di Margherita Cavallaro
È la terza volta che mi siedo di fronte a questa pagina bianca perché quello che sta succedendo in America ha bisogno di parole, di parole giuste, eppure mi lascia senza parole. Come Wake Up Italia-London abbiamo già pubblicamente preso una posizione, ma c’è tanto altro ancora da dire.
Sono perfettamente conscia, tuttavia, che tutte quelle storie sono meglio narrate dai loro protagonisti, almeno quelli ancora in vita. Per questo, prima di continuare con il post, vi invito ad educarvi, ad avere un dialogo con persone vere affette dal problema del razzismo e a leggere libri sul tema da autori di colore.
Detto questo, qualcosa da dire ce l’ho, nello specifico rispetto al problema della police brutality (ossia atti di brutalità ad opera della polizia), che storicamente tocca anche le persone Lgbt. Quanto segue non parte da una convinzione che tutti i poliziotti siano cattivi: sono conscia del fatto che la maggior parte dei poliziotti sono persone perbene che giornalmente affrontano il peggio per difendere i cittadini. Quello a cui mi riferisco è un problema sistemico.
Ad ogni Pride c’è sempre una discussione se sia giusto o meno permettere alle forze dell’ordine e ai militari di sfilare. Questo perché la rivolta di Stonewall che ha fatto poi nascere i Pride è stata appunto una rivolta contro la police brutality verso i cittadini Lgbt e, come risulta dai fatti correnti, per lo meno in America le cose non sono molto cambiate in termini di comportamento della polizia.
La comunità Lgbt si trova sempre dunque davanti ad un dilemma: accogliere chi fa anche parte delle forze dell’ordine o dell’esercito per evitare che si sentano alienati o siano costretti a scegliere una parte, o correre il rischio di accettare la presenza di istituzioni che vogliono fare bella figura in parata mentre in pratica vanno contro tutto ciò che il Pride rappresenta.
Io credo che l’inclusione valga il rischio perché, come ho già scritto nel mio precedente blog, a volte le carezze sono meglio dei pugni. Vi prego però di capire che, nonostante tutto, anche per me questa scelta sia sofferta, soprattutto perché non sono d’accordo con quello che a volte le forze dell’ordine (direttamente o indirettamente condonando invece che ripudiare certi atti) rappresentano.
Potreste dire che adesso la violenza è principalmente diretta verso le persone di colore piuttosto che contro le persone Lgbt, eppure il filo conduttore è sempre lo stesso: violenza contro i più deboli, i diversi, gli emarginati, chi non solo fa fatica a difendersi, ma avrebbe anzi bisogno d’aiuto.
In questo senso, la police brutality è come se i medici si dessero al traffico d’organi. Ad un certo punto non importa se sei operato al fegato o al polmone, ma che i medici smettano di togliere gli organi ai pazienti che operano, a prescindere dal motivo per cui sono stati operati. Chi combatte contro l’omobitransfobia non può tollerare razzismo, sessismo o fascismo di ogni genere per lo stesso motivo.
Allo stesso modo, non sei un bravo medico se non rubi gli organi ai tuoi pazienti: stai solo facendo letteralmente il tuo lavoro. Anzi, meno che il tuo lavoro dato che il ruolo di un mediconon ha come standard “non rubare gli organi dei pazienti”. Allo stesso modo non sei una brava persona solo ed esclusivamente in virtù del fatto che non hai mai ammazzato o torturato nessuno.
Il problema principale è quello, ossia che le forze dell’ordine capita si scordino di essere lì per proteggere ed essere al servizio dei cittadini (che per altro pagano il loro stipendio), non per essere in guerra contro alcuni cittadini, né per essere braccio armato di qualche forza politica, né per trattare alcuni manifestanti coi guanti bianchi e caricarne altri senza motivo, né per proteggere i propri colleghi quando sono questi a commettere atti criminali.
Io amo il concetto di Polizia secondo cui possiamo sempre trovare una persona pronta a difenderci e a tenerci al sicuro, ma quando abbiamo paura che ciò da cui potremmo dover essere difesi è la Polizia stessa perché non possiamo sapere se davanti abbiamo una persona normale che fa il suo lavoro o qualcuno che troverà una scusa per picchiarci perché siamo omosessuali, trans, di colore, anarchici, immigrati, dissidenti, facendolo poi sembrare come se ce la siamo cercata o ci siamo picchiati o uccisi da soli, allora c’è un grosso problema.
Se non riuscite a vedere il problema, allora parte del problema siete anche voi e la soluzione è educarvi e parlare con le vittime piuttosto che con persone che siedono sul loro altro trono di privilegi come voi. Un predicatore molto più famoso di me chiedeva alla gente di trascorrere tempo tra gli ultimi e gli emarginati. Forse è ora che gli diate ascolto.
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