controlacrisi valerio sebastiani
“Noi
migranti della Libia, della Siria, del Qatar stiamo raccogliendo i
frutti di decenni e decenni di politiche distruttive, di massacri, di
invasioni da parte dei governi europei venuti a razziare i nostri
paesi!”
Nel buio di piazza Vittorio a Roma si fa avanti amplificata dal microfono una voce carica di risentimento ed energia. La voce di un migrante, una delle tante anime che con difficoltà hanno conquistato uno spazio nel grande caos sociale italiano, quel minimo per poter tirare a campare, magari schiavizzati in nero o nelle mani della tratta delle donne
.
Si sono ritrovati in decine di piazze italiane ed europee il primo marzo, mentre la “Giungla” di Calais veniva data alle fiamme durante i violentissimi sgomberi; mentre ai confini tra la Macedonia e la Grecia uomini, donne e bambini rompevano le reti e i cancelli eretti tra loro e cordoni di Polizia.
Si sono ritrovati nel nome di una solidarietà che andasse oltre l’enunciazione, oltre i pietismi della sinistra istituzionale, mostrando le proposte concrete delle esperienze costruite con i migranti in Italia.
“Due giorni fa i presidi animati da questa consapevolezza hanno cercato di raccontare altro” spiega una studentessa e precaria, “raccontare come i migranti e i soggetti colpiti dalla crisi hanno deciso di reagire, di costruire una proposta oltre le logiche assistenzialistiche delle Cooperative finite sotto il mirino di Mafia Capitale”. Reti di solidarietà, sperimentazioni di mutuo soccorso cittadino, lotte per il diritto all’abitare. Esperienze che nella città di Roma sono cresciute, animate da attivisti “bianchi e occidentali”, ma che sono state rese possibili ed efficaci solo dalla partecipazione da chi la subordinazione sociale l’ha vissuta sulla sua pelle.
Le proposte della “Roma solidale” vanno dalle scuole d’italiano per migranti, a esperienze di mutuo aiuto come laboratori di sartoria e punti di vendita “fuorimercato” per produrre reddito e sostegno reale a chi subisce il business dell’accoglienza.
“Questo sciopero giunge con una puntualità inattesa, dobbiamo ripartire da questa giornata non solo per mobilitarci, ma per demistificare le narrazioni tossiche che i media e chi specula sulla guerra fra poveri ci propinano ogni giorno”. Altra voce che si espande e cerca di farsi strada tra i partecipanti al presidio, che verso le 20:00 erano diventati almeno mille, circondati da un’imponente dispiegamento di forze di polizia.
Quello che ci ricorda chi ha partecipato alle mobilitazioni coordinate del primo marzo è la necessità in questo momento storico di agire anche per far emergere quelle che sono le contraddizioni più nitide dell’Europa neoliberista: se è vero che le classi medio-basse sono in continuo disfacimento, con il rischio continuo di crollare in condizioni di povertà e precarietà, questo è valido anche per molti migranti che dai loro paesi di origine si spostano in Italia. La frizione che si crea tra queste due grandi “classi di sfruttati” produce ciò che anche durante il presidio è stato denominato “guerra fra poveri”, che si alimenta soprattutto dalla paura di diventarlo, ma anche dalla strenua difesa di quel poco che ancora si ha.
“È nostro dovere ricordare che noi migranti siamo sempre stati una grande risorsa per questo paese!” un altro migrante racconta se stesso e la condizione generale di chi come lui vede i paesi europei come una speranza: le politiche neoliberiste in materia del lavoro, soprattutto italiane, hanno sempre garantito, sotto il nome della mobilità e della flessibilità, ad aziende e caporali di usufruire di forza lavoro per impieghi dequalificati, irregolari, non garantiti utile essenzialmente per abbattere il costo di produzione e per risparmiare sulla manodopera. Nel frattempo si chiudono frontiere, si sostengono improbabili teorie sugli “scontri di civiltà”, mentre nell'enorme cono d’ombra lasciato dallo sciacallaggio delle destre xenofobe e dalle narrazioni mediatiche, rimangono intrappolati migliaia di soggetti invisibili per la società, ma che portano con loro storie di sfruttamento, espulsione e isolamento nei margini della società.
