venerdì 4 gennaio 2019

Il naufragio dei diritti umani e la rivolta dei sindaci Mentre la nave Sea Watch 3 è ancora alla ricerca di un porto sicuro dove portare in salvo 32 persone, in Italia alcuni sindaci sospendono gli effetti dei Decreto Sicurezza del Ministro Salvini. Attorno al tema della difesa dei diritti umani serve oggi un atto di coraggio all’altezza dello scontro politico in atto



 dinamopress di Giulietta Darm
Il nuovo anno si è aperto con 32 persone in attesa da 14 giorni di poter sbarcare in un porto sicuro, in balia del mare e in pessime condizioni di salute, documentate dal personale medico a bordo. Al caso della nave Sea Watch 3 della ONG tedesca Sea Watch si è unito quello della Sea Eye, con 17 persone salvate il 29 dicembre.

L’appello disperato dalle navi rimbalza per giorni, compresi Natale e Capodanno, contro l’aria ovattata dell’indifferenza e della legittimazione dell’odio, la normalizzazione del razzismo istituzionale e di quello “di strada”.
Ieri, con il peggioramento delle condizioni meteo, Malta ha consentito di ripararsi nelle proprie acque territoriali ma non di sbarcare, dopo aver effettuato un salvataggio di 249 persone con i propri mezzi navali. Paradosso che definisce ulteriormente la natura politica di questa chiusura. Cavalcare la guerra contro la solidarietà, contro le ONG, contro chi «prende il mare per immaginare un futuro», alimentata dai twitter del Ministero degli Interni e di cui l’Europa è complice.
Oggi è partita una delegazione di Mediterranea e SeaWatch per portare cambio di equipaggio, viveri, rifornimenti, giornalisti e fotografi, per documentare una situazione ormai al limite e per chiedere, ancora, un porto sicuro, dopo che Francia, Olanda e Germania si sono dette disponibili ad accogliere queste persone una volta sbarcate. Va chiarita una questione: chiedere all’Italia un porto sicuro non è una supplica buonista. Sicuramente per molti e molte è un’urgenza indiscutibile di «salvaguardia di diritti umani fondamentali», per altri e altre deve necessariamente essere legge. Non far approdare le navi in porto implica l’impossibilità di valutare le singole situazioni delle persone a bordo e viola il divieto alle espulsioni collettive (principio di non refoulement, già garantito dall art 33 della convenzione di Ginevra) previsto dall’art. 4 della Convenzione europea dei diritti umani e, in caso di una non scongiurata situazione di distress (estremo pericolo), vedrebbero violati altri obblighi internazionali quali quelli di proteggere la vita e l’integrità fisica e morale delle persone a bordo.
I diritti umani invocati, derisi, abusati nel linguaggio e violati nella pratica, criticati talvolta per la loro astrazione, per l’insufficienza politica insita in un concetto astratto, ma pur sempre un fondamento del “vivere in comune” dopo gli orrori nazifascisti del ‘900, risultano essere oggi un elemento estraneo, espulso, dalla società in cui viviamo. Rimosso da governi ed elettori.
Si sta delineando nel nostro paese (e in Europa) uno scenario difficilmente ipotizzabile nei consessi democratici del dopoguerra che hanno dato origine al Consiglio d’Europa, con lo scopo di tutelare i diritti dell’uomo e le nascenti democrazie e garantire il cosiddetto “primato del diritto” in Europa, rafforzato dalla firma della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Hannah Arendt aveva sollevato, in quegli anni, vicinissimi alla proclamazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del ’48, la “non universalità” del concetto stesso di diritti umani. All’epoca, si era imposto infatti alla sua attenzione il fenomeno delle displaced persons, l’ingente massa di persone sradicate dalla loro comunità di appartenenza in conseguenza della guerra. Le loro drammatiche condizioni di vita erano la tragica dimostrazione dell’impotenza dei diritti umani. Non vogliamo qui far sfoggio di citazioni, seppure cercare nel passato, ciò che sta accadendo davanti ai nostri occhi è un’inclinazione quasi scontata. Sembra indubbio però che Hannah Arendt abbia precocemente capito che un nervo scoperto del discorso dei diritti umani emerge proprio dal confronto fra due tipologie di soggetti: da un lato, i presunti cittadini, membri di una determinata comunità politica e, dall’altro, i soggetti esterni. Da una parte, la Dichiarazione del ’48 non ignora la condizione dei “non cittadini”, affermando l’antico ius migrandi, il diritto di muoversi liberamente in tutto il pianeta e, soprattutto, assumendo come fondamento dei diritti non l’appartenenza a un contesto nazionale, ma la semplice condizione di essere umano. Dall’altra, però, il diritto internazionale continua a riconoscere a ogni Stato il diritto di controllare l’accesso al territorio su cui si esercita la sua sovranità.
