Stiamo affogando in un mare di egoismo e ipocrisia, indifferenza e ignoranza, bugie e pregiudizi. Quanto analfabetismo funzionale può sopportare una democrazia? Quella per la cultura è l’unica battaglia che noi italiani oggi dobbiamo combattere, se vogliamo restare umani, se vogliamo ricostruire un patto sociale, se vogliamo immaginare un futuro.
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micromega Anna Angelucci*
Siamo noi italiani che stiamo affogando. Mentre lasciamo in balia
del freddo, dei marosi, dei valichi montani, delle pance dei camion che
li nascondono, della fame e della paura che li attanagliano i migranti
che scappano dall’orrore dei loro paesi, mentre sbraitiamo contro tutti –
gli stranieri, le ONG, l’Europa – anche noi affoghiamo a poco a poco,
con loro.
Stiamo affogando in un mare di egoismo e di ipocrisia. Ma
soprattutto stiamo affogando in un mare di indifferenza e di ignoranza.
Stiamo affogando in un mare di bufale, che ci dicono che ci sono
migliaia di profughi che ci invadono e non è vero. Che ci dicono che
vaccinare i bambini fa male e non è vero. Che ci dicono che esiste
un’ideologia gender che renderà i nostri figli omosessuali e non è vero.
Un mare di ignoranza, di pregiudizi, di bugie che si diffondono nelle
sabbie mobili del web attraverso i social media, riproducendosi
all’infinito e trascinandoci tutti in un soffocante fondale di melma.
Il fondale di melma del web e dei social media è il nuovo spazio
della comunità umana: al suo interno gli individui sono,
paradossalmente, soli come cani, con tutti i loro inutili like, ognuno
ad abbaiare alla luna, con la sua bocca digrignata. Nel mondo virtuale
chiunque può dire qualunque cosa, in barba ad ogni principio di
autorevolezza e, direi, di fondatezza. Si può sdoganare ogni
risentimento, coltivare ogni fobia, alimentare ogni rifiuto, fino alla
perversione o alla patologia. Vige il più profondo individualismo,
l’autoreferenzialità assoluta, il narcisismo, l’egotismo che si nutre e
che nutre il mito di sé. Immagini, pulsioni, sensazioni immediate,
reazioni istintuali: raramente troviamo qualcosa in più di questo
esibizionismo elementare, di questa espressività basica. Il problema è
che questa melma virtuale è diventata il reale. Non c’è più distinzione.
Il web ha fagocitato il mondo vero, che sembra non esistere più come
‘altro’. E se pure era nato come un gioco tra nerd, non è più un gioco,
come qualcuno si ostina a credere. Certamente non è divertente, come lo
sono i veri giochi. Piuttosto, è spaventoso.
Il web ha permesso, a tutti i livelli, quella disintermediazione
auspicata da chi non vedeva l’ora di prendere la parola, e anche,
possibilmente, il potere. Un’aspirazione sacrosanta da parte degli
eternamente esclusi e degli eternamente sconfitti da chi deteneva quel
potere a suo uso e consumo. E che, soprattutto, quel potere non meritava
proprio di averlo. Ecco il perché di tanto odio nei confronti
dell’élite: troppo raccomandati, troppo corrotti, troppo schiavi di
interessi di parte. Perché l’élite in Italia non è altro che un insieme
di conventicole saldamente ramificate nei gangli delle istituzioni,
intente a perseguire interessi propri e non il bene comune.
Ma quando prendi la parola e quando prendi il potere devi avere
qualcosa di sensato da dire e, possibilmente, da fare. Devi essere in
grado di trasformare la tua rabbia, la tua frustrazione, il tuo vissuto
di ingiustizia e oppressione, quel vissuto che per anni hai alimentato e
coltivato nel web, in un progetto di vita alternativo. Personale e
sociale. Individuale e collettivo. Proponendo una visione culturale e
politica alternativa e costruttiva, nel senso etimologico e non
opportunistico del termine.
Tutto questo non sta accadendo. Stiamo dentro una fase regressiva,
anale direbbe forse Freud, dell’espressione e dei contenuti, personali e
politici. Non c’è nessuna profonda autocritica da parte di chi ci ha
governato mentre tutto questo accadeva (quel bosco della politica e quel
sottobosco istituzionale e intellettuale che per troppo tempo ha
coltivato il suo ‘particulare’ senza guardare oltre i propri interessi
di parte). Nessuna capacità di riaffermare il valore e la forza del
pensiero lento, del ragionamento, dello studio, dell’analisi, della
critica come strumenti irrinunciabili per affrontare la vita, per
prendere decisioni per sé e per gli altri. Per combattere la melma del
web, sentina flatulenta delle nostre peggiori pulsioni, che alimenta
populismi deteriorati, qualunquismi, nichilismi.
Dobbiamo ricominciare a pretendere che a scuola e all’università si
legga e si studi, a cominciare dalla storia, draconianamente tagliata
dalla riforma Gelmini, che bisogna avere il coraggio di cancellare, così
come bisogna avere il coraggio di cancellare l’autonomia scolastica
che, da Berlinguer a Renzi, ha ridotto la scuola a un’azienda in
perdita, a un progettificio da quattro soldi, a uno squallido
diplomificio. Perché su scuola, università e ricerca si deve investire
in modo massiccio, e non solo sotto il profilo economico.
Dobbiamo mettere nelle mani dei bambini i libri e toglier loro lo
smartphone. Dobbiamo stigmatizzare questo esame di Stato riformato in
cui sono scomparse le materie (sic) e in cui per essere promossi basterà
scrivere un pensierino compiuto e dire due parole a vanvera. Dobbiamo
combattere l’analfabetismo di ritorno di tanti, troppi adulti, che non
leggono, non studiano, non pensano e vivono compulsando affannosamente
lo schermo del telefonino. Innalziamo l’obbligo scolastico. Aboliamo il
numero chiuso all’università. Cancelliamo le tasse per l’istruzione.
Dobbiamo stimare, cercare e ascoltare (e non stigmatizzare) chi
pratica un pensiero articolato e complesso. Dobbiamo impegnarci,
ricominciare a parlare e non semplicemente comunicare, e soprattutto
guardare oltre il nostro naso. Dobbiamo ricostruire un orizzonte di
senso che non preveda una chiusura nelle piccole patrie che ci
riporterebbe al medioevo ma che ci spinga ben oltre, verso gli altri
paesi, verso il mondo intero. Altro che regionalizzazione: ma il
Parlamento, e gli italiani tutti, si rendono conto dell’assurdità,
dell’anacronismo di questo progetto politico?
È la cultura che ci distingue dagli animali, intesa come capacità
simbolica di rappresentare noi stessi e il mondo. Di creare un sistema
di valori cui ispirare le nostre condotte di vita; di educare istinti e
pulsioni, trasformandoli in sentimenti. È questo che, nel tempo, ci ha
permesso di considerare uguali uomini e donne, di non discriminare, di
curare i vecchi e i malati, di aiutare chi ha bisogno, di preferire le
parole alla violenza e alle armi.
È questa, per la cultura, l’unica battaglia che noi italiani oggi
dobbiamo combattere, se vogliamo salvarci, se vogliamo restare umani, se
vogliamo ricostruire un patto sociale, se vogliamo immaginare un
futuro.
* Associazione Nazionale 'Per la scuola della Repubblica'
(17 gennaio 2018)
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