mercoledì 11 marzo 2015

La forza del diritto per contrastare la forza delle armi (appello per sostenere la Corte Penale Internazionale)

Risultati immagini per immagini palestinaUn appello per sostenere la Corte Penale Internazionale che  si appresta ad  indagare Israele

Non  c’è bisogno di ricorrere ad Alessandro Manzoni ed ai suoi Promessi Sposi per riconoscere  che il torto e le ragione non si separano con un coltello e che  mai   in un conflitto  tutte le ragioni stanno da una parte sola  e tutti i torti dall’altra. Ciò vale ovviamente anche per il conflitto asimmetrico che oppone lo Stato di Israele al  Popolo Palestinese e viceversa.
Lo affermo in premessa,  perché non sopporto più che ogni qual volta si cerchi di trovare una via d’uscita dalla situazione di stallo in cui si sono impantanati i cosiddetti colloqui di pace, qualcuno voglia rifarsi a questa ovvia  e banale constatazione per spostare il discorso e riportarlo al 1948, anzi a qualche anno prima, come è avvenuto appena martedì  scorso 24 febbraio ad opera dell’editorialista del Corriere della Sera Pier Luigi Battista, nella nota trasmissione di Radio  3 <Tutta la Città Ne Parla>.
E’ evidente che risalire alle sue origini è indispensabile per capire la genesi di qualsiasi  conflitto, distinguerne le componenti e comprenderne le dinamiche. Ma l’anamnesi non si può ripetere all’infinito, altrimenti   non si parla più dell’oggi, tanto meno di un futuro possibile ma  si resta fermi nel pantano. Un volta  che il ritorno   alle origini  sia  servito per  identificare e qualificare i punti cruciali della situazione in atto, se si vuol tentare di superarla bisogna procedere oltre.

