia Misiti, ovvero alla perizia giudiziaria disposta su incarico dello stesso G.I. Dott. Rosario Priore), tali conclusioni sono state svilite dagli stessi soggetti che le avevano sollecitate. 
Sulle motivazioni di questo approccio “riduttivo” rispetto alle conclusioni del Collegio Peritale Misiti, un significativo suggerimento è stato fornito proprio dall’autorevole Perito svedese Gunval che, nel corso dell’esame dibattimentale innanzi alla Corte di Assise nell’udienza del 19 dicembre 2002, ha dichiarato testualmente: “nel 1990 quando ho incontrato per la prima volta il Dottor Priore mi ha detto varie cose, tra cui che il Giornalista Purgatori de “Il Corriere della Sera” … gli era stato indicato … detto da qualcuno che era stato un missile ad abbattere il DC9 … e ci sono altri esempi, due anni dopo nel ’93 il Dottor Priore mi ha dato una registrazione della “Rai” e il Giornalista italiano era andato a Mosca ed ha intervistato un Agente sovietico dell’intelligenza” …. “PRESIDENTE: per quale motivo ecco ci sta raccontando queste cose? PERITO GUNNVALL GUNNO: lo dico perché la mia impressione è che il popolo italiano sia stato influenzato da un antiamericanismo, i sovietici hanno suggerito che fossero stati gli americani i colpevoli.
Ed allora, possiamo ipotizzare che intime convinzioni/intuizioni personali e strumentalizzazioni di natura politica sono state tra le ragioni che hanno offuscato il valore scientifico e l’importanza investigativa delle conclusioni raggiunte dal Collegio Internazionale dei Periti d’Ufficio (c.d. Collegio Misiti) (2) stando alle quali:
“Effettuata una analisi critica degli elementi acquisiti per ogni ipotesi, la perizia è giunta alle seguenti conclusioni:

l’ipotesi di abbattimento da missile è rigettata;
l’ipotesi di cedimento strutturale è rigettata;
l’ipotesi di collisione in volo è rigettata;
l’ipotesi di esplosione interna è stata considerata come tecnicamente sostenibile;
l’ipotesi di quasi collisione è rigettata.
Del resto, ogni ragionamento sull’ipotesi dell’esplosione esterna (o, se si preferisce, del missile) dovrà confrontarsi con quanto sostenuto in proposito dai Periti Prof.ri Casarosa ed Held nelle conclusioni delle risposte ai quesiti a chiarimento depositate nel novembre 1994 e successivamente integralmente confermate in dibattimento: “il lavoro effettuato, a parere dei P.F. (Periti Firmatari, n.d.r.), ha portato certamente ad un risultato utile: il relitto ricostruito nell’hangar di Pratica di mare non porta alcun segno di abbattimento mediante missile o missili. 
Pertanto, l’ipotesi che il velivolo possa essere stato abbattuto da uno o più missili, che per oltre 10 anni ha suscitato le ben note discussioni e polemiche, deve essere abbandonata. 
Questo è un risultato oggettivo che si può osservare sul relitto e “deve” pertanto essere accettato. Esso è talmente importante che, a parere dei PF, da solo potrebbe giustificare l’impegno profuso per ottenerlo. 
I PF si rendono conto come sia difficile accettare l’esclusione di una ipotesi che, presso molti ambienti (non tecnici) risultava ormai quasi consolidata e rivestiva inoltre una certa attrattiva. 
Ma a questo punto occorre avere il coraggio morale e civile di accettare un risultato che attualmente, in assenza di nuove e stravolgenti informazioni, possiede il grado di certezza quasi assoluto.
Continuare a portare alla ribalta l’ipotesi missile con argomentazioni del tutto fantastiche e prive di ogni valenza tecnica, serve unicamente a creare cortine fumogene che possono solo rendere più difficile il cammino verso altre più ragionevoli e possibili soluzioni”.
Concludendo, la storia della strage di Ustica non è quella del “muro di gomma” plasticamente rappresentata, anche cinematograficamente, dai portavoce della cultura del sospetto ma è la storia delle “cortine fumogene” che hanno impedito di raccontare la complessa vicenda storica e giudiziaria (3) senza pregiudizi e preconcetti o di scorgere le macroscopiche connessioni tra la Strage del volo Bologna-Palermo del 27 giugno e quella della Stazione di Bologna avvenuta a distanza di poco più di un mese!(4)

Giampaolo Filiani                                                      Gregorio Equizi

Note
 
(1) Sul tema, per una più documentata e dettagliata analisi storica si rinvia a “Ustica, i fatti e le fake news, Cronaca di una storia italiana fra Prima e Seconda Repubblica” di Franco Bonazzi e Francesco Farinelli; in particolare v. p. 269 e ss.
 
(2) Il Collegio Misiti era così composto:
Prof. Aurelio MISITI Coordinatore Preside Facoltà Ingegneria Roma;
Prof. Paolo SANTINI Ordinario Costruz. Aeron. Univ. Roma;
Prof. Antonio CASTELLANI Mecc. del Volo/Ricerc. CNR Univ. Roma;
Prof. Giovanni PICARDI Sist. rilev. e Tecn. Inform. TCC Univ. Roma;
Prof. Carlo CASAROSA Mecc. del Volo /Direttore Ing.Spaz. Univ. Pisa;
Prof. Hans FOERSCHING (RFT) Aeronautica Univ. Braunschweig;
Ing. Arnold F. TAYLOR (UK) Dirett. Cranfield Aviation Safety Center;
Prof. Dennis C. COOPER (UK) Capo Radar and Remote Sensing Group;
Ing. Goran LILYA (SVE) Capo Ses. Sicurezza Volo del FAA;
Ing. Gunno GUNNVALL (SVE) Respons. Uff. Analisi Radar Min. Difesa;
Prof. Manfred HELD (RFT) Perito missilistico.
