domenica 28 giugno 2020

Di che sesso è la verità?

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ilsimplicissimus Anna Lombroso

Incidenti e violenze caratterizzarono quelle ore e solo mesi dopo, undici per l’esattezza, il Parlamento della Renania ricostruì gli avvenimenti imputandone la responsabilità alla cattiva gestione dell’ordine pubblico, ma se andate a rivedere commenti e giudizi emessi a posteriori resta immutata la deplorazione e la condanna per la furia bestiale degli islamici infedeli ai danni delle “nostre” donne indifese, a dimostrazione che – come disse a suo tempo l’allora vice segretaria del Pd, Debora Serracchiani – l’oltraggio a firma dello straniero merita riprovazione superiore di quello nostrano. 
E che l’islamico ospite è guardato con ammirazione e accolto con gratitudine ma solo se compra armamenti, se occupa coste, se finanzia squadre di calcio, se regala diamantoni a attricette e si aggiudica opere d’arte, hotel e intere aree di metropoli occidentali in aste manovrate, mentre è inviso se raccoglie pomodori, si arrampica su impalcature, peggio che mai, se vende parei in spiaggia o lava vetri ai semafori.

Minore condanna viene quindi riservata all’orda di casa nostra, dei nostri Palazzi e dei nostri studi televisivi, provvista dei crismi e della benedizione di santa romana chiesa che in quanto a sessismo non teme rivali, e sotto l’etichetta di una democrazia che a fasi ricorrenti si interroga sulla qualità e quantità di diritti erogati alle donne, non sempre conciliabili con il recupero di una triade, Dio, Patria e Famiglia,  obbligatoria in momenti di crisi, a cominciare da quello di parola, che alcune ochette presuntuose vogliono arrogarsi immeritatamente invece di rispettare tre comandamenti che uniscono simbolicamente tutte le culture patriarcali: la dona? la piasa la tasa e la staga in casa (la donna? Piaccia, taccia e stia in casa).