Partiamo dunque  dalla situazione attuale del conflitto, i cui tratti essenziali sono  bene evidenti. Possono secondo me indicarsi così: a) il processo di pace ipotizzato  dagli accordi di Oslo  è definitivamente fallito; b) i colloqui   sono bloccati e non c’è verso di farli riprendere; c)  a seguito della guerra del ‘67 i territori assegnati  ai Palestinesi sono passati  dal 49% della Palestina storica deciso dall’ONU nel 1948 al 22%; d) in quel 22%      insistono anche   le colonie  israeliane che sono collegate tra loro da una efficiente  rete stradale, controllata dall’esercito israeliano ed  inibita ai palestinesi;    quel 22%  si riduce  quindi di molto e per di più è estremamente  frammentato; e) il processo di colonizzazione   che ha portato  il numero dei coloni dai 150.000 dell’epoca  di Oslo agli attuali  600.000, è tuttora in atto in Cisgiordania come a Gerusalemme, il che  rende evidente che l’obiettivo di  Israele  è di non  lasciare spazio ad uno Stato di Palestina; e)  a riprova  vi è la testimonianza di uno dei  maggiori  artefici degli Accordi di Oslo, il  diplomatico israeliano  Ilan Baruch,  che qui a Roma appena tre giorni fa, nella sede di SEL di via Passino,      ha pubblicamente dichiarato di essersi dimesso dalla sua carica di ambasciatore dello Stato di Israele nel 2009 essendosi reso conto che il Governo Netanyahu  aveva abbandonato la politica di due popoli e due stati, che avrebbe comportato la rimozione delle colonie e  per la quale egli si era sino ad allora convintamente speso.
Allo stato dei fatti  il Popolo Palestinese vive sotto un ferreo assedio a Gaza e  sotto una dura occupazione in Cisgiordania, mentre è soggetto a continui espropri in Gerusalemme; nel contempo la “sicurezza” di Israele è affidata a misure straordinarie quanto precarie (il muro, la cui illegalità è stata dichiarata da più autorevoli  fonti, i check point,  i droni,i periodici  sanguinosi attacchi a Gaza), la cui efficacia difficilmente potrà durare per moltissimo tempo.
Non si può ignorare per altro  che mai come in questo caso le  vicende del  conflitto non riguardano solo i due contendenti. Infatti, se i governanti arabi, nel   timore che l’esempio di un popolo che non si arrende e che si batte per la propria libertà possa contagiare anche i loro popoli, mantengono nei confronti del Popolo Palestinese e della sua causa posizioni equivoche, per le popolazioni arabe  –  lo ha notato di recente in un suo articolo Roberto Savio –  la dominazione di Israele sui i Palestinesi è “una chiara prova dell’intenzione (dell’Occidente) di tenere gli Arabi sottomessi e cercare solo alleanze con governanti corrotti e delegittimati che dovrebbero esser cacciati via”. Il che, ovviamente,  è fonte di frustrazioni, rancori, ire, volontà di riscatto che costituiscono il contesto da cui germinano  il fondamentalismo religioso, l’estremismo politico e il terrorismo: i soggetti, cioè, che alimentano i venti di guerra   sorti in Medio Oriente, che  si sono espansi nel Nord Africa e minacciano ora di raggiungerci.
Che fare, dunque?
Da alcuni si invoca il ricorso alle armi, per opporre violenza a violenza, morte a morte. Ma sarebbe una scelta sciagurata non solo perché moltiplicherebbe distruzioni lutti e dolori – conseguenze   già  sufficienti per escludere una soluzione del genere – ma perché costituirebbero  un enorme incentivo al proliferare dei fondamentalismi e degli estremismi. La diplomazia  allora deve intervenire. Un soprassalto delle pubbliche opinioni, a cominciare da quella italiana,   una loro forte mobilitazione può indurre la diplomazia internazionale  ad un’azione efficace che riesca a sostituire la forza del diritto e della ragione alla forza delle armi. Perché il punto sta qui: per evitare il ricorso alle armi non c’è altra possibilità che imporre l’osservanza del Diritto:  a tutti, ai Palestinesi ed anche ad Israele. Anzi, in primo luogo ad Israele.
La diplomazia da sola può  non bastare: al mondo arabo bisogna dare dei segnali rassicuranti, bisogna mostrare che nei suoi confronti qualcosa in Occidente sta cambiando, che il Diritto, di cui   l’Occidente mena vanto come di una  propria conquista  valida per il mondo intero, non   ha una doppia valenza ma una sola,   universale, e non è applicato a seconda delle convenienze. Bisogna dare il  segnale che anche Israele deve sottostare al Diritto e che   per il Popolo Palestinese può esserci Giustizia. Bisogna far capire che     la pavidità di cui gli Stati occidentali hanno dato prova nei confronti di Israele, e che solo in parte è spiegabile in rapporto al senso di colpa per l’ antisemitismo che per secoli ha imperversato ed ancora non è scomparso, sta per finire per cui anche  l’impunità di cui Israele ha goduto sinora per   complicità e connivenze internazionali  cesserà
Un  segno del genere   potrebbe darlo  la Corte Penale Internazionale  che a seguito dell’adesione allo Statuto di Roma da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese ha intrapreso una verifica per  accertare se sussistano  gli estremi per indagare Israele sui crimini di guerra commessi durante l’attacco portato dalle sue forze armate a Gaza, la scorsa estate.
Naturalmente sia gli USA sia Israele stanno facendo quanto di  peggio è possibile per bloccare l’incipiente azione della CPI. Al riguardo   l’Agenzia Adista informa che nello scorso mese  di dicembre il Congresso  statunitense ha approvato una legge per la quale  gli Stati Uniti possono bloccare i fondi destinati all’Anp (svariati milioni di dollari l’anno) qualora questa dia in qualche modo  il via o sostenga  un’inchiesta   della Corte Penale Internazionale     sui  crimini commessi da israeliani contro palestinesi» e se  ottenga lo status di membro a pieno titolo delle Nazioni Unite al di fuori di un accordo con Israele; la portavoce del Dipartimento di Stato, Jen Psaki, non solo ha dichiarato «controproducente»  l’adesione  dell’Anp alla Corte penale ma ha ventilato  possibili conseguenze sul piano dell’assistenza economica. Dal canto suo  Israele,   sin dall’annuncio della richiesta di adesione dell’ANP allo Statuto di Roma, ha congelato il trasferimento    di 127 milioni di dollari, provenienti da  tasse e dazi doganali  raccolti  secondo quanto previsto dal Protocollo di Parigi, conseguente agli  Accordi di Oslo, dallo stesso  Israele   per   girarli  all’Anp.
Se Usa ed Israele riuscissero nel loro intento o se  Stati europei   non dessero all’occorrenza una valida collaborazione alle indagini della CPI si fornirebbe al mondo arabo l’ennesima dimostrazione che Diritto e  Giustizia non hanno valenza universale, che  l’ Occidente li applica  a proprio piacimento  ed intende  continuare ad  imporre la propria supremazia agli altri popoli. Ciò  rinfocolerebbe i venti di guerra che minacciano anche noi.
Per dare un contributo al tentativo  di   evitarlo, la Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese, insieme all’associazione Ebrei Contro l’Occupazione,  ha in questi giorni diffuso a livello internazionale un appello in quattro lingue rivolto all’Alto Rappresentante della Politica Estera Europea Federica Mogherini, al Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, all’Alto Rappresentante per i Diritti Umani dell’UE Stavros Lambridinis e ai Ministri degli Esteri degli Stati dell’UE, con il quale si chiede  che sostengano   l’azione della Corte Penale Internazionale.
Nella prima settimana dal lancio l’appello  ha  raccolto  più di 1000 firme.
L’obiettivo non è semplicemente di ottenere una condanna giudiziaria di Israele, dopo quelle  numerose ed autorevoli che si sono susseguite a livello politico la scorsa estate, e di dare al mondo arabo il segnale di cui si diceva,   ma di mobilitare le opinioni pubbliche per  sollecitare un’azione efficace della  diplomazia internazionale che riesca ad inaugurare  un nuovo e questa volta serio percorso di pace.
L’auspicio è che tutto ciò  avvenga. Per questo si chiede una firma in calce all’appello che si raggiunge cliccando su questo indirizzo http://chn.ge/1J5ufi5 ed il cui testo si può leggere qui a fianco.

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