giovedì 25 giugno 2020

Il 27 giugno in piazza in tutta Italia contro l’occupazione israeliana

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L’atteso piano del secolo del presidente americano Trump, proclamato a gennaio di quest’anno, ha deluso perfino chi ancora pensava di trovarci qualche spunto interessante per risolvere il centenario conflitto palestinese-israeliano.
Un piano, detto del secolo, fatto per liquidare la questione palestinese, e assegnare la vittoria al movimento sionista mondiale. Ignorando volontariamente la determinazione del popolo palestinese a proseguire la lotta per la liberazione nazionale. Un piano che palesemente costituisce una grave e pericolosa violazione del diritto e della legalità internazionale.
Nelle reazioni al piano di Trump-Netanyahu-Friedman (il colono ambasciatore Usa presso l’occupazione) al momento si possono distinguere tre posizioni:
1) quella palestinese ufficiale e popolare di rigetto totale, nel contenuto e nella forma, e di rottura delle relazioni con l’Amministrazione statunitense.
2) quella del mondo arabo e islamico, con i diversi vertici, che hanno rifiutato il piano, sostenendo le varie risoluzioni internazionali e regionali, per una giusta soluzione al conflitto.
3) quella dell’Unione Europea, che si è ingabbiata nella possibilità del negoziato fra le parti, mettendo in primo luogo la sicurezza dell’occupante, e poi i diritti dei palestinesi.

Da sottolineare la presa di distanza dei paesi membri del Consiglio di Sicurezza, Russia, Cina e Francia, che considerano che il “piano del secolo” sia in contrasto con la legalità internazionale.
Il primo ministro israeliano, riconfermato malgrado le accuse di corruzione, per l’incarico di 18 mesi, non ha smesso di promettere ai suoi alleati elettori, dell’estrema destra religiosa, di voler procedere ad annettere allo stato occupante anche parte dei territori occupati della Cisgiordania, come previsto dal piano Trump.

Una annessione che, come già l’occupazione illegale, viola il diritto internazionale e le convenzioni di Ginevra, oltre a stracciare gli stessi accordi di Oslo, già sepolti dai governi di Netanyahu.
Il governo israeliano è diviso tra i suoi componenti, Gantz è titubante, e Netanyahu ha fretta, ma data la complessità della posizione americana, è pronto ad avanzare anche parzialmente e in più fasi. Per quanto riguarda l’esercito israeliano, chiede un posticipo, perché l’annessione può portare a disordini nei territori palestinesi occupati e costringere l’esercito a schierare le sue forze su confini vasti e tortuosi.
Gli stessi coloni manifestano contro il governo, con il pretesto che nel piano Trump è previsto lo Stato palestinese! E, del resto, questi coloni, che non sono sotto la sovranità israeliana, non pagano le tasse, e vivono del sussidio statale. Il che significa, per Netanyahu, entrare in rottura con Trump.
L’amministrazione americana si sta muovendo tra due tendenze.
La prima, guidata dal genero di Trump, Jared Kouchner, che chiede pazienza affinché l’annessione non porti a tensioni politiche tra gli Stati Uniti e i suoi alleati arabi, cosa che potrebbe influenzare la possibilità che Trump vinca le elezioni presidenziali di novembre.
E questo è quanto l’ambasciatore degli Emirati a Washington, Youssef Al-Otaiba, ha espresso nel suo articolo su “Yediot Aharonot” (12 giugno). https://www.nytimes.com/aponline/2020/06/12/world/middleeast/ap-ml-israel-palestinians-1st-ld-writethru.html
La seconda tendenza, guidata dall’ambasciatore americano/israeliano in Israele, David Friedman, che è uno dei più estremisti tra i coloni, sta spingendo affinché l’annessione abbia luogo alla data prevista, cioè il prossimo primo luglio.
La leadership palestinese, che ritiene sciolti tutti gli accordi con gli israeliani e con gli Usa, compresi gli accordi della sicurezza, ha già rifiutato il piano Trump e di conseguenza l’annessione dei territori palestinesi, sia totale e subito, che parziale e graduale.
Sposta per l’ennesima volta la discussione sull’occupazione stessa, già illegale, e ripropone una conferenza internazionale per discutere, finalmente, come attuare le già esistenti risoluzioni dell’Onu e del Consiglio di Sicurezza che riguardano la Palestina, riconosciuta Stato Osservatore dall’Assemblea Generale della stessa organizzazione. Continuare la lotta di resistenza popolare contro l’apartheid e l’occupazione israeliana è la prospettiva immediata.
In questo scenario, la presa di posizione dell’UE assume un’importanza di rilievo per i palestinesi. In difesa degli stessi valori, diritti, libertà, giustizia, democrazia, e il rispetto del diritto internazionale, numerosi, intellettuali, sindacati, uomini di cultura e dello spettacolo, e parlamentari in tutta l’Europa, come negli Usa, hanno chiesto, in modo chiaro e determinato, al governo israeliano di non annettere i territori palestinesi, e di non violare il diritto internazionale, poiché un atto del genere non può passare senza gravi conseguenze sulle relazioni con Israele.
Sono dimostrazioni di solidarietà apprezzate dai palestinesi, ma non bastano, c’è bisogno di atti concreti. Bisogna spingere i governi a riconoscere lo Stato di Palestina. La maggioranza lo ha votato all’Onu, ma esita a farlo in casa propria!
Il 27 giugno si manifesta in tante città italiane per dire no all’annessione, per la fine dell’occupazione, per dire sì allo Stato di Palestina con Gerusalemme capitale, per il diritto al ritorno dei profughi palestinesi, per la libertà per i prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane.
Manifestazioni sono state convocate a Roma, Napoli, Milano, Bari, Bologna, Firenze, Cagliari, Palermo, Messina, Venezia, Vicenza, Genova.
Le centinaia di adesioni di comitati, associazioni, partiti, forze politiche e sociali, in numerose città, sono testimonianze che ci fanno rivivere una solidarietà internazionalista oscurata da tempo.

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