Si tratta di fenomeni non isolati che suscitano biasimo se l’oggetto delle violenze verbali possiede quella visibilità, notorietà e autorevolezza, che consente strumenti, canali e tribune per difendersi che la Donna Qualunque non ha a disposizione, avvolta dalla spirale di silenzio  che penalizza chi si sottrae a regole e convenzioni del conformismo, chi se la tira e se la vuole.
Lo stesso silenzio complice che si rompe  quando censura queste forme di discriminazione e soperchieria affiorate come iceberg, mentre sotto  si consumano disuguaglianze e sopraffazioni esaltate in questi tempi dalla “crisi”, differenze di remunerazione, di trattamento e carriera, con il concorrere  dei credo liberisti intesi a  persuadere della  bontà della rinuncia a vocazioni, talento, ascesa professionale, garanzie per far posto ai maschi del nucleo familiare che guadagnano di più e che non pesano sui bilanci aziendali con permessi per le malattie dei genitori o dei figli, con i permessi per gravidanze e allattamento, ma soprattutto per beneficiare delle opportunità di part time, mobilità e smartworking, adempiendo con abnegazione e spirito di sacrificio ai doveri che le leggi di  natura tornate in auge per via dell’egemonia della sopravvivenza, impongono: cura, assistenza, governo della casa, sostegno alla didattica a distanza.
Ma c’è un effetto collaterale che motiva la tolleranza esercitata nei confronti del sessismo erogato a forti dosi da personaggi che godono di cattiva reputazione utile ai loro successi di critica e di pubblico, e che grazie alle loro belluine e disarticolate esternazioni sono molto presenti su stampa e talkshow, in veste di incarnazione del male, del razzismo, della xenofobia come se si trattasse di categorie ideologiche e “morali” indipendenti dal regime totalitario che stabilisce leggi di mercato, di ordine pubblico e deontologiche.
Si tratta dell’impiego che hanno imparato a farne quelle donne che ricoprono ruoli di potere – ormai in numero addirittura prevalente in Europa, Merkel, Lagarde, Von Der Leyen – quando diventano oggetto di critica per comportamenti, convinzioni, decisioni pubbliche o per la correità in misure e atti compiuti ai danni dei cittadini, e ancora di più delle cittadine, a dimostrazione che la rivendicazione e ostensione di squisite qualità di genere connaturate: sensibilità, indole alla cura, solidarietà, compassione, appartengono alla retorica e alla cassetta degli attrezzi di sfruttatori, speculatori, padroni delle ferriere senza le abituali disparità di sesso, anzi con maggiore e più sfrontata tracotanza quando il tallone di ferro consiste in un tacco 10.
Gli esempi nostrani non mancano. Dall’esibizione di amor filiale e creditizio della ministra che provvede a salvare a un tempo babbo e banche criminali, all’altra ministra che accusa di giovanile parassitismo i figli choosy altrui confezionando una irresistibile carriera per la rampolla, dalla ministra (un’altra) che si è fatta strada esponendo in bella mostra il suo passato bracciantile mentre condanna alla resa lavoratrici in sciopero, fa da relatrice alla legge Fornero, ammazza pensioni, promossa dalla stessa di cui sopra che tanto i pensionati preferisce farli fuori perché pesano sul bilancio statale alla pari con la superiore in grado e prestigio Madame Lagarde.
Fino  alla ministra (ancora) che dopo aver dichiarato impotenza, incapacità e inadeguatezza in veste di commissaria straordinaria nel cratere del terremoto, fa da testimonial per una ripresa del cemento grazie ai cantieri delle Grandi opere e della Grande Speculazione,  a quella, ex e mai rimpianta al dicastero della  Difesa, quella che ha sostenuto nelle parole e negli atti la necessità di fare la guerra, venderla e esportarla per guadagnarsi la pace, bella ricca e profittevole per produttori di armi, aziende che internazionalizzano morte, repressione, furto, abuso e povertà, in modo che poi possano essere subito attive altre ministre firmando provvedimenti e leggi per contrastare le invasioni e per replicare obbedienti patti sottoscritti con tiranni e despoti assassini.
Ormai qualsiasi donna in vista può godere del privilegio del sostegno di altre donne e in caso di attacco personale, a smentire che la complicità sia un monopolio virile da camerate di soldati,  doccia di atleti, mentre invece sia un vizio femminile l’invidia velenosa, di una coesione che si materializza in forma bipartisan, vedi mai che serva in futuro, donando alla vittima uno status di intoccabilità per via dell’appartenenza di genere che doverosamente la dovrebbe risparmiare da critiche, rilievi e accuse. Il fatto è che le minoranze nel guadagnare consapevolezza, nell’uscire dall’emarginazione fisica e culturale nella quale sono state costrette, soffrono di un disturbo della crescita, quel coltivare e maturare pregiudizi positivi, non meno dannosi dei preconcetti negativi.
Se ne parla molto di questi tempi negli Usa, la patria dell’ipocrisia puritana che ha contagiato alla pari neoliberismo e “riformismo”, dove  alla faccia di milioni di disoccupate (le catene delle vendite online non le apprezzano né come magazziniere né come addette alle consegne), di sfrattate in forma reiterata per le varie bolle, di malmenate di tutte le etnie,  dove tra la metà di marzo e la fine di maggio, il 47 per cento degli adulti maggiorenni quasi tre quarti della percentuale costituito da donne,  ha perso il reddito da lavoro, dove si è creata una competizione insana tra lavoratrici agricole locali e immigrati e tra questi e le loro donne, per via di una diatriba che verte sull’interrogativo se in caso di molestie, stupri, violenze si debba sempre e comunque credere a tutte le donne.
Lo spunto l’ha dato l’accusa  di molestie sessuali mosse da Tara Reade, ex assistente del Senato e difesa dallo studio legale che ha rappresentato negli ultimi anni diverse vittime di Harvey Weinstein, a  Joe Biden, improbabile e scialbo candidato democratico alla Casa Bianca, che fa venire in mente i competitor che mette in campo il Pd quando vuol far vincere uno della Lega o di Forza Italia.
Lui ha sempre negato ogni responsabilità, forte del fatto che negli archivi del senato non ci sarebbe traccia della denuncia per sexual arrassement che la presunta vittima avrebbe presentato nel 1993 a un non meglio identificato Ufficio del personale di Capitol Hill.
Ma sul nuovo scandalo pruriginoso non si è registrata quella unanime reazione di condanna solidale degli anatemi contro Hollywood Babilonia, dando il destro ai repubblicani di attaccare l’ipocrisia del movimento #Metoo e dei suoi slogan, accusato di “credere a tutte le donne solo finchè attaccano qualcuno in linea con il presidente Trump,  a tutte le donne se hanno una laurea o di più”, insomma a quelle che rappresentano  quel radicalismo oggi interpretato dalle élite culturali, dai creativi, dall’industria dello spettacolo.
Ha risposto alle accuse Susan Faludi, giornalista Premio Pulitzer,che ribatte chè è legittimo anzi doveroso alle donne “che vengono uccise nonostante abbiano denunciato i partner o gli ex violenti, o alle segnalazioni di stalking che non vengono prese sul serio dalla polizia, per poi finire con un omicidio”. Mentre dare fiducia indiscriminatamente sulla base del genere, sostenere che le donne in quanto tali e in quanto minoranza destinata a ruoli di vittima dicano sempre al verità, è “una trappola per togliere credibilità al movimento delle donne, fatta scattare dal potere”.
E  di trappole pronte a scattare ce ne sono e tante, da quando al riconoscimento pubblico dei ditti degli uni consegue il disconoscimento delle prerogative e aspettative di altri,  contribuendo a distrarre da altre battaglie, quelle che riguardano il riconoscimento del fatto che le donne non sono l’unico segmento di popolazione esposto a condizioni di precarietà e privazione dei diritti, o dalla considerazione che quelli che vengono identificati come minoranze di genere e sessuali,  si differenziano per classe, religione etnia, tanto che  la liberazione dei sommersi dovrebbe essere necessariamente anticapitalistica e dunque antifascista, antirazzista e laica.
Altrimenti hanno ragione quelli che contestando il mito della presunta superiorità etica del genere femminile,  denunciano il carattere classista e razzista del femminismo occidentale e la sua natura narcisistica e autoreferenziale,  che dispiega un revanchismo che non pagano solo i maschi – magari meritatamente – ma anche le donne di classi e etnie “inferiori” e che  porta acqua a quello che è stato definito progressismo neoliberista: l’alleanza tra fermenti, antifascismo di superficie, multiculturalismo, femminismo “clintoniano” in voga anche da noi, e il “capitalismo cognitivo”.
Quello cioè  della rivoluzione digitale,  dei creativi retrocessi a classe disagiata cornuti e mazziati ma compiaciuti della loro superiorità culturale e morale,  a Tribeca come sui Navigli, cosmopoliti perchè mangiano sushi, vestono etnochic, abitano in uno scantonato promosso a loft, poi si fanno sfruttare facendo gli “imprenditori di se stessi”, strizzando  l’occhiolino a diseredati, a Wall Street e perfino a Farinetti.

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