domenica 20 gennaio 2019

La battaglia politica in Italia deve essere prima di tutto una battaglia culturale.

Stiamo affogando in un mare di egoismo e ipocrisia, indifferenza e ignoranza, bugie e pregiudizi. Quanto analfabetismo funzionale può sopportare una democrazia? Quella per la cultura è l’unica battaglia che noi italiani oggi dobbiamo combattere, se vogliamo restare umani, se vogliamo ricostruire un patto sociale, se vogliamo immaginare un futuro.



micromega Anna Angelucci*
Siamo noi italiani che stiamo affogando. Mentre lasciamo in balia del freddo, dei marosi, dei valichi montani, delle pance dei camion che li nascondono, della fame e della paura che li attanagliano i migranti che scappano dall’orrore dei loro paesi, mentre sbraitiamo contro tutti – gli stranieri, le ONG, l’Europa – anche noi affoghiamo a poco a poco, con loro.

Stiamo affogando in un mare di egoismo e di ipocrisia. Ma soprattutto stiamo affogando in un mare di indifferenza e di ignoranza. Stiamo affogando in un mare di bufale, che ci dicono che ci sono migliaia di profughi che ci invadono e non è vero. Che ci dicono che vaccinare i bambini fa male e non è vero. Che ci dicono che esiste un’ideologia gender che renderà i nostri figli omosessuali e non è vero. Un mare di ignoranza, di pregiudizi, di bugie che si diffondono nelle sabbie mobili del web attraverso i social media, riproducendosi all’infinito e trascinandoci tutti in un soffocante fondale di melma.

Il fondale di melma del web e dei social media è il nuovo spazio della comunità umana: al suo interno gli individui sono, paradossalmente, soli come cani, con tutti i loro inutili like, ognuno ad abbaiare alla luna, con la sua bocca digrignata. Nel mondo virtuale chiunque può dire qualunque cosa, in barba ad ogni principio di autorevolezza e, direi, di fondatezza. Si può sdoganare ogni risentimento, coltivare ogni fobia, alimentare ogni rifiuto, fino alla perversione o alla patologia. Vige il più profondo individualismo, l’autoreferenzialità assoluta, il narcisismo, l’egotismo che si nutre e che nutre il mito di sé. Immagini, pulsioni, sensazioni immediate, reazioni istintuali: raramente troviamo qualcosa in più di questo esibizionismo elementare, di questa espressività basica. Il problema è che questa melma virtuale è diventata il reale. Non c’è più distinzione. Il web ha fagocitato il mondo vero, che sembra non esistere più come ‘altro’. E se pure era nato come un gioco tra nerd, non è più un gioco, come qualcuno si ostina a credere. Certamente non è divertente, come lo sono i veri giochi. Piuttosto, è spaventoso.
   
Il web ha permesso, a tutti i livelli, quella disintermediazione auspicata da chi non vedeva l’ora di prendere la parola, e anche, possibilmente, il potere. Un’aspirazione sacrosanta da parte degli eternamente esclusi e degli eternamente sconfitti da chi deteneva quel potere a suo uso e consumo. E che, soprattutto, quel potere non meritava proprio di averlo. Ecco il perché di tanto odio nei confronti dell’élite: troppo raccomandati, troppo corrotti, troppo schiavi di interessi di parte. Perché l’élite in Italia non è altro che un insieme di conventicole saldamente ramificate nei gangli delle istituzioni, intente a perseguire interessi propri e non il bene comune.

Ma quando prendi la parola e quando prendi il potere devi avere qualcosa di sensato da dire e, possibilmente, da fare. Devi essere in grado di trasformare la tua rabbia, la tua frustrazione, il tuo vissuto di ingiustizia e oppressione, quel vissuto che per anni hai alimentato e coltivato nel web, in un progetto di vita alternativo. Personale e sociale. Individuale e collettivo. Proponendo una visione culturale e politica alternativa e costruttiva, nel senso etimologico e non opportunistico del termine.

Tutto questo non sta accadendo. Stiamo dentro una fase regressiva, anale direbbe forse Freud, dell’espressione e dei contenuti, personali e politici. Non c’è nessuna profonda autocritica da parte di chi ci ha governato mentre tutto questo accadeva (quel bosco della politica e quel sottobosco istituzionale e intellettuale che per troppo tempo ha coltivato il suo ‘particulare’ senza guardare oltre i propri interessi di parte). Nessuna capacità di riaffermare il valore e la forza del pensiero lento, del ragionamento, dello studio, dell’analisi, della critica come strumenti irrinunciabili per affrontare la vita, per prendere decisioni per sé e per gli altri. Per combattere la melma del web, sentina flatulenta delle nostre peggiori pulsioni, che alimenta populismi deteriorati, qualunquismi, nichilismi.

La battaglia politica che dobbiamo fare in Italia è, prima di tutto, una battaglia culturale. Quanto analfabetismo funzionale può sopportare una democrazia, a maggior ragione se disintermediata e diretta?

Dobbiamo ricominciare a pretendere che a scuola e all’università si legga e si studi, a cominciare dalla storia, draconianamente tagliata dalla riforma Gelmini, che bisogna avere il coraggio di cancellare, così come bisogna avere il coraggio di cancellare l’autonomia scolastica che, da Berlinguer a Renzi, ha ridotto la scuola a un’azienda in perdita, a un progettificio da quattro soldi, a uno squallido diplomificio. Perché su scuola, università e ricerca si deve investire in modo massiccio, e non solo sotto il profilo economico.

Dobbiamo mettere nelle mani dei bambini i libri e toglier loro lo smartphone. Dobbiamo stigmatizzare questo esame di Stato riformato in cui sono scomparse le materie (sic) e in cui per essere promossi basterà scrivere un pensierino compiuto e dire due parole a vanvera. Dobbiamo combattere l’analfabetismo di ritorno di tanti, troppi adulti, che non leggono, non studiano, non pensano e vivono compulsando affannosamente lo schermo del telefonino. Innalziamo l’obbligo scolastico. Aboliamo il numero chiuso all’università. Cancelliamo le tasse per l’istruzione.    

Dobbiamo stimare, cercare e ascoltare (e non stigmatizzare) chi pratica un pensiero articolato e complesso. Dobbiamo impegnarci, ricominciare a parlare e non semplicemente comunicare, e soprattutto guardare oltre il nostro naso. Dobbiamo ricostruire un orizzonte di senso che non preveda una chiusura nelle piccole patrie che ci riporterebbe al medioevo ma che ci spinga ben oltre, verso gli altri paesi, verso il mondo intero. Altro che regionalizzazione: ma il Parlamento, e gli italiani tutti, si rendono conto dell’assurdità, dell’anacronismo di questo progetto politico?

È la cultura che ci distingue dagli animali, intesa come capacità simbolica di rappresentare noi stessi e il mondo. Di creare un sistema di valori cui ispirare le nostre condotte di vita; di educare istinti e pulsioni, trasformandoli in sentimenti. È questo che, nel tempo, ci ha permesso di considerare uguali uomini e donne, di non discriminare, di curare i vecchi e i malati, di aiutare chi ha bisogno, di preferire le parole alla violenza e alle armi.

È questa, per la cultura, l’unica battaglia che noi italiani oggi dobbiamo combattere, se vogliamo salvarci, se vogliamo restare umani, se vogliamo ricostruire un patto sociale, se vogliamo immaginare un futuro.

* Associazione Nazionale 'Per la scuola della Repubblica'

(17 gennaio 2018)

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