 
 
(3) Per i lettori più interessati si riporta un breve stralcio della verità giudiziaria.Il processo di primo grado si concluse dopo circa 270 udienze celebrate ad un serrato ritmo settimanale con la sentenza del 30 aprile 2004 pronunciata dalla III Sezione della Corte di Assise di Roma; sentenza della quale si riporta di seguito il dispositivo:
P. Q. M.Visti gli articoli 254 d.lgs.28 luglio 1989, n.271; 477 cpp del 1930; 531 cpp del 1988; 157 cp; 530 cpp del 1988; dichiara non doversi procedere:1°) nei confronti di B.L.  in ordine alla contestazione di omesso riferimento alle autorità politiche dei risultati dell’analisi dei tracciati radar di Fiumicino/Ciampino;2°) nei confronti dello stesso B. e di F.F. in ordine alla contestazione di aver fornito informazioni errate alle autorità politiche escludendo il possibile coinvolgimento di altri aerei nella informativa scritta del 20 dicembre 1980;perché, giuridicamente definiti i fatti sopra indicati come delitto di alto tradimento commesso con atti diretti a turbare le attribuzioni del Governo a norma degli artt.289 comma 2° codice penale  e 77 codice penale militare di pace,  il delitto stesso è estinto per intervenuta prescrizione.Assolve F.F., M.C. e T.Z. dalla contestazione sopra indicata al punto 1°) per non aver commesso il fatto;assolve M.L. e T.Z. dalla contestazione sopra indicata al punto 2°) perché il fatto non costituisce reato;assolve B.L., F.F., C.M., T.Z. dal delitto in rubrica loro ascritto relativamente a tutte le residue imputazioni perché il fatto non sussiste. Avverso tale decisione fu proposto appello da parte degli imputati L.B. e F.F. contro la dichiarazione di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. I motivi di appello furono accolti e la sentenza di non doversi procedere per prescrizione fu riformata dalla Corte d’Assise di Appello che il 15 dicembre del 2005 ha assolto anche i Gen.li L.B. e F.F. dall’imputazione loro ascritta perché il fatto non sussiste. I motivi di appello furono accolti e la sentenza di non doversi procedere per prescrizione fu riformata dalla Corte d’Assise di Appello -Pres. Dott. Antonio Cappiello, cons. Dott. Eugenio Mauro- che il 15 dicembre del 2005 ha assolto i Gen.li B. e F. dall’imputazione loro ascritta perché il fatto non sussiste. Di seguito un estratto della motivazione della sentenza d’appello.Pag. 68: Si è ritenuto opportuno riportare per esteso quanto sopra allo scopo di evidenziare che in tutto il complesso ragionamento effettuato dalla Corte di primo grado per addivenire all’esistenza dei plots -17 e -12 e, ma con un salto logico non giustificabile, quindi all’esistenza di un velivolo che volava accanto al DC9 ITAVIA è supportato solo da ipotesi deduzioni, probabilità e da basse percentuali e mai da una sola certezza.Non è stato raggiunto, cioè, un risultato di ragionevole certezza su un presunto velivolo che avrebbe volato accanto o sotto al DC9 ITAVIA anche successivamente con mezzi di ricerca certamente più completi ed esaurienti di quelli in essere nel 1980 ma sono emerse solo mere probabilità di significato, quindi, dichiaratamente neutro.”Pagine. 114, 115 e 116: “Ne deriva che, per conseguenza, il B. non ha potuto omettere di comunicare al ministro della difesa ciò che probatoriamente gli era ignoto.L’argomentazione contraria è contorta: è ovvio che dal grafico redatto dal RUSSO nessuno avrebbe potuto riferire al B. dell’esistenza dei due probabili plot e, quindi, di un ancor meno presumibile aereo per cui il grafico è stato artefatto ab origine visto che è pacifico che non è stato alterato.L’unico che avrebbe potuto riferire sul punto era il Fazzino, dirigente dell’ITAV, che aveva ordinato la redazione del grafico e che comunque sarebbe venuto a conoscenza di un aereo che avrebbe intersecato la rotta del DC9. Dagli atti non risulta tale fonte se non i sospetti degli addetti ai radar. L’inesistenza di un traffico aereonavale, però, era stata accertata, come ha dichiarato il Gen. Mangani che aveva rassicurato sul punto il B., per cui costui non doveva preoccuparsi di eventuali ripercussioni diplomatiche. Allora, l’unica supposizione possibile per sostenere l’accusa era quella già avanzata in precedenza, che il Russo avesse rilevato i due ormai famosi plot ma prima di trascriverli, li avesse resi noti ai suoi superiori che li avevano comunicati al B. ricevendone da questo l’ordine di occultare il tutto per evitare conseguenze internazionali e il Russo avrebbe eseguito. L’accusa non è altrimenti dimostrabile se non affermando come certo quanto sopra ipotizzato ma non è chi non veda in essa la trama di un libro di spionaggio ma non un argomento degno di una pronuncia giudiziale. Ma anche se si volesse dare per certo che comunque il B. fosse venuto a conoscenza, per altra via, dei risultati dell’analisi dei tracciati radar di Fiumicino/Ciampino -come recita il capo di imputazione- e, quindi, della presenza di due plot da cui arguire l’eventuale presenza di un altro velivolo che volava accanto al DC9 ITAVIA non vi era, e non vi è, un benché minimo elemento formale a sostegno di tale conoscenza per cui giustamente ne deriva che non avrebbe potuto riferire alcunché al ministro perché avrebbe dovuto dire che si trattava solo di circostanze non confermate e quindi solo ipotesi allo stato prive di fondamento. Si obietta dall’accusa e dalle parti civili che vi sarebbero – il condizionale è d’obbligo – prove di un movimento di aerei militari come hanno dichiarato i testi Bozzo, Diamanti, Colonnelli e Cicchiarelli ma, come si è visto, la sentenza di primo grado esclude che tali movimenti, pur se vi fossero stati, abbiano interessato il volo dell’aereo ITAVIA per i motivi cui si rimanda e che si condividono pienamente e che si concretano nella circostanza che nessun velivolo – a parte le tracce dei due plot del vecchio radar Marconi su cui è stata costruita tutta l’impalcatura dell’accusa – risulta aver attraversato la rotta dell’aereo ITAVIA non essendo stata rilevata traccia di essi dai radar militari e civili le cui registrazioni sono state riportate sui nastri da tutti unanimemente i tecnici ritenuti perfettamente integri. Le dichiarazioni testimoniali, ottenute a distanze di tempo e con riferimenti a volte contraddittori, non possono scardinare questo dato di fatto che è essenziale ai fini del convincimento essendo un dato oggettivo da cui non si può prescindere. A ciò vanno aggiunti i vari accertamenti e comunicati da cui risulta che tutti gli aerei italiani erano a terra, che i missili di dotazione italiana erano nei loro depositi, che gli aerei militari alleati non si trovavano nella zona del disastro e che nell’ora e nel luogo del disastro non vi erano velivoli di alcun genere. Tale ricostruzione trova conforto anche nel silenzio dell’aereo della Air Malta, che seguiva a breve distanza il velivolo ITAVIA, che è atterrato tranquillamente a Malta e che non ha segnalato alcunché di irregolare lungo la sua rotta: se vi fossero stati altri velivoli certamente li avrebbe visti e comunicati. Tutto il resto è fantapolitica o romanzo che potrebbero anche risultare interessanti se non vi fossero coinvolte ottantuno vittime innocenti.  