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Mentre in tutta Italia si svolgono e si annunciano manifestazioni di
lavoratori e genitori che richiedono priorità alla scuola e la
definizione di un chiaro quadro di ripresa dell’attività formativa, il
Ministero ha diramato la bozza delle Linee guida che dovranno essere seguite da settembre per la riapertura degli istituti.
La lettura di tale bozza chiarisce subito che il Ministero non ha
alcuna intenzione di seguire l’unica strada sensata per una ripresa che
rappresenti anche un miglioramento dell’offerta formativa: una massiccia
assunzione in servizio di docenti e personale ATA che consenta una
sostanziale diminuzione del numero di alunni per classe e un’adeguata
vigilanza anche nei momenti comunitari meno strutturati.
La bozza demanda molte delle decisioni a costituendi “Tavoli
regionali” presso gli Uffici Scolastici regionali e a Conferenze dei
servizi degli enti locali, con la partecipazione di organizzazione
private, soprattutto in materia di reperimento e gestione di spazi
alternativi a quelli attualmente disponibili nelle scuole.
Il documento, infatti, decentra molte delle responsabilità sulle
istituzioni locali, ultimo anello delle quali sono i singoli istituti,
in base al principio dell’autonomia scolastica. I dirigenti avranno
molta discrezionalità, anche se non hanno mancato di far sapere che ne
vorrebbero di più, forse totale.
Qualcuno ha scritto che in realtà, le Linee guida sarebbero
un documento ispirato al principio del “fate come vi pare”,
nell’incapacità del Ministero a dare un indirizzo unitario chiaro.
In realtà, la situazione è più complessa. Infatti, il rimando al
principio dell’autonomia scolastica non è causale ma assai pertinente
perché essa è il primo mattone, posato alla fine degli anni novanta,
dal governo Prodi, per la messa in concorrenza, la privatizzazione e
l’aziendalizzazione delle scuole. Un disegno proseguito poi dai tanti
governi succedutisi ma che ha trovato il suo punto più alto con la
“buona scuola” renziana e a cui oggi il governo Conte vuole dare
un’ulteriore spinta, forse definitiva, con il pretesto dell’emergenza.
L’autonomia resta la trave portante di tale processo.
In questa chiave va letto il richiamo, fondamentale, al principio di sussidiarietà
e di corresponsabilità educativa, con l’auspicata collaborazione con
enti e istituzioni private e del terzo settore (quindi comunque private,
anche se no profit).
Un principio, quello della sussidiarietà, che ha già provocato enormi
guasti al sistema sanitario, che spesso anticipa, nelle riforme
privatistiche, la scuola.
Un esempio chiaro è ciò che accadde a partire dalla legge De Lorenzo
del 1992 e gli altri provvedimenti che portarono a includere il privato
nel sistema sanitario nazionale, parallelamente a quanto accadde nella
scuola tra il 1997 e il 2000, anno quest’ultimo in cui fu istituito dal
governo D’Alema il sistema nazionale d’istruzione. In tale sistema
confluirono le scuole dichiarate paritarie, con relativi
cospicui finanziamenti alle stesse, in spregio alla Costituzione ma
soprattutto con l’assunzione del privato in un sistema pubblico.
Il principio della sussidiarietà, nelle Linee guida, ha
un’accezione molto ampia, estesa anche al personale educativo, poiché
agli operatori, facenti parte di organizzazioni di volontariato o di
cooperative d’animazione che nelle scuole si occupano oggi di attività
integrative (musica, sport, teatro e arte in generale), ma che non
hanno responsabilità sulle classi e agiscono in genere in compresenza
con i docenti, potranno essere affidati anche compiti di sorveglianza e
vigilanza sugli alunni.
Questa decisione pone gravi problemi di natura legale e sindacale,
poiché si affiderebbero in questo modo dei minori a personale non
abilitato all’insegnamento, dipendente da istituzioni terze rispetto
alla scuola e impiegato in assenza di un qualunque quadro normativo.
Resta poi da chiedersi quali garanzie pedagogiche dovrebbero offrire le
organizzazione a cui fanno capo tali operatori, per esempio sulla loro
laicità.
Una soluzione pericolosa, però probabilmente utile al Ministero per
evitare di assumere docenti e creare una fascia di docenti di serie B,
mal retribuiti, assolutamente precari, senza contratto pubblico e reali
diritti, pur se con grandi responsabilità. Una proposta, comunque, che
tende a esternalizzare una parte del servizio scolastico affidandolo a
privati.
Tutto ciò sembra essere funzionale alla “riconfigurazione della classe in più gruppi d’apprendimento”, escamotage
per dire che non si vogliono formare classi meno numerose. Diventa
sospetta, in questo contesto, anche l”articolazione modulare di gruppi
di alunni provenienti da diverse classi o da diversi anni di corso”.
Far lavorare insieme bambini e ragazzi anche di età diversa, far
imparare loro la cooperazione è una cosa educativamente interessante e
che è già stata praticata in scuole sperimentali, tuttavia deve
rispondere a un preciso progetto pedagogico, con premesse teoriche e
conseguenze pratiche specifiche, non improvvisata per far fronte
all’esigenza di classi aggregate e disaggregate come in un grande gioco
di costruzioni.
Ancor più inquietante la questione dell’accorpamento, possibile, nella scuola secondaria, di materie affini. Una flessibilità che può significare per gli studenti perdita di ore di lezione e di saperi specifici.
Sempre per quanto riguarda la scuola secondaria di secondo grado, si
scopre inoltre che già si progetta di ricorrere ancora alla “didattica
digitale a distanza”, per supplire evidentemente alla mancanza di spazi e
di personale.
Del resto, che il Ministero punti ancora molto sulla didattica a
distanza, rendendola permanente, è testimoniato dal fatto che sono
previste specifiche formazioni sul tema per i docenti (naturalmente via webinar!)
e che le Linee guida per la didattica digitale integrata dovranno
entrare a far parte dei PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa).
Dietro a tutto ciò sta un’enorme truffa ideologica, quella di far
coincidere digitale (a distanza) e innovazione pedagogica, cosa per
nulla scontata, anche in base ai risultati di quest’anno, dove la
didattica a distanza ha dimostrato tutto il suo portato di
discriminazioni e di accrescimento delle disuguaglianze.
Quanto agli insegnanti, questi ultimi sono trattai come persone che
non hanno diritti sindacali e orari di lavoro. Entrate scaglionate,
estensione dei giorni di attività didattica, “rimodulazione” delle ore
d’insegnamento (cioè riduzione a 40 minuti con aggravio del numero di
classi e di lavoro collegiale), formazione in sevizio incentrata solo
sulle tecnologie digitali, uso di mezzi propri per la didattica a
distanza sono temi che mettono in discussione lo statuto professionale e
l’orario di lavoro e non possono essere decisi per decreto.
Per quanto riguarda gli alunni disabili, le Linee guida sono molto generiche e trattano solo di dispositivi di protezione, tuttavia citano la possibilità di accomodamenti ragionevoli per garantire a tali allievi la presenza quotidiana in aula.
Quali potranno essere questi accomodamenti non si sa, ma certo
l’accento posto sulla loro presenza quotidiana a scuola sospettare che
essa, per gli altri studenti, non ci sarà.
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