Nel buio di piazza Vittorio a Roma si fa avanti amplificata dal microfono una voce carica di risentimento ed energia. La voce di un migrante, una delle tante anime che con difficoltà hanno conquistato uno spazio nel grande caos sociale italiano, quel minimo per poter tirare a campare, magari schiavizzati in nero o nelle mani della tratta delle donne
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Si sono ritrovati in decine di piazze italiane ed europee il primo marzo, mentre la “Giungla” di Calais veniva data alle fiamme durante i violentissimi sgomberi; mentre ai confini tra la Macedonia e la Grecia uomini, donne e bambini rompevano le reti e i cancelli eretti tra loro e cordoni di Polizia.
Si sono ritrovati nel nome di una solidarietà che andasse oltre l’enunciazione, oltre i pietismi della sinistra istituzionale, mostrando le proposte concrete delle esperienze costruite con i migranti in Italia.
“Due giorni fa i presidi animati da questa consapevolezza hanno cercato di raccontare altro” spiega una studentessa e precaria, “raccontare come i migranti e i soggetti colpiti dalla crisi hanno deciso di reagire, di costruire una proposta oltre le logiche assistenzialistiche delle Cooperative finite sotto il mirino di Mafia Capitale”. Reti di solidarietà, sperimentazioni di mutuo soccorso cittadino, lotte per il diritto all’abitare. Esperienze che nella città di Roma sono cresciute, animate da attivisti “bianchi e occidentali”, ma che sono state rese possibili ed efficaci solo dalla partecipazione da chi la subordinazione sociale l’ha vissuta sulla sua pelle.
Le proposte della “Roma solidale” vanno dalle scuole d’italiano per migranti, a esperienze di mutuo aiuto come laboratori di sartoria e punti di vendita “fuorimercato” per produrre reddito e sostegno reale a chi subisce il business dell’accoglienza.
“Questo sciopero giunge con una puntualità inattesa, dobbiamo ripartire da questa giornata non solo per mobilitarci, ma per demistificare le narrazioni tossiche che i media e chi specula sulla guerra fra poveri ci propinano ogni giorno”. Altra voce che si espande e cerca di farsi strada tra i partecipanti al presidio, che verso le 20:00 erano diventati almeno mille, circondati da un’imponente dispiegamento di forze di polizia.
Quello che ci ricorda chi ha partecipato alle mobilitazioni coordinate del primo marzo è la necessità in questo momento storico di agire anche per far emergere quelle che sono le contraddizioni più nitide dell’Europa neoliberista: se è vero che le classi medio-basse sono in continuo disfacimento, con il rischio continuo di crollare in condizioni di povertà e precarietà, questo è valido anche per molti migranti che dai loro paesi di origine si spostano in Italia. La frizione che si crea tra queste due grandi “classi di sfruttati” produce ciò che anche durante il presidio è stato denominato “guerra fra poveri”, che si alimenta soprattutto dalla paura di diventarlo, ma anche dalla strenua difesa di quel poco che ancora si ha.
“È nostro dovere ricordare che noi migranti siamo sempre stati una grande risorsa per questo paese!” un altro migrante racconta se stesso e la condizione generale di chi come lui vede i paesi europei come una speranza: le politiche neoliberiste in materia del lavoro, soprattutto italiane, hanno sempre garantito, sotto il nome della mobilità e della flessibilità, ad aziende e caporali di usufruire di forza lavoro per impieghi dequalificati, irregolari, non garantiti utile essenzialmente per abbattere il costo di produzione e per risparmiare sulla manodopera. Nel frattempo si chiudono frontiere, si sostengono improbabili teorie sugli “scontri di civiltà”, mentre nell'enorme cono d’ombra lasciato dallo sciacallaggio delle destre xenofobe e dalle narrazioni mediatiche, rimangono intrappolati migliaia di soggetti invisibili per la società, ma che portano con loro storie di sfruttamento, espulsione e isolamento nei margini della società.
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