In linea del tutto teorica è possibile che i fatti si siano svolti come li ha ritenuti il Giudice di primo grado ma sulle ipotesi non possono costruirsi sentenze di condanna. Le stesse ipotesi (si sottolinea ipotesi e non certezze) dell’abbattimento dell’aereo mediante un missile o dell’esplosione a bordo non hanno trovato conferma dato che la carcassa dell’areo non reca segni dell’impatto del missile e, nel caso di bomba all’interno dell’aereo, bisogna ritenere che l’ignoto attentatore fosse a conoscenza del dato che l’areo sarebbe partito da Bologna con due ore di ritardo per poter programmare il timer con due ore di ritardo per l’esplosione visto che di criminali kamikaze che potessero essere a bordo all’ora non vi era traccia.  Tutto il resto, non essendo provato, è solo frutto della stampa che si è sbizzarrita a trovare scenari di guerra, calda e fredda, un intervento della Libia, la presenza sul posto del suo leader Gheddafi e così via fino a cercare di escogitare un (falso) collegamento con la caduta di un aereo Mig di nazionalità libica avvenuto in data successiva. Il B., pertanto, non ha omesso di comunicare al Governo nulla in quanto nulla effettivamente risultava per cui deve essere assolto anche dall’accusa minore di cui alla sentenza di primo grado perché il fatto non sussiste per mancanza assoluta di prova.” “Il secondo elemento di questo processo è quello della nota spedita dallo Stato maggiore dell’aeronautica il 20 dicembre 1980 a firma del gen. F. d’intesa con il gen. B. con la quale avevano ‘fornito informazioni errate alle autorità politiche escludendo il possibile coinvolgimento di altri aerei’ così precisata l’originaria imputazione. Anche su questo documento sono fiorite le illazioni basate solo su ipotesi e deduzioni. Il documento è agli atti ed è riprodotto integralmente nella sentenza e da esso si evidenzia che è stato spedito allo Stato Maggiore della Difesa (STAMADIFESA) – e non alle autorità politiche – quando su tutte le pagine dei quotidiani veniva riportata a grandi titoli la notizia che l’abbattimento dell’aereo era stato causato da un missile, questione posta in essere dall’avv. Davanzali, amministratore (e proprietario) della soc. ITAVIA, che temeva, come in effetti accadde, la perdita della concessione. Si è detto che questa nota avrebbe impedito o turbato le prerogative costituzionali del Governo ma è solo una petizione di principio perché la nota poteva in nessun modo coprire alcuno o alcunché già in presenza della prima relazione della Commissione Ministeriale Luzzatti del 31 luglio 1980 che aveva il carattere dell’ufficialità a differenza di quella nota che aveva un semplice scopo ossia quello di chiarire qual era il pensiero dello Stato maggiore al riguardo della notizia del missile.  In realtà, al Governo importava poco o nulla del disastro tanto è vero che al di fuori dell’immediato dibattito in Parlamento, necessitato, a detta dello stesso ministro FORMICA, da una mozione presentata il 3 luglio 1980, primo firmatario l’on. GUALTIERI, in cui tutti i gruppi non tanto si interrogavano sulla causa del disastro quanto, piuttosto, anticipavano un loro giudizio sull’incidente chiedendo la revoca della concessione alla soc. ITAVIA (….), non seguì alcun altro provvedimento (…), se si pensa che la commissione LUZZATTI si sciolse -sarebbe meglio dire si liquefece- nel 1982 nell’indifferenza generale senza aver raggiunto alcuno scopo e se si pensa che il relitto fu ripescato solo sotto la pressione dei familiari delle vittime, riunitisi in associazione, e solo nel 1988 quando, ormai, danni irreversibili dovettero essere cagionati dall’immersione in acqua marina per otto, nove anni e che solo nel 1989 una commissione parlamentare, istituita per altre ragioni, si occupò anche del disastro di Ustica. La Corte di primo grado, con magnanimità, giustifica il mancato intervento dei Governi -che, tra l’altro, si succedevano regolarmente anno dopo anno- per la particolare situazione del momento per cui l’ultimo problema al mondo sarebbe stato proprio quello del disastro dell’aereo ITAVIA ma questo non assolve né i Governi che si succedevano né il Parlamento dalla loro ignavia visto che esso ciclicamente ritornava in campo a seguito dell’informazione giornalistica né tale comportamento, sia pure per la sola parte iniziale, può essere addossato ai due imputati. Vero è che poco si poteva fare se non interpellare, come si fece poi, i Governi stranieri amici e alleati che o non risposero o risposero negativamente come era ovvio perché, posto che effettivamente fosse stato un missile di un aereo della NATO o di altro Paese ad abbattere l’aereo ITAVIA, nessuno si sarebbe assunto quella responsabilità salvo un’eventuale rivendicazione di gruppi terroristici che non vi fu. Innanzitutto un rilievo di carattere formale: non risulta nel capo di imputazione quali fossero le informative scritte cui fare riferimento nel tempo circoscritto al tempus commissi delicti riportato. Quella del 20 dicembre 1980 la si desume solo dal fatto che quella nota è stata contestata ai due imputati nel corso dell’intero procedimento e gli stessi si sono potuti difendere sul punto e poi riportata nel dispositivo. Altra imprecisione che diviene, però, elemento essenziale: non risulta da alcuna parte una richiesta ufficiale o ufficiosa di tali notizie in relazione a quella nota per cui, in assenza di prova contraria, rimangono valide le dichiarazioni dei due imputati secondo cui la formulazione della nota che il capo di imputazione definisce ‘informativa’, ma che tale non è, è stata effettuata sua sponte dallo Stato maggiore dell’Aeronautica ed è ciò che la sentenza puntualmente riporta nel dispositivo. Orbene, in ordine al contenuto della nota in questione, in difetto di prova contraria, hanno ragione gli imputati e devono ritenersi soddisfacenti le loro giustificazioni. Scripta manent si è detto e, in realtà, non vi è parte delle informazioni ivi contenute che si possa dire errata ad eccezione dell’informazione su un presunto cambio manuale del nastro ad opera di un addetto di cui al paragrafo c). Infatti è l’unico dato controverso di tutta la nota laddove si sostiene che il cambio del nastro era avvenuto ad opera di uno (sbadato) operatore (“l’interruzione registrazione effettuata da un operatore per dimostrare la procedura di cambio del nastro”) mentre, in realtà, fu dovuto all’esercitazione simulata o SYNADEX posta improvvidamente in essere quattro minuti dopo la caduta dell’aereo dagli operatori di Marsala e prontamente revocata. Anche in questo caso gli imputati si sono difesi affermando di non aver saputo sino a quel momento dell’esercitazione simulata e non vi è nulla che provi il contrario per quanto possa sembrare strano che tale avvenimento non fosse stato riportato allo Stato maggiore. D’altro canto, anche a voler ritenere falsa o errata la notizia, questa circostanza non avrebbe avuto nessuna conseguenza sull’operato del Governo (ministeri dei Trasporti e della Difesa e, quindi, Presidente del Consiglio) perché assolutamente irrilevante dato che questo aveva avuto piena conoscenza dei fatti ossia delle probabili cause del disastro a seguito del deposito della seconda relazione preliminare della Commissione Luzzatti avvenuta il 5 dicembre 1980 secondo cui vi era una traccia dovuta alla connessione di echi radar che consentiva di identificare una traiettoria che si spostava in direzione Ovest-Est alla velocità di 500, 600 nodi e che attraversava quella del DC9 ITAVIA senza collidere con esso. Quella informazione errata poteva essere rilevante solo se fosse stata accertata una manipolazione del nastro – da cui arguire l’esistenza del complotto per il depistaggio – ma è pacifico che tutti i nastri furono sollecitamente acquisiti dall’A.G. e sono stati rilevati del tutto integri per cui è pacifico che non c’è stata alcuna manomissione dei nastri (v. p. 535). Era, quindi, un’informazione sia pure errata ma del tutto irrilevante (v. anche p. 560) non solo ai fini della conoscenza della notizia da parte del Governo ma anche dell’attività del Governo dato che vi è una risposta del Ministro Formica alla Camera dei deputati il 17 dicembre 1980 ossia tre giorni prima della nota in questione. Non va dimenticato, infatti, che vi era stata una relazione preliminare del 31 luglio 1980 della Commissione Luzzatti che esponeva tutto quanto si riteneva utile ai fini di un’accurata indagine per accertare le possibili cause del disastro indicandole, sulla base di risultati acquisiti con le relazioni del Macidull, del NTSB e della soc. Selenia sopra esaminate: 1) collisione in volo; 2) deflagrazione da ordigno esplosivo a bordo; 3) missile; 4) presenza di materiale pericoloso a bordo; 5) rilevante cedimento strutturale. Tale relazione non risulta pervenuta allo Stato maggiore neppure in via ufficiosa anche se la sentenza di primo grado lo dà per certo proprio attraverso gli organi di informazione cui, in effetti, si riferiranno i due ufficiali (v. sentenza p. 556) Quello che non che non si può condividere in quanto è una soggettiva interpretazione dei giudici di primo grado di un presunto motivo per cui quella lettera sarebbe stata formulata e che si ritiene opportuno riportare perchè adotta gli stessi principi di logica per addivenire alla dichiarazione di responsabilità del B.:(…)”. Così p. 118 e 120 della sentenza di appello. “Il Giudice di primo grado usa lo stesso metodo, non condiviso e non condivisibile, per attribuire un’illegalità priva di prove concrete ad una condotta oggettivamente e apparentemente lecita. Innanzitutto non analizza direttamente la nota del 20 dicembre 1980 bensì quell’appunto per il Presidente del Consiglio on. Forlani del 22 dicembre 1980 del gen. M., allegato alla sua memoria difensiva, poi assolto per questo fatto , che riportava sostanzialmente quanto era contenuto nella nota del 20 dicembre sostenendo che: …. Parte da un punto pur giudicato del tutto irrilevante – la mancata informazione dello svolgimento dell’esercitazione Synadex – per dimostrare l’attività disinformatrice dello Stato maggiore. Eppure l’analisi del contenuto della nota è oggettivamente incontrovertibile ed è frutto dell’elaborazione dei gen.li M. e T., approvata dai gen.li F. e B. e sottoscritta dal primo con l’assenso del secondo. (…) Tutti gli elementi e i riferimenti riportati nella nota del 20 dicembre sono esatti, come hanno dichiarato sempre i due imputati, e non vi è alcun riferimento errato, fatta eccezione per quello relativo all’esercitazione Synadex, di cui si è già riferito in precedenza.” – così p. 122 e 123, il grassetto e le sottolineature sono nostre – La sentenza quindi riporta il contenuto dei paragrafi a) e b) della nosta in questione, specificando che il contenuto della nota corrispondeva a quanto allora effettivamente accertato. In relazione al paragrafo b) si aggiunge poi che anche questa parte della nota è “veridica”, essendo giustificata l’omissione della citazione delle risultanze del radar civile Marconi e sottolineando che “I due imputati hanno puntigliosamente sostenuto che il testo precisa: ‘non conferma’ che non equivale ad ‘esclude’  deve dirsi che l’affermazione è letteralmente esatta per cui si deve necessariamente convenire che la nota non ha fornito informazioni errate e tali da impedire l’esercizio delle prerogative delle attività di Governo.” – così p. 124 – Ed ancora: “La premessa e il finale della nota confermano quanto sostenuto dai due imputati secondo cui essa non aveva altro scopo se non quello di ribattere tesi medianiche non confermate da alcun elemento come quella che ad abbattere l’aereo fosse stato un missile: …. Basta scorrere la stampa dei giorni precedenti la redazione della nota dopo le dichiarazioni interessate del Davanzali per confermare che l’assunto degli imputati non può ritenersi meramente difensivo e che è fondato su elementi certi. Il Corriere della sera del 17 dicembre 1980, ad esempio, riporta questa notizia: ‘Davanzali scarta invece decisamente le atre due ipotesi [un meteorite o una collisione con altro aereo: n.d.e.] e sembra addirittura lasciare intendere che il missile che ha distrutto l’aereo in servizio da Bologna a Palermo sia stato lanciato da una piattaforma italiana. È normale che l’Aeronautica militare si sentisse chiamata in causa e ritenesse di dover esporre quello che fino ad allora era emerso e che nessuna perizia successiva è stata in grado di confutare con certezza o, quanto meno, con alta probabilità. A tutto questo va aggiunto che la nota è del 20 dicembre 1980 quando, ormai, tutti gli elementi relativi alle presunte cause del disastro erano noti per cui non si vede come quella nota abbia potuto impedire o turbare l’esercizio delle prerogative del Governo sul solo presupposto che la nota dell’A.M. ‘assume il contenuto di una risposta istituzionale dello Stato maggiore, che in modo perentorio ‘suggerisce’ alla difesa di attenersi strettamente ai fatti accertati, divulgando al massimo il contenuto del documento’. La lettura dell’ultimo punto esclude del tutto l’assunto dei primi giudici: (la sentenza riporta quindi integralmente il punto 3 della nota in questione) dato che quanto sostenuto dalla Corte di primo grado è smentito dall’esame oggettivo e letterale del contenuto non contrastato da alcun elemento di prova contraria. È una petizione di principio che non trova conferma nei dati processuali ma è solo frutto di una deduzione del giudice di primo grado non supportata da alcuna prova, anzi, come si è visto, viene esautorata da quanto oggettivamente emerge dai dati processuali… Il percorso, come si vede, è tortuoso e fondato tutto sul compimento di attività che altri dovevano realizzare per raggiungere quel loro scopo per cui l’assunto non può essere assolutamente condivisibile. I gen.li M. e T., però, sono stati assolti dall’accusa in questione, pur avendo formulato materialmente il contenuto della nota, sul presupposto della mancanza della prova del fatto che il loro contributo all’elaborazione dell’informativa sia stato consapevole della reale finalità di turbativa delle determinazioni governative perseguita dai loro superiori gerarchici. Ed allora è logico porsi il problema anche nei confronti del F. per il quale manca del tutto una prova analoga …. Infatti o il T. e il M. hanno elaborato il contenuto della nota quale esso risultava oggettivamente dai dati in loro possesso come si evince dalla sentenza di primo grado … e tale contenuto è stato inoltrato al gen. F. e da questo comunicato al B. per l’approvazione e allora non vi è prova di manipolazione o alterazione o riduzione di tali dati e anche il B. e il F. devono essere assolti da tale accusa. Oppure occorre provare che anche in questo caso il B. – che si trovava all’estero – e quindi i F. abbiano manipolato da soli i dati in questione loro riferiti per porre il Governo nell’impossibilità di conoscere gli elementi esatti della questione … Anche in questo caso, manca la prova e vi è solo una deduzione (‘come è logicamente ipotizzabile’) senza un riscontro formale o sostanziale. L’addebito, quindi, non sussiste e gli imputati ne debbono andare assolti.”  