In altre parole i diritti umani, cui noi stessi, movimenti, singoli, solidali, ci appelliamo e che sono, per definizione, sconfinati, transnazionali e transculturali, devono fare i conti con i confini nazionali. Non solo, devono fare i conti con un detournement del loro significato fondativo, ovvero quello di legittimare la stessa esistenza delle democrazie europee del dopoguerra.
Il governo italiano offre un esempio significativo in questo senso: disprezzare la vita umana, segregare e produrre povertà ed esclusione, diventano non solo questioni accettabili ma elementi centrali di propaganda e di governo. In questo senso va intesa la determinazione nel non designare un porto sicuro alle navi al largo di Malta e la pericolosità delle norme contenute nel Decreto Sicurezza la cui legittimità costituzionale è realmente in discussione. La sola abrogazione della protezione umanitaria produrrà, nei nostri territori, decine di migliaia di figure “espulse” dal nostro sistema di accoglienza o – per meglio dire – “dalla nostra società” che perdono alloggio e lavoro e non possono cercarne un altro, se non alla mercé di chi opera nell’illegalità.
Di queste ore è la “rivolta dei sindaci” contro il Decreto cui ha dato il via il gesto del sindaco di Palermo Leoluca Orlando che ha chiesto ai responsabili degli Uffici dell’Anagrafe palermitana di «approfondire tutti i profili giuridici anagrafici» che deriveranno dall’applicazione della norma, la cui costituzionalità (in riferimento all’articolo 3 della Costituzione) è al vaglio di importanti costituzionalisti. In attesa di questo approfondimento, ha scritto Orlando «impartisco la disposizione di sospendere, per gli stranieri eventualmente coinvolti dalla controversa applicazione della legge, qualunque procedura che possa intaccare i diritti fondamentali della persona con particolare, ma non esclusivo, riferimento alle procedure di iscrizione della residenza anagrafica». La norma sull’anagrafe sembra essere, per voce di importanti costituzionalisti, palesemente incostituzionale in quanto viola l’articolo 3 della Costituzione.
Il gesto di Leoluca Orlando ha generato immediato scompiglio dentro l’ANCI sollecitando analoghe posizioni da De Magistris, Falcomatà, Nardella, Pizzarotti, Decaro ed altri primi cittadini della stessa maggioranza di governo che, probabilmente senza ambizioni rivoluzionarie, non rintracciano la logica che priva un richiedente asilo dell’accesso al servizio sanitario nazionale (come da articolo 13 del decreto stesso) o che il figlio di un richiedente asilo, privato della residenza, non possa andare a scuola. 
Affrontare il tema dei diritti dell’uomo richiede oggi dunque un preliminare atto di coraggio e di rivolta oltre che di rispondenza ad una prassi solidale e umana che ripristini il senso e la possibilità stessa di vivere in comune.
In questo senso va letta e apprezzata la recente posizione dei sindaci inscritta nel solco aperto da Mimmo Lucano, sindaco di Riace e in questo senso va rilanciata la provocazione di Luigi De Magistris rivolta al mare: «mi auguro che questa barca si avvicini al porto di Napoli, dove sono già disponibili 20 imbarcazioni che in sicurezza raggiungeranno Sea Watch 3 per portare a terra le persone».
L’urgenza di azioni molteplici, modulate a seconda della sensibilità di molti e diversi, ma allo stesso tempo determinata a ribaltare questa Onda Nera che ancora ci lascia attoniti nella sua inarrestabile avanzata, è davanti agli occhi di tutt* noi. Dobbiamo essere all’altezza della sfida e creare ponti solidi tra terra e mare, reti e risonanze tra territori diversi.
«Si può fare». Ce lo dimostra il documento prodotto dai legali di Alterego – Fabbrica dei Diritti, con cui i sindaci potranno effettivamente disobbedire al decreto sicurezza e ce lo ha dimostrato oggi Palermo con una marea di persone in piazza Pretoria, davanti al Municipio contro il decreto sicurezza e a sostegno del sindaco che è tornato a definire “criminogeno” il testo di legge, mentre l’arcivescovo Corrado Lorefice invitava a non rimanere in silenzio davanti a «disumani decreti».

Nessun commento:

Posta un commento