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L’atteso piano del secolo del presidente americano Trump, proclamato a
gennaio di quest’anno, ha deluso perfino chi ancora pensava di trovarci
qualche spunto interessante per risolvere il centenario conflitto
palestinese-israeliano.
Un piano, detto del secolo, fatto per liquidare la questione
palestinese, e assegnare la vittoria al movimento sionista mondiale.
Ignorando volontariamente la determinazione del popolo palestinese a
proseguire la lotta per la liberazione nazionale. Un piano che
palesemente costituisce una grave e pericolosa violazione del diritto e
della legalità internazionale.
Nelle reazioni al piano di Trump-Netanyahu-Friedman (il colono
ambasciatore Usa presso l’occupazione) al momento si possono distinguere
tre posizioni:
1) quella palestinese ufficiale e popolare di rigetto totale, nel
contenuto e nella forma, e di rottura delle relazioni con
l’Amministrazione statunitense.
2) quella del mondo arabo e islamico, con i diversi vertici, che hanno
rifiutato il piano, sostenendo le varie risoluzioni internazionali e
regionali, per una giusta soluzione al conflitto.
3) quella dell’Unione Europea, che si è ingabbiata nella possibilità del
negoziato fra le parti, mettendo in primo luogo la sicurezza
dell’occupante, e poi i diritti dei palestinesi.
Da sottolineare la presa di distanza dei paesi membri del Consiglio
di Sicurezza, Russia, Cina e Francia, che considerano che il “piano del
secolo” sia in contrasto con la legalità internazionale.
Il primo ministro israeliano, riconfermato malgrado le accuse di
corruzione, per l’incarico di 18 mesi, non ha smesso di promettere ai
suoi alleati elettori, dell’estrema destra religiosa, di voler procedere
ad annettere allo stato occupante anche parte dei territori occupati
della Cisgiordania, come previsto dal piano Trump.
Una annessione che, come già l’occupazione illegale, viola il diritto
internazionale e le convenzioni di Ginevra, oltre a stracciare gli
stessi accordi di Oslo, già sepolti dai governi di Netanyahu.
Il governo israeliano è diviso tra i suoi componenti, Gantz è titubante,
e Netanyahu ha fretta, ma data la complessità della posizione
americana, è pronto ad avanzare anche parzialmente e in più fasi. Per
quanto riguarda l’esercito israeliano, chiede un posticipo, perché
l’annessione può portare a disordini nei territori palestinesi occupati e
costringere l’esercito a schierare le sue forze su confini vasti e
tortuosi.
Gli stessi coloni manifestano contro il governo, con il pretesto che
nel piano Trump è previsto lo Stato palestinese! E, del resto, questi
coloni, che non sono sotto la sovranità israeliana, non pagano le tasse,
e vivono del sussidio statale. Il che significa, per Netanyahu, entrare
in rottura con Trump.
L’amministrazione americana si sta muovendo tra due tendenze.
La prima, guidata dal genero di Trump, Jared Kouchner, che chiede
pazienza affinché l’annessione non porti a tensioni politiche tra gli
Stati Uniti e i suoi alleati arabi, cosa che potrebbe influenzare la
possibilità che Trump vinca le elezioni presidenziali di novembre.
E questo è quanto l’ambasciatore degli Emirati a Washington, Youssef
Al-Otaiba, ha espresso nel suo articolo su “Yediot Aharonot” (12
giugno). https://www.nytimes.com/aponline/2020/06/12/world/middleeast/ap-ml-israel-palestinians-1st-ld-writethru.html
La seconda tendenza, guidata dall’ambasciatore americano/israeliano in
Israele, David Friedman, che è uno dei più estremisti tra i coloni, sta
spingendo affinché l’annessione abbia luogo alla data prevista, cioè il
prossimo primo luglio.
La leadership palestinese, che ritiene sciolti tutti gli accordi con gli
israeliani e con gli Usa, compresi gli accordi della sicurezza, ha già
rifiutato il piano Trump e di conseguenza l’annessione dei territori
palestinesi, sia totale e subito, che parziale e graduale.
Sposta per l’ennesima volta la discussione sull’occupazione stessa,
già illegale, e ripropone una conferenza internazionale per discutere,
finalmente, come attuare le già esistenti risoluzioni dell’Onu e del
Consiglio di Sicurezza che riguardano la Palestina, riconosciuta Stato
Osservatore dall’Assemblea Generale della stessa organizzazione.
Continuare la lotta di resistenza popolare contro l’apartheid e
l’occupazione israeliana è la prospettiva immediata.
In questo scenario, la presa di posizione dell’UE assume
un’importanza di rilievo per i palestinesi. In difesa degli stessi
valori, diritti, libertà, giustizia, democrazia, e il rispetto del
diritto internazionale, numerosi, intellettuali, sindacati, uomini di
cultura e dello spettacolo, e parlamentari in tutta l’Europa, come negli
Usa, hanno chiesto, in modo chiaro e determinato, al governo israeliano
di non annettere i territori palestinesi, e di non violare il diritto
internazionale, poiché un atto del genere non può passare senza gravi
conseguenze sulle relazioni con Israele.
Sono dimostrazioni di solidarietà apprezzate dai palestinesi, ma non
bastano, c’è bisogno di atti concreti. Bisogna spingere i governi a
riconoscere lo Stato di Palestina. La maggioranza lo ha votato all’Onu,
ma esita a farlo in casa propria!
Il 27 giugno si manifesta in tante città italiane per dire no
all’annessione, per la fine dell’occupazione, per dire sì allo Stato di
Palestina con Gerusalemme capitale, per il diritto al ritorno dei
profughi palestinesi, per la libertà per i prigionieri palestinesi dalle
carceri israeliane.
Manifestazioni sono state convocate a Roma, Napoli, Milano, Bari,
Bologna, Firenze, Cagliari, Palermo, Messina, Venezia, Vicenza, Genova.
Le centinaia di adesioni di comitati, associazioni, partiti, forze
politiche e sociali, in numerose città, sono testimonianze che ci fanno
rivivere una solidarietà internazionalista oscurata da tempo.
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