Così, pp. 124-127. Con sentenza n. 9174/07 pronunciata all’udienza del 10 gennaio 2007 la Sezione I Penale della Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore Generale ed ha rigettato i ricorsi delle parti civili Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero della Difesa (condannandoli al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 ciascuna alla Cassa delle Ammende). Della decisione della Corte di Cassazione si ritiene utile riportare i principali passaggi. È un documento storico che, oltre a segnare il passaggio in giudicato dell’assoluzione, riconosce la legittimità della decisione presa dalla Corte di Assise di Appello. “Motivi della decisione 7. Premesso che con ordinanza 11 luglio 2006 il giudice di appello ha dichiarato inammissibile il ricorso delle parti civili (private) per omessa presentazione dei motivi, ritiene il Collegio inammissibile per carenza di interesse il ricorso del Procuratore Generale. Va osservato che l’assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2 con la formula “perchè il fatto non sussiste” costituisce un completo e pieno riconoscimento dell’innocenza degli imputati dai reati contestati senza alcuna riserva o aspetto che possa in qualche modo mettere in dubbio una pronunzia assolutamente liberatoria. E’ erronea l’opinione che detta formula assolutoria in qualche modo richiami l’assoluzione per insufficienza di prove prevista dall’art. 479 c.p.p., comma 3 (del 1930); basta la semplice comparazione dei testi normativi: nel testo del 1930 si prevedeva la assoluzione per insufficienza di prove quando non risultassero “sufficienti prove per condannare”; nel testo del 1988 (art. 530 c.p.p., comma 2) “il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”… Nella specie, la sentenza impugnata si è soffermata in più punti per sottolineare l’assoluta mancanza di prova a carico degli imputati in ordine ai reati contestati, con la conseguenza che si precisa espressamente che la formula assolutoria “perchè il fatto non sussiste” è riferita alla prima delle ipotesi indicate dall’art. 530 c.p.p., comma 2 e cioè alla “mancanza” della prova e non già all’insufficienza o alla contraddittorietà. Ciò posto, deve essere presa in esame la questione dell’interesse del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma ad impugnare la sentenza, per il mutamento della formula assolutoria “perchè il fatto non sussiste”, in quella “il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, in conseguenza dell’entrata in vigore della L. 24 febbraio 2006, n. 85 che ha modificato la norma incriminatrice, con la previsione che l’attentato contro gli organi costituzionali e contro le assemblee regionali (art. 289 c.p.) si realizza soltanto “mediante atti violenti”: il che è sicuramente escluso nella specie. Il ricorso si pone il problema dell’interesse ad impugnare e, richiamata la giurisprudenza di legittimità sul punto (Cass. SS.UU. 24 marzo 1995 ric. P.M. in proc. Boido, RV 202018 e Cass. Sez. 3^, 19 febbraio 1993, ric. P.M. in proc. Sardina. RV 193566), giunge alla conclusione che il Pubblico Ministero, per la natura pubblica che lo caratterizza e per la funzione di vigilanza sull’osservanza delle leggi e sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia a lui demandata dall’ordinamento giudiziario (art. 73), avrebbe un interesse ad impugnare ogni volta che sia ravvisabile la violazione o l’erronea applicazione della legge. Tale potere è, secondo la citata giurisprudenza di legittimità, condizionato dalla concretezza e dall’attualità dell’interesse della Pubblica Accusa, non essendo sufficiente l’interesse ad una pronunzia solo teoricamente corretta. Secondo il P.G. ricorrente anche nella richiesta sopra riportata sarebbe ravvisabile tale interesse concreto ed attuale, ma non viene precisato quale possa essere se non quello proprio delle parti civili a far valere le proprie pretese risarcitorie, poichè, come viene riconosciuto nello stesso ricorso, l’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste” sarebbe preclusiva nel giudizio civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno, tanto nell’attuale ordinamento (art. 652 c.p.p.) che in quello del 1930 (art. 25 c.p.p.) dopo l’intervento della Corte Costituzionale con sentenza n. 165 del 1975. Sul punto, però, si è ritenuto che “… il pubblico ministero, siccome estraneo al rapporto processuale civile instauratosi incidentalmente nel processo penale tra il soggetto danneggiato dal reato e l’imputato e, come tale, indifferente ai profili di soccombenza propri dell’azione civile risarcitoria, non appare legittimato a impugnare un provvedimento all’esclusivo fine di tutelare gli interessi civili della parte privata, così surrogandosi all’inerzia di quest’ultima la quale, rimanendo acquiescente alla decisione a sè pregiudizievole, ha invece consentito il formarsi del giudicato sul punto”. (Cass. Sez. 1^, 6 marzo 1998 ric. Gargano ed altro, RV 210126). Tale orientamento, già presente nel codice di rito del 1930, è stato recepito anche nell’attuale quale espressione dell’accessorietà della pretesa fatta valere dalle parti private nel processo penale e delle finalità di perseguimento dell’interesse pubblico proprie della pretesa punitiva dello Stato, della quale è titolare la Pubblica Accusa. Nella medesima prospettiva deve essere letta anche la disposizione di cui all’art. 572 c.p.p. vigente – che peraltro non ha una corrispondente norma nel codice di rito previgente – che consente alla parte civile o alla persona offesa di proporre istanza motivata al pubblico ministero di proporre impugnazione “a ogni effetto penale”, mentre non è prevista analoga istanza al fine di far valere i soli interessi civili. Va altresì rilevato, a conforto dell’inammissibilità della richiesta del Procuratore Generale, che l’art. 673 c.p.p., nel disciplinare la revoca della sentenza per abolizione del reato, dispone che “Nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti”. Tale disposizione presuppone dunque la presenza di una sentenza di condanna: in caso di proscioglimento nel merito, non esiste alcun interesse a prevenire ad una rettifica della formula di proscioglimento. Si deve quindi concludere per l’inammissibilità del ricorso proposto dal Procuratore Generale. 8. Quanto al ricorso proposto nell’interesse della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Difesa, l’Avvocatura Generale dello Stato si è limitata a riprodurre “pedissequamente” il testo del ricorso del Procuratore Generale, facendo proprie le tesi da questo sostenute, che peraltro non conducono alle stesse conclusioni per la parte civile, portatrice di un interesse concreto ed attuale, che si identifica nella possibilità di far valere in sede civile le pretese risarcitorie e restitutorie. A tal fine, le parti civili ricorrenti deducono che il giudice pronunzia sentenza assolutoria nel merito, pur in presenza di causa estintiva del reato, a mente dell’art. 129 c.p.p., soltanto quando emerga in modo assolutamente non contestabile che il fatto non esiste, o che esso non ha rilievo sul piano penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso: tanto che la valutazione da compiersi apparterrebbe più al concetto di “constatazione” che a quello di “apprezzamento”. In questa prospettiva sì indicano alcuni precedenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione. Si aggiunge poi che “la regola di giudizio di cui all’art. 530 c.p.p., comma 2 … non può trovare applicazione in presenza di causa estintiva del reato. In tale situazione vale la regola di cui all’art. 129 cod. proc. pen. – omologo al previgente art. 152 c.p.p. -, in base alla quale in presenza di causa estintiva del reato, l’inizio di prova ovvero la prova incompleta in ordine alla responsabilità dell’imputato non viene equiparata alla mancanza di prova, ma, per pervenire ad un proscioglimento nel merito soccorre la diversa regola di giudizio, per la quale deve “positivamente” (“…risulta evidente” art. 129 c.p.p., comma 2) emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato per quanto contestatogli.” (Cass. Sez. 5^, 2 dicembre 1997 ric. Fratucello, RV 209802). Secondo le parti civili ricorrenti nella specie sarebbe da escludere l’evidenza dell’estraneità degli imputati alle contestazioni loro mosse: si richiamano a tal fine le valutazioni del giudice di primo grado, che è pervenuto alla dichiarazione di non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione. L’assunto è però smentito da tutta la motivazione della sentenza della Corte d’Assise d’Appello, che sottolinea in modo fermo e costante, in più punti, la “mancanza di prova” sulla responsabilità dei due imputati. A titolo esemplificativo si richiama quanto, tra l’altro, è stato affermato dai giudici di secondo grado: – a pag. 48: “si sarebbero condannati o ritenuti responsabili di un reato persone nei cui confronti vi era un difetto assoluto di prova”; – a pag. 50: “la corte ritiene di dover assolvere i due imputati dal reato loro ascritto sia in epigrafe sia da quello ritenuto nella sentenza di primo grado perchè il fatto non sussiste”; – a pag. 51: “ma ciò che la Corte tiene a precisare, a seguito dell’impugnativa della Procura Generale e di quella della Procura di Roma per cui la sua cognitio è piena e non ridotta dalla decisione di primo grado, che, comunque, non di turbativa si sarebbe trattato ma di impedimento”; e ancora: “in termini di certezza nulla è emerso dalle perizie e dalle consulenze tecniche”; – a pag. 68; “l’esistenza di un velivolo che volava accanto al DC9 ITAVIA e ‘ supportato solo da ipotesi, deduzioni, probabilità e da basse percentuali e mai da certezza. Non e ‘ stato raggiunto cioè un risultato di ragionevole certezza su un presunto velivolo che avrebbe volato accanto o sotto il DC9 ITAVIA …ma sono emerse solo mere probabilità di significato, quindi, dichiaratamente neutro”; – a pag. 99 si riportano le dichiarazioni dell’imputato di reato connesso R.G.: “ma è proprio l’assenza di plot successivi in prossimità alla traiettoria dell’aeromobile che mi ha fatto scartare immediatamente l’ipotesi della collisione”; – a pag. 103: “il B. fu rassicurato dal gen. M. dell’inesistenza di una collisione e di altro traffico aereo”; – a pag. 105: “non risulta un elemento sostanziale e concreto di prova di averlo riferito al B.; – a pag. 109: vi sono solo deduzioni, ipotesi, verosimiglianze, “non poteva non sapere”, “rilievi di ordine logico”, ma nulla che abbia la veste non solo di una prova ma anche di un indizio; – a pag. 112: “Già questo elemento porta ad escludere la prova sulla conoscenza dei due plot da parte del B.”; – a pag. 113: “manca quindi ogni elemento di prova con il quale si possa sostenere tutto quanto enunciato in via di proposizione accusatoria”; – a pag. 116: “il B., pertanto, non ha omesso di comunicare al Governo nulla in quanto nulla effettivamente gli risultava per cui deve essere assolto anche dall’accusa minore di cui alla sentenza di primo grado perchè il fatto non sussiste per mancanza assoluta di prova”; – a pag. 126: “anche nei confronti del F. per il quale manca del tutto una prova analoga”; – a pag. 127: “non vi è prova di manipolazione o alterazione o riduzione di tali dati e anche il B. e il F. devono essere assolti da tale accusa”; “anche in questo caso (e cioè la responsabilità del solo F. quando il B. si era recato all’estero) manca la prova e vi è solo una deduzione”.  Si deve quindi porre in evidenza che la sentenza di appello, ben lungi da una valutazione perplessa, secondo quanto sostenuto dalla parti civili ricorrenti, ha ritenuto invece in modo chiaro ed esplicito che la prova dei fatti contestati sia del tutto mancata e quindi la formula assolutoria recepita, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2., si è riferita alla prima delle ipotesi previste dalla stessa norma e cioè alla “mancanza” della prova e non già alla “insufficienza” ovvero alla “contraddittorietà” della stessa. Non si è, pertanto, in presenza di una prova incompleta, poichè all’esito di una lunga e complessa istruttoria formale da parte del Giudice Istruttore (durata 19 anni e conclusa con una sentenza- ordinanza di 5468 pagine), seguita da quella dibattimentale con 272 udienze, è stata acquisita una imponente massa di dati, dai quali peraltro non è stato possibile ricavare elementi di prova a conforto della tesi di accusa. Deve quindi essere ribadito il principio per il quale, nel concorso tra diverse possibilità di formule assolutorie, o nel concorso di formule assolutorie con cause di estinzione del reato, in base alle regole di cui all’art. 129 c.p.p. (analogamente alla corrispondente regola contenuta nell’art. 152 c.p.p. previgente) deve essere in ogni caso privilegiata la formula di proscioglimento più ampia, sempre che sia assistita da una situazione probatoria evidente. Vale a dire, anche nel caso di “abolitio criminis” il giudice è tenuto a verificare se allo stato degli atti non risulti già evidente che il fatto non sussiste, che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato (in tal senso: Cass. Sez. 3^, 23 giugno 1993 ric. Steinhauslin ed altri, RV 195202; Cass. Sez. 5^, 6 dicembre 2000 RV 218804). Per concludere, la sentenza impugnata in quanto rispettosa dei principi sopra ricordati, non è censurabile; e non può di conseguenza trovare spazio la richiesta avanzata dalle parti civili ricorrenti di applicare la nuova legge introdotta nel 2006, che ha abrogato l’ipotesi di reato contestata nel senso che la assoluzione andrebbe pronunciata con la formula “perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato”.
