martedì 31 marzo 2015

Caro Poletti, il reddito garantito è un'altra cosa.

Ci domandiamo sempre quanto costa mettere in campo una misura universale di reddito garantito, ma non ci domandiamo mai quanto costa non averlo: quanti dei nostri ragazzi sono costretti ad andare via per specializzarsi e trovare una vita dignitosa, quanti abbiamo già regalato nelle mani della criminalità organizzata, quante donne lasciamo in mano ai loro aguzzini, quante costringiamo ad essere madri a tempo pieno, quanti precari vivono senza costruirsi un  progetto di vita?


Maria Pia Pizzolante HeadshotFinalmente se ne parla, ed è una buona notizia: il tema del reddito garantito, finora tabù, è salito nelle ultime settimane alla ribalta della cronaca politica. Ma come se ne parla? Ci ragionano in tanti, associandogli diversi aggettivi e definizioni, spesso in maniera confusa. Per non creare equivoci il modo migliore sarebbe innanzitutto intendersi sul senso di questa misura, per evitare di usare la parola "reddito" come sinonimo di salario o di social card.

Per farlo basterebbe in realtà guardare fuori dai nostri confini nazionali. All'Europa che spesso nominiamo quando ci chiede di fare "sacrifici", ma che ci dimentichiamo quando dice che c'è un "diritto all'esistenza" da garantire a tutte e tutti. Quell'Europa, con una risoluzione del Parlamento europeo, chiede a tutti gli stati membri di dotarsi di misure di reddito garantito. E indovinate chi non ha ascoltato questa richiesta? Solo Italia e Grecia, ironia della sorte. Bene, oggi anche il ministro Poletti, buon ultimo, si esprime sul tema. Per dirci che non si può fare. No, non pensate ad una conferenza stampa sui motivi che impedirebbero di dare all'Italia uno strumento che la rimetterebbe al passo con gli altri paesi europei. Una misura che - per inciso - renderebbe più sostenibile le politiche precarizzanti a cui ci hanno abituato e che restituirebbe un po' di fiducia alle persone e dunque ai consumi. Già, perché il ministro del Lavoro dovrebbe saperlo: se non ripartono i consumi, il lavoro non si crea. Cambia nome, ma non si crea. No, niente di tutto questo.
Poletti ci dice semplicemente che per il reddito garantito non ci sono le risorse. Ma - ha aggiunto - metterà in campo un "piano operativo nazionale per l'inclusione sociale", 1 miliardo in sei anni da spalmare tra i "capofamiglia" delle famiglie più povere. Dunque, nulla a che vedere con il reddito minimo garantito, ma piuttosto la carità per i poveri, che verranno costretti a fare qualunque tipo di lavoro a qualunque salario.
Ora, sarebbe lungo l'elenco delle cose che non funzionano in questa idea della società, ma ad un punto tengo in modo particolare. Il reddito minimo garantito, rispetto a questi interventi spot che non hanno mai cambiato nulla (altro che #cambiaverso!), rappresenterebbe un cambiamento vero e concreto innanzitutto per le persone, ma anche per gli assetti complessivi di una società che sembra sempre più malata. Per esempio, siamo uno dei paesi con il welfare meno universale: il nostro stato sociale è fortemente sbilanciato sulle pensioni (al cui interno le disuguaglianze tra pensionati d'oro e quelli sotto la soglia di povertà si sono fatte peraltro sempre più insostenibili), dunque tutto sul passato. Inoltre, è sempre stato concepito esclusivamente per una tipologia di lavoratore ben precisa: il maschio, adulto, bianco e già garantito.
Lasciando fuori le donne, i giovani, i migranti. L'unità di misura che doveva in qualche modo comprendere anche questi ultimi è sempre stata la famiglia, ma è da stolti non vedere quanto oggi questa unità sia nel migliore dei casi insufficiente, e nel peggiore una vera e propria gabbia per molti di questi soggetti. Infine, mantenere un sistema di welfare non universale lascia campo libero alle clientele e alla criminalità organizzata, che appunto si sostituisce allo Stato, quando questo non c'è.
Ci domandiamo sempre quanto costa mettere in campo una misura universale di reddito garantito, ma non ci domandiamo mai quanto costa non averlo: quanti dei nostri ragazzi sono costretti ad andare via per specializzarsi e trovare una vita dignitosa, quanti abbiamo già regalato nelle mani della criminalità organizzata, quante donne lasciamo in mano ai loro aguzzini, quante costringiamo ad essere madri a tempo pieno, quanti precari vivono senza costruirsi un progetto di vita? Quanti, tra questi, seppur giovani, formati e con diversi titoli di studio in tasca, sono quei poveri a cui vi rivolgete con tanto paternalismo?
Anche queste sono risorse. Risorse che sprechiamo in cambio di cosa? E per chi? Per non tassare i grandi patrimoni e le rendite? Per non tassare il gioco d'azzardo? Per non legalizzare la marijuana? Per non calmierare gli stipendi a troppi zeri dei manager o le loro pensioni? Allora no, non ci serve altra propaganda, avete deciso di non cambiare nulla e basta. Ma almeno fateci il piacere, il diritto ad una vita dignitosa per tutte e tutti non è un favore che elargite, ma un diritto che esigiamo. E disconoscerlo è grave oltre che pericoloso.

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