 
 
 
 
(4) Tanto per fare un’esempio della tecnica della rimozione delle informazioni tesi o ipotesi non compatibili con quella della battaglia aerea si può citare il caso delle dichiarazioni processuali e quindi rilasciate sotto l’obbligo giuridico penalmente sanzionato di rispondere secondo verità dall’On.le Giuseppe Zamberletti nel suo esame dibattimentale del 3 dicembre 2001 davanti la Corte d’Assise di Roma. L’On.le Zamberletti ha illustrato con chiarezza, linearità e credibilità le sue intime convinzioni in merito alle possibili cause della disastro del DC9, rappresentando fatti concreti che confermano la coerenza e la logicità dell’ipotesi di esplosione interna.Zamberletti fu in quel periodo Sottosegretario dei Ministri degli esteri (Malfatti, Ruffini e Colombo), ed in tale qualità si interessò e gestì personalmente la fase preliminare e conclusiva della stipula del trattato di protettorato su Malta, destinato a garantire la neutralità della Repubblica maltese. Dalla testimonianza processuale dell’On.le Zamberletti risultano anche i motivi della contrarietà del Governo libico alla stipula del trattato; ostilità che venne espressa e formalizzata da una delegazione libica ricevuta dallo stesso Zamberletti il quale in proposito ha dichiarato: “sto consultando un appunto, perché io ho scritto una memoria di tutta questa vicenda, per paura che poi il tempo potesse offuscare i miei ricordi e fra il 4 e il 5 giugno la delegazione… venne alla Farnesina, io la ricevetti, è una delegazione numerosa e questa delegazione mi espresse la propria forte ostilità al completamento dell’accordo con Malta, ritenendo che questo accordo in un momento di controversia fra Malta e la Libia era da loro letto come un atto di ostilità nei confronti del Governo Libico. Inoltre facevano presente che questa ostilità la ritenevano anche aggravata dalla decisione del Governo Italiano preso negli ultimi mesi del 1979 di rischiarare a Comiso i missili nucleari di teatro, missili nucleari di teatro che dicevano guarda caso, sono collocati di fronte alla Libia e quindi ritenevano questo gesto un ulteriore gesto di ostilità nei confronti della Libia. Ho già dichiarato anche in sede di istruttoria che io ricevetti anche altre richieste di non procedere in questa direzione, la ricevetti più tardi dal Presidente Andreotti, che era allora mi pare Presidente della Commissione Esteri della Camera, il quale mi disse che tutto andava bene per quanto riguardava l’accordo economico, aiutare il bilancio di Malta, ma riteneva fonte di tensione, anche con riflessi sui rapporti economici italo-libici e la parte relativa alla garanzia militare, la garanzia della sicurezza di Malta.PUBBLICO MINISTERO SALVI: quando avvenne questo colloquio con l’Onorevole Andreotti? TESTE ZAMBERLETTI GIUSEPPE: guardi no, questo colloquio avvenne molto più tardi e avvenne in luglio, cioè quasi… a metà luglio, quanto già ormai era noto che il primo… che il 2 agosto avremmo dovuto siglare l’accordo, quando l’accordo era in dirittura finale, mentre in realtà io ricevetti una… molto prima questo, questo nei primi mesi dell’anno, una… in occasione di un incontro con il Capo del Servizio Segreto del S.I.S.M.I., del Servizio Segreto Militare, ricevetti una precisa… una nota precisa di preoccupazione da parte del Comandante del S.I.S.M.I., il Generale Santovito, che ricordo usò un’espressione molto curiosa, “lei vuole grattare la schiena alla tigre, stia attento perché questo ci può provocare dei guai”. E devo dire la verità che io non… ritenni tutti questi appelli a non procedere come preoccupazioni derivanti dal rapporto relativo all’interscambio economico, ai rapporti economici fra l’Italia e la Libia che allora erano abbastanza intensi, non mi passò per la testa, possibilità di reazioni, fino al giorno 2 agosto alle ore 10:00, quando mentre mi trovavo a Malta e… nell’ultimo colloquio mentre si stava per procedere alla firma, perché in quell’occasione Mintof quando giungemmo con la delegazione a Malta, mi volle nel suo ufficio, perché voleva parlarmi personalmente, e mi disse se potevamo accettare all’ultimo momento di togliere dalla clausola che impediva alle due superpotenze l’utilizzazione dei cantieri militari, dei cantieri navali, se potevamo togliere, mettere un riferimento che stabilisse un eccezione per le navi appoggio, e anche perché le navi appoggio dell’Unione Sovietica, diceva, potevano rappresentare per i cantieri di Malta un vantaggio economico e… io obbiettai che questo non era possibile, perché le navi appoggio sono classificate come navi militari e tanto è vero che poi chiamai nella stanza Arnaldo Squillante che era il Capo di Gabinetto delle Presidente Cossiga, ma anche Capo del contenzioso diplomatico della Farnesina e in quella veste si trovava con la nostra delegazione a Malta per avere da lui anche una conferma del valore giuridico della mia affermazione che non potevamo considerare le navi appoggio, navi non militari, proprio in quel momento e ormai quasi… 10:40, 10:45 ci giunse una no… venne chiamato al telefono il Consigliere Squillante che era anche Capo di Gabinetto di Cossiga per comunicargli dell’esplosione di Bologna, i primi momenti lui rientrò dicendo che questa esplosione poteva essere determinata da un trasporto di gas successivamente ritornò per dirci che si trattava di un attentato di una bomba, ricordo lo sconcerto di quel momento e devo dire con molta franchezza che una prima vaga lettura che noi davamo a questa vicenda di Bologna era che c’era una strana coincidenza fra l’ora dell’esplosione e quello che noi stavamo facendo in contrasto con la posizione che c’era stata espressa con molta franchezza per la verità dal Governo Libico.TESTE ZAMBERLETTI GIUSEPPE: in quella occasione meno, forse  Mintof fece qualche riferimento, fece in modo non molto esplicito ma abbastanza chiaro nelle ore successive all’esplosione di Bologna quando Mintof decise di lasciar perdere la discussione sul… sull’utilizzazione dei cantieri navali di accettare la condizione perché in qualche modo temeva che questa vicenda italiana avesse rapporti con e… la sua controversia, con la tensione con la Libia. …… quindi ero in preda all’angoscia perché nel caso in cui i miei sospetti, io avessi avuto ragione dei miei sospetti, vi veniva sulle spalle una responsabilità politica e morale che era terribile che ancora oggi, e allora ne parlai anche con Santovito, cercai Santovito e la cosa che mi stupì fu che Santovito, cioè il S.I.S.M.I. che fino al 2 agosto era stato… aveva detto: “non procedete in quella direzione”, dopo il 2 agosto davanti alle mie preoccupazioni, alla mia… al mio sospetto, si dimostrasse interessato ad allontanare da me ogni preoccupazione, ogni dubbio su questa vicenda: “no, Bologna non c’entra, sì, avevamo detto questo ma ormai andiamo avanti, cioè poi si vedrà nel… i tempi della ratifica”, in sostanza c’è stata un’azione per allontanare da me questo… perché io abbandonassi questo sospetto .. TESTE ZAMBERLETTI GIUSEPPE: no, io non partecipavo, però ho avuto occasione più tardi diventato Ministro di parlare di questo in un Consiglio dei Ministri  durante il governo Craxi, in occasione di una… non so quale altra vicenda che riguardava il terrorismo di ripetere in Consiglio dei Ministri la mia preoccupazione per quella strana coincidenza, e anche perché il… il Capo del S.I.S.D.E. Prefetto Parisi in un colloquio che ho avuto con lui proprio sempre per spiegargli i miei dubbi sulla… sulla coincidenza del… di Bologna, mi disse una cosa, mi disse nel corso di quel colloquio, mi disse: “ma possibile che i libici non abbiamo dato dei segnali precedentemente, oltre alla visita ufficiale diplomatica per mettervi in guardia?” e allora l’ipotesi di Ustica che fino a quel momento non mi aveva mai raggiunto come ipotesi di collegamento fra Ustica e Bologna, e… allora nel corso di quella conversazione, Parisi mi disse: “spesso il terrorismo internazionale dà degli avvertimenti”, anzi c’è nel verbale anche della Commissione Stragi dove lui ha ripetuto questa ipotesi, “dà dei segnali se questi segnali non sono avvertiti, vengono ripetuti e reiterati” per cui l’ipotesi che una bomba, e ipoteticamente originata da Bologna sempre sede probabilmente del gruppo di fuoco, potesse essere il primo segnale non avvertito o non denunciato come avvertito, e quella del 2 agosto non poteva non essere avvertito perché era del giorno e nell’ora della firma dell’accordo. ZAMBERLETTI GIUSEPPE: allora io a Nardini parlai dopo il colloquio con Parisi ed è stato senz’altro successivamente, perché fino a quel momento io parlavo sempre di Bologna, non avendo collegato il problema di Ustica, quello di Bologna, perché ancora il problema di Ustica, soprattutto nei primi anni, le cause della catastrofe erano prevalentemente legate all’ipotesi sì o del missile o dell’incidente… incidente alle strutture dell’aereo e quindi derivante dalle strutture dell’aereo e quindi in sostanza fino a quel momento… poi dopo è stato soprattutto durante il periodo di lavoro nella Commissione Stragi che mi sono ancor più convinto che l’ipotesi di Parisi era… poteva anche… reggeva anche dal punto di vista tecnico, non soltanto da punto di vista dell’ipotesi politica.AVV. P.C. MARINI: Onorevole, lei ha ricordo anche di altri elementi che acuivano la tensione tra l’Italia e la Libia quali la questione dei dissidenti libici in Italia? TESTE ZAMBERLETTI GIUSEPPE: certo, c’era stata la… c’era la questione dissidenti libici in Italia, c’erano state quelle iniziative libiche sul territorio italiano per  liquidare i dissidenti, quindi c’era stata obiettivamente… era un momento di difficoltà anche se in sostanza la tendenza dei nostri servizi di informazione soprattutto era di non alzare il livello della tensione e non portarlo all’esterno sul piano dell’opinione pubblica e quindi aumentando gli aspetti politici di questa tensione … TESTE ZAMBERLETTI GIUSEPPE: no, direi la delegazione italiana, ma direi anche da parte maltese. Dico direi, per la semplice ragione che nessuno disse: “quello è il mandante, ma tutti si comportavano come se lo avessero detto, cioè in sostanza la fretta con cui si volle poi firmare il documento. L’angoscia era comprensibile come solidarietà nei confronti di un Paese amico ma che esprimeva qualcosa di più, cioè anche una preoccupazione personale come maltese in questa vicenda, mi fecero, mi hanno dato la convinzione e lo abbiamo avuto, ne abbiamo anche parlato fra noi rientrando a Roma, la sensazione che quel sospetto fosse ben presente anche da parte dei maltesi. AVV. P.C. MARINI: e forse anche condiviso da Squillante? TESTE ZAMBERLETTI GIUSEPPE: e forse condiviso anche da Squillante. AVV. P.C. MARINI: che all’epoca era… TESTE ZAMBERLETTI GIUSEPPE: Squillante all’epoca…  AVV. P.C. MARINI: …aveva un doppio ruolo.  TESTE ZAMBERLETTI GIUSEPPE: ..era Capo di Gabinetto del Presidente della Consiglio Cossiga  ed era il Capo del Contenzioso diplomatico del Ministero degli Esteri, quindi era l’ufficio preposto alla firma e alla redazione dei trattati internazionali.  AVV. P.C. MARINI: senta, e tramite lei o tramite Squillante, questa vostra sensazione, questa vostra ipotesi venne trasmessa al Presidente TESTE ZAMBERLETTI GIUSEPPE: certo.  AVV. P.C. MARINI: …Cossiga? 
TESTE ZAMBERLETTI GIUSEPPE: certo, certo, io subito dopo, appena arrivato a Roma e appena il Presidente del Consiglio rientrato da Bologna dopo lei prime riunioni relative o cosa… ho avuto occasione di incontrarlo, io gli espressi immediatamente questa mia… questo mio sospetto e anche questa mia